Si è chiuso il VII Congresso nazionale di Slow Food Italia che ha riunito ad Abano Terme (Pd) 622 delegati provenienti da 300 Condotte (le realtà locali di Slow Food) in tutta Italia. Tre giorni di interventi che hanno raccontato uno spaccato dell’Italia che si impegna per la salvaguardia e la promozione del cibo buono, pulito e giusto. Il documento
Intervento di Lorenzo Berlendis, Fiduciario Slow Food Valli Orobiche
METTIAMOCI A PANE E ACQUA.
Potrebbe essere il claim di una estesa campagna per fugare le infinite ed inossidabili critiche mosse all'associazione sui presupposti elitari di Slow Food. Sciocca querelle da cui non ci libereremo mai, stante certo ottuso pauperismo che accomuna sinistre vecchie e destre nuove.
Credo invece possa essere un valido campo di azione per sgombrare il campo da ben altri equivoci.
Una piccola leva per sollevare tutta la complessità del problema cibo. Acqua compresa.
1, Siamo fatti d'acqua
Credo sia utile interrogare ( le comunità locali) ed interrogarci (in tutte le nostre sedi territoriali) sulla qualità e provenienza del 'nostro pane quotidiano' e dell'acqua che beviamo.
Chi conosce esattamente, a Quarto Oggiaro come a Bormio, da dove viene l'acqua che sgorga dai rubinetti?
Qual è la sua qualità, chi la testa e secondo quali parametri?
Chi gestisce la distribuzione, chi ne è proprietario? (tema oggi essenziale)
Domande apparentemente banali, ma una rapida inchiesta ci darebbe il facile riscontro di un'ignoranza assai diffusa.
Ignoranza che ha come preoccupante effetto lo smodato consumo di acque cosiddette minerali, la più parte confezionata in plastica, che caratterizza il nostro paese. L'addestramento alla misconoscenza sulle origini della bevanda di cui siamo composti per 2/3, inizia in tenera età. Nella scuola di base, oggi, la maggior parte degli alunni è diseducata a bere l'acqua dal rubinetto perché diffidata da genitori apprensivi e tollerata da docenti disattenti.
E in più: le fontanelle, che caratterizzavano fino a qualche decennio fa le piazze di tutti i paesi, grandi e piccoli, sono scomparse.
2. '…Dacci oggi il nostro pane quotidiano…'
Il panorama è anche peggiore se identiche domande vengono riferite al pane. Alimento totemico più di ogni altro, dall'Eucarestia ai mille detti e proverbi che lo pongono al centro dell'apparato simbolico, almeno dei popoli mediterranei.
Da dove viene il grano di cui è fatto il pane della grande distribuzione così come quello del fornaio sotto casa?
Come è stato coltivato? Con quale tecnica e con quale impatto sull'ambiente?
Qual è lo stato dei suoli dove è cresciuto?
Qual è il riscontro economico di chi lo ha cresciuto?
Quali sono i residui di aflatossine e altri componenti patogeni nelle farine? (vd Polignieri)
Chi, dove e come lo ha molito?
Qual è il saldo energetico della coltivazione-molitura-trasporto, in tutte le varie fasi?
Si fa un gran parlare, e sproloquiare, di appartenenza e identità, radici e tipicità. Ma quale identità può rincorrere una comunità che ignora il legame tra IL cibo per antonomasia e il suo territorio? Una comunità che non sa ricondurre al territorio di origine questo come gran parte del cibo che consuma. Una comunità che ha affidato ai banconi degli ipermercati l'esclusiva del proprio approvvigionamento.
La questione identitaria è ben densa e difficilmente districabile senza ricorrere a pericolose semplificazioni: il 'secolo breve' ne ha mostrato i disastrosi effetti in tutta la loro crudezza, la questione identitaria attiene alla storia e alla memoria più che alla geografia, ( …comunanza di storia e destini recitano gli storici) come dovrebbero sapere gli alfieri delle identità locali affetti da frequenti amnesie e miopie altrettanto tenaci. A questi suggeriamo di testare le acque del sacro Po, una volta messe in ampolla, ne verificherebbero le componenti in metalli pesanti, atrazina, idrocarburi, nitrati…avrebbero qualche utile elemento di riflessione che li metterebbe al riparo dalle amenità di cui si beano.
3 Un cordone spezzato
Purtroppo il divorzio tra cibo e terra, cibo e stagioni, cibo e uomini in carne ed ossa, si è consumato da tempo con gli effetti nefasti che sono sotto gli occhi di tutti, divorzio che la generazione dei non-luoghi o della virtualità ha ricevuto in dono dalla perdita di senso e dal disorientamento che ci accomuna.
Bene gli orti scolastici, certo, ma occorre insieme una diffusa attenzione al consumo di acqua pulita a scuola, alla possibilità di tornare al 'pane e marmellata', alla frutta di stagione, al rito del consumo comunitario del cibo. Ottuse norme igienico sanitarie impediscono il consumo collettivo di cibo non protetto da confezione e data di scadenza, non importa a nessuno della qualità intrinseca del contenuto.
Un'ossessione sicuritaria alquanto strabica protegge dalle salmonelle ma annega in additivi, eccessi lipo-glucosici e insostenibili packaging consumatori inconsapevoli e incolpevoli. Abbandonati alla solitudine delle monodosi.
Nella scuola come altrove occorre essere coerenti quanto disincantati e gioiosi testimoni, (i toni apocalittici non pagano né convincono nessuno,A. Langer docet), scanzonati portatori di quella sobrietà, l'austera anarchia di Carlin:
• mangiare meno,
• mangiare meglio,
• riconoscere maggior valore, anche monetario, al cibo buono, pulito e giusto. Cioè pagarlo di più a chi lo produce.
Bisogna essere coraggiosi e chiari a questo proposito. É materia delicata che collide con il populismo e il pauperismo di cui sopra. Ma si va diffondendo una responsabile disponibilità, a questo proposito, anche nelle realtà organizzate come i GdA che va corroborata.
Il parmigiano a 8 euro al chilo non può far felice un senza reddito o un cassaintegrato, è un vantaggio apparente e momentaneo che ottunde e nasconde il meccanismo che lo ha partorito, un perverso meccanismo che toglie letteralmente la terra sotto i piedi ad un'agricoltura diversa e possibile, ad un'economia virtuosa che faccia pace con la terra. Con la Terra come ricordava Piero nel suo accorato intervento. Il latte a 26 cent al litro o il grano a 28 euro al quintale sono il cappio al collo che soffoca i contadini, li espone alle lusinghe delle sirene delle manipolazioni genetiche, li costringe a s-vendersi e rendersi complici dei padroni globali del cibo. Coloro che affamano il pianeta e hanno portato al disastro economico finanziario che ha messo in ginocchio il sistema.
Piero Sardo cita a ragione e con giusta e condivisa preoccupazione l'episodio che si sta consumando nel Golfo del Messico. Noi non salveremo il mondo, almeno da soli, ma mi auguro che si sia capaci di raccogliere le sfide complesse e importanti che abbiamo davanti, (da lunedì !), con passione e levità. Volare alto ma con le scarpe affondate nella terra.
Per farlo abbiamo bisogno di nuovi paradigmi e nuovi vocabolari.
Lorenzo Berlendis
Fiduciario Valli Orobiche BG