Per contribuire alla memoria e contro pregiudizi e indifferenza. E perché è fondamentale non dimenticare perché il passato sia d’insegnamento
Il suo esempio mantiene vivo il ricordo della tragedia del passato, e soprattutto sottolinea l’importanza di combattere i pregiudizi e l’indifferenza per le tragedie del presente, instaurando un dialogo aperto con le altre componenti della società, ispirandosi ai principi di libertà, democrazia e di rispetto delle persone. Va alla senatrice a vita Liliana Segre il Tartufo dell’Anno 2019, il riconoscimento più prestigioso di una città, Alba, e di un territorio, le Langhe, simbolo della Resistenza, nell’anniversario n. 70 della Medaglia d’Oro al Valor Militare assegnata alla capitale del prodotto italiano più pregiato il 13 novembre del 1949 dal Presidente della Repubblica, di allora e langarolo, Luigi Einaudi, e che verrà consegnato il 14 dicembre al Teatro Sociale Giorgio Busca di Alba.
Il Tartufo dell’Anno, riconoscimento che ha cambiato la storia di Alba, del suo Tuber Magnatum Pico e del territorio di Langhe, Roero e Monferrato, è assegnato ogni anno dall’Ente Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba e dalla Città di Alba a grandi protagonisti del presente, del mondo dello spettacolo, del costume e della politica internazionale. La tradizione del premio risale al 1929, quando il “Re del Tartufo” e fondatore della fiera, Giacomo Morra, ebbe l’intuizione di legare il “gioiello della terra” a uomini e donne di fama mondiale. Negli anni, a riceverlo sono stati i grandi protagonisti del XX Secolo come la Regina Elisabetta, i Presidenti degli Stati Uniti Harry Truman, Ike Eisenhower e John Fitzgerald Kennedy, il generale Charles De Gaulle, i Presidenti della Repubblica e del Consiglio italiani Giuseppe Saragat, Aldo Moro, Sandro Pertini e Giorgio Napolitano, le attrici Marylin Monroe, Sofia Loren e Monica Vitti. Negli anni più recenti è stato ricevuto da personaggi del cinema come i registi Francis Ford Coppola e Werner Herzog, le attrici Penelope Cruz e Claudia Cardinale, protagonisti della società italiana come Sergio Marchionne, Fabio Fazio, Marcello Lippi e infine nelle ultime edizioni Papa Bergoglio e il compositore Ludovico Einaudi.
“Non è la prima volta che il Tartufo bianco d’Alba con la sua grande forza mediatica si fa portavoce di temi importanti e difficili – sottolinea il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio – il tartufo è parte del Dna del nostro territorio, così come lo è la Resistenza per cui tantissime persone hanno donato la propria vita tra le nostre colline. A 70 anni dalla Medaglia d’oro che questa terra ha ricevuto, pensiamo non ci sia persona più giusta per accogliere un gesto che ci auguriamo possa contribuire alla memoria. Perché affinché il passato sia d’insegnamento è fondamentale non dimenticare”. “È straordinario l’esempio di Liliana Segre, con la sua infaticabile, direi quasi incredibile, volontà di promuovere pubblicamente l’amore per la vita, qualunque forma questa vita possa assumere, insieme al coraggio delle idee pacifiche e al biasimo dell’indifferenza. La Fiera di Alba con il suo premio più prestigioso è orgogliosa di unirsi al coro di quanti nel nostro Paese si schierano al suo fianco e si oppongono ad ogni forma di odio” spiega la presidente della Fiera Liliana Allena. “Al ritorno dai campi di concentramento – aggiunge il sindaco di Alba Carlo Bo – Liliana Segre ha dovuto affrontare per anni la solitudine interiore dei sopravvissuti. La forza che ha trovato in sé le ha permesso di spendere la seconda parte della sua vita per mantenere viva la memoria di un tragico passato e per risvegliare le coscienze dall’indifferenza. Senatrice a vita dal 2018, ha coltivato la difesa dei principi fondamentali della Costituzione. La città di Alba, nello stigmatizzare ogni forma di odio, intende riconoscere la determinazione con cui all’odio ha sempre contrapposto il dialogo e l’empatia”.
