Nessuna nazione ha raggiunto la performance necessaria per contribuire a fronteggiare l’emergenza climatica e contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1.5°C
La premier Giorgia Meloni con Sultan Al Jaber, presidente di Cop28 (ansa)
Italia bocciata in clima. Anzi, retrocessa: dal 29esimo al 44esimo posto. È il verdetto del rapporto annuale di Germanwatch, CAN e NewClimate Institute, in collaborazione con Legambiente, sulla performance climatica dei principali paesi del Pianeta, presentato oggi alla Cop28 di Dubai.
È una magra consolazione che il podio sia andato deserto, perché nessuna nazione ha raggiunto la performance necessaria per contribuire a fronteggiare l’emergenza climatica e contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1.5°C.
In testa alla classifica si conferma, ma con il quarto posto, la Danimarca, grazie soprattutto alla significativa riduzione delle emissioni climalteranti e allo sviluppo delle rinnovabili. Seguono Estonia (5° posto) e Filippine (6°), che rafforzano la loro azione climatica nonostante le difficoltà economiche. In fondo alla classifica troviamo, invece, Paesi esportatori e utilizzatori di combustibili fossili come Emirati Arabi Uniti, organizzatori della Cop28 (al 65° posto), Iran (66°) e Arabia Saudita (67°).
La Cina, maggiore responsabile delle emissioni globali, rimane stabile al 51° posto dello scorso anno: nonostante il grande sviluppo delle rinnovabili e il miglioramento dell’efficienza energetica, le emissioni cinesi continuano a crescere per il forte ricorso al carbone. Gli Stati Uniti, secondo emettitore globale, si posizionano invece al 57°posto.
Solo tre membri del G20 sono nella parte alta della classifica: India e Germania (14° posto) insieme all’Unione europea (16°). Il dato complessivo della Ue fa risaltare ancor più il 44° posto dell’Italia.
La classifica (qui il .pdf) è stilata attraverso il Climate Change Performance Index (Cccpi), prendendo come parametro di riferimento gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e gli impegni assunti al 2030. Il Ccpi si basa per il 40% sul trend delle emissioni, per il 20% sullo sviluppo sia delle rinnovabili che dell’efficienza energetica e per il restante 20% sulla politica climatica.
I dati confermano, se ce ne fosse bisogno, che è urgente intervenire. “Entro il 2030”, spiega Mauro Albrizio, responsabile ufficio europeo di Legambiente, “le emissioni globali vanno quasi dimezzate, grazie soprattutto alla riduzione dell’uso dei combustibili fossili. Alla Cop28 in corso a Dubai è cruciale raggiungere un accordo ambizioso che preveda di triplicare la capacità installata di energia rinnovabile, raddoppiare l’efficienza energetica e avviare da subito il phasing-out delle fossili. Solo così sarà possibile una drastica riduzione entro il 2030 dell’utilizzo di carbone, gas e petrolio, mantenendo ancora vivo l’obiettivo di contenere il riscaldamento globale del pianeta entro la soglia critica di 1.5°”.
Per quanto riguarda l’Italia che perde posizioni, il giudizio è ancora più severo. “Serve una drastica inversione di rotta“, commenta il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani. “Secondo il Paris Compatible Scenario elaborato da Climate Analytics, il nostro Paese entro il 2030 potrebbe ridurre le sue emissioni climalteranti di almeno il 65%, grazie al 63% di rinnovabili nel mix energetico ed al 91% nel mix elettrico. E così arrivare nel 2035 al 100% di rinnovabili nel settore elettrico, confermando l’uscita dal carbone entro il 2025 e prevedendo quella dal gas fossile entro il 2035″. E invece l’attuale aggiornamento del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (Pniec) prevede un taglio delle emissioni entro il 2030 di appena il 40.3% rispetto al 1990. Un ulteriore passo indietro rispetto al già inadeguato 51% contemplato dal Pnrr. Fonte: laRepubblica, Luca Fraioli, 08.12.2023