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Gen 15 2024

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COSÍ IN ROMAGNA TORNA IN TAVOLA IL PESCE DIMENTICATO

Pescatori contemporanei, imprese innovative e ristoratori visionari: il “quinto-quarto” del pesce diventa polpa per paste ripiene, tartare e infusi. Cambia anche la pesca delle vongole e i giapponesi apprezzano. In Romagna sanno che pesci pigliare… soprattutto da quando la sua riviera – dalle idee sempre vive, foriere dello spirito frizzantino e visionario dei suoi abitanti – sta diventando l’epicentro di un fermento nuovo nel settore della pesca.

Luca Bernardi e la lavorazione delle vongole (ph. Veronica Frison) 

Dalla valorizzazione dei prodotti ittici locali, anche attraverso il riutilizzo di quelle parti di pesce definite “scarti”, ma che in realtà si rivelano ingredienti, fino alla scoperta del pesce dimenticato, il nostro piccolo periplo della riviera adriatica inizia alla scoperta dei pescatori contemporanei, delle imprese innovative e dei ristoratori anti-spreco, che, tramite l’economia circolare del mare, preconizzano il futuro.

Come Luca e Lorenzo Bernardi, quarta generazione di pescatori che, nel corso dei loro dieci anni trascorsi a bordo dei pescherecci di famiglia tra Cesenatico e Cattolica, si sono interrogati su uno dei molteplici problemi della pesca odierna, legato alla difficoltà di smercio del pesce fresco invenduto. La missione di Vongole Bernardi, basata sui dettami della filiera corta, è quella di rendere una specie selvatica e non allevabile come la vongola, un prodotto di facile utilizzo e consumo quotidiano. 

Le vongole – esclusivamente la specie Lupino selvatica – immediatamente dopo la notte di pesca in mare aperto, sono sottoposte a 24 ore di dissabbiatura all’interno di innovativi acquari di mare per poi essere pastorizzate e surgelate. Il risultato è un prodotto prét-à-manger, ma a lunga conservazione, che sempre più ristoranti e locali stanno apprezzando. Così, le vongole, in eleganti cofanetti biodegradabili somiglianti a quelli dei noodle, si prestano anche alla cottura in microonde, et voilà, il sapore fresco del mare è servito. Perfino nei ristoranti di Tokyo, dove la vongola Lupino dell’Adriatico, nell’ultimo anno, ha dato grande soddisfazione ai due fratelli Bernardi, che, oltre al rispetto delle specie ittiche locali e dell’ambiente, stanno donando nuova linfa e attrattività al mestiere del pescatore.

Sempre dalla pragmatica Romagna arriva la storia di Roberto Casali che, osservando i pescatori sul Canale di Cesenatico costretti a disfarsi del pescato in eccedenza, ormai privo di valore commerciale, ha avuto l’intuizione di creare un’impresa per valorizzare il cosiddetto pesce dimenticato, ovvero quello surclassato dalla più florida vendita delle specie note, o in esubero nei periodi particolarmente pescosi, recuperando, inoltre, il quinto-quarto del pesce proprio così come si fa col maiale, di cui è risaputo non si butta niente. Il suo sogno imprenditoriale e carico di promesse per la conservazione della biodiversità ittica – ad alto livello di densità nell’Adriatico – oggi si chiama Ecopesce. Oltre ad esprimere una encomiabile missione etica e sostenibile, Ecopesce ha colto l’esigenza di molti ristoratori, convinti che il pesce nostrano non fosse abbastanza e bisognasse ricorrere all’acquisto dall’estero. L’azienda ha messo in moto un processo produttivo in cui seleziona e acquista il pesce di stagione dai pescherecci per poi sfruttare la catena del freddo, così la trasformazione del pescato avviene con l’ausilio di macchinari ad alta tecnologia e non contempla l’impiego di sostanze chimiche.

Dalla polpa estratta dai pesci spinati per le paste ripiene alle tartare, fino agli infusi per la preparazione del fumetto, protagoniste sono le varietà autoctone della fauna marina, ricche di proteine e nutrienti, come cefali, moletti, sogliolette, paganelli e così via. Insomma, i pesci dimenticati. In effetti, secondo i dati di Assoittica, ogni italiano conosce mediamente solo 13 specie ittiche.

La riscoperta del pesce dimenticato a tavola prende le mosse innanzitutto dal desiderio di mettere in moto un’economia circolare autentica, che rispetta la naturale offerta ittica del mare e la filiera produttiva.  Approccio corretto è l’utilizzo totale degli ingredienti declinato in più cotture.

Il risotto alle vongole di Paolo Bissaro (ph. Veronica Frison) 

Secondo lo chef Paolo Bissaro, infatti, il cibo è un’alleanza col tempo, non solo un patto col territorio, attraverso una filiera di lavoro che parte dalla terra come dal mare e gli chef e i ristoratori ne sono gli ambasciatori. Bissaro è un fuoriclasse della ristorazione, un apripista in Romagna dell’utilizzo del pesce in cucina nella sua totalità, dalla testa alla coda, insomma di quelle parti ancora considerate degli scarti. La sua nuova avventura è il ristorante Lingua, che, come afferma lui stesso, sorge in un non-luogo, nei pressi del casello dell’Autostrada a Rimini Nord, quasi a richiamare la genuinità dei ristoranti che una volta nascevano lungo le grandi vie di comunicazione, come un benvenuto provvidenziale al viaggiatore.

Oltre ad aver dedicato ai vegetali un intero menù, da Lingua il pesce proviene dalle barchette dei pescatori della Riviera, veri baluardi della pesca sostenibile. Da Bissaro il concetto di filiera corta si lega ai pesci piccoli e di prossimità geografica come il sardoncino, simbolo ittico del riminese, o le vongole dell’Adriatico, regine incontrastate del suo risotto.   Fonte: IL GUSTO, Martina Vacca, 14.01.2024

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