Focus – Liliana Segre
Nata a Milano in una famiglia ebraica, ha vissuto col padre, Alberto Segre e i nonni paterni. La madre morì quando Liliana non aveva neanche compiuto un anno. Di famiglia laica, Liliana ebbe la consapevolezza del suo essere ebrea attraverso il dramma delle leggi razziali fasciste del 1938, in seguito alle quali venne espulsa dalla scuola che frequentava. Dopo l’intensificazione della persecuzione degli ebrei italiani, suo padre la nascose presso degli amici, utilizzando documenti falsi. Il 10 dicembre 1943 provò, assieme al padre e due cugini, a fuggire a Lugano, in Svizzera: i quattro furono però respinti dalle autorità del Paese elvetico. Il giorno dopo, Liliana Segre venne arrestata a Selvetta di Viggiù (Varese) all’età di 13 anni. Dopo sei giorni in carcere a Varese, fu trasferita a Como e poi a San Vittore a Milano, dove fu detenuta per quaranta giorni. Il 30 gennaio 1944 venne deportata dal binario 21 della stazione di Milano Centrale al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, che raggiunse dopo sette giorni di viaggio. Fu subito separata dal padre, che non rivide mai più e che sarebbe morto il successivo 27 aprile. Il 18 maggio 1944 anche i suoi nonni paterni furono arrestati a Inverigo (Como); dopo qualche settimana anche loro vennero deportati ad Auschwitz e uccisi al loro arrivo, il 30 giugno 1944. Alla selezione, Liliana ricevette il numero di matricola 75190, che le venne tatuato sull’avambraccio. Fu messa per circa un anno ai lavori forzati presso la fabbrica di munizioni Union, che apparteneva alla Siemens. Durante la sua prigionia subì altre tre selezioni. Alla fine di gennaio del 1945, dopo l’evacuazione del campo, affrontò la marcia della morte verso la Germania. Venne liberata dalle Forze armate statunitensi il primo maggio 1945 dal campo di Malchow, un sottocampo del campo di concentramento di Ravensbrück che fu liberato contemporaneamente anche dall’Armata rossa. Dei 776 bambini italiani di età inferiore ai 14 anni che furono deportati ad Auschwitz, Liliana fu tra i 25 sopravvissuti. Per molto tempo non ha mai voluto parlare pubblicamente della sua esperienza nei campi di sterminio. Come per molti bambini dell’Olocausto, il ritorno a casa e a una vita “normale” fu tutt’altro che semplice. Anche Liliana Segre ricorda di non aver trovato in quegli anni orecchie disposte ad ascoltarla: “era molto difficile per i miei parenti convivere con un animale ferito come ero io: una ragazzina reduce dall’inferno, dalla quale si pretendeva docilità e rassegnazione. Imparai ben presto a tenere per me i miei ricordi tragici e la mia profonda tristezza. Nessuno mi capiva, ero io che dovevo adeguarmi ad un mondo che voleva dimenticare gli eventi dolorosi appena passati, che voleva ricominciare, avido di divertimenti e spensieratezza”. Dal 1990 è diventata instancabile la sua testimonianza delle persecuzioni naziste e, dopo una serie importante di riconoscimenti in tutto il Paese, il 19 gennaio 2018, anno in cui ricadeva l’anniversario n. 80 delle leggi razziali fasciste, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in base all’art. 59 della Costituzione, ha nominato Liliana Segre senatrice a vita “per avere illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo sociale”. È la quarta donna ad assumere tale incarico, dopo Camilla Ravera (1982), Rita Levi-Montalcini (2001) ed Elena Cattaneo (2013). Fonte: WineNews, 4.12.2019