La Ong Reclaim Finance punta il dito contro il quantitative easing della Banca centrale europea: «Incompatibile con gli obiettivi climatici»
Secondo un rapporto della Ong Reclaim Finance, una quota rilevante del quantitative easing della BCE è finito nella casse di imprese i cui business sono particolarmente nocivi per il clima
Il quantitative easing rappresenta una delle “classiche” risposte alle crisi economiche che vengono adottate dalle banche centrali. Consiste nello stampare moneta, immettere quindi liquidità nel sistema, acquistare titoli e sperare che in questo modo i motori dei sistemi produttivi e dei consumi possano ripartire. Possibilmente evitando di far impennare i prezzi.
Una risposta alle crisi, ma non se finanzia chi danneggia l’ambiente
Tuttavia negli ultimi decenni (e negli ultimi anni in particolare), assieme alle necessità di politica economica non è possibile dimenticare quelle legate alla salvaguardia del clima. In altre parole, non possiamo più permetterci di concedere denaro senza verificare con attenzione chi lo incassa. Il rischio è, infatti, che il sostegno finisca ad aziende i cui business non sono compatibili con gli obiettivi che il mondo si è posto in termini di riduzione delle emissioni climalteranti.
È questa la critica che l’organizzazione non governativa Reclaim Finance ha rivolto al quantitative easing adottato dalla Banca Centrale Europea (BCE). «Da anni, e ancor più in un contesto di crisi – spiega l’associazione in un rapporto intitolato “Lo sporco segreto della BCE” – l’Eurotower utilizza in modo intensivo tale strumento. Con gli istituti dell’Eurosistema (le banche centrale delle nazioni che hanno adottato l’euro, ndr), la BCE possedeva alla fine dello scorso mese di marzo 2.782 miliardi di asset. E prevede di acquistarne altri 1.700 di qui al 2021».
Denaro da usare per costruire un’Europa più resiliente
Numeri giganteschi. Ma tale enorme mole di denaro «dovrebbe essere utilizzata per costruire un’Europa più resiliente, solidale e sostenibile. Al contrario le informazioni disponibili mostrano che la BCE ha finanziato in modo massiccio i settori più nocivi per clima e ambiente – si legge ancora nel rapporto – Non soltanto trasporti aerei e industria automobilistica, ma anche il settore delle fonti fossili. E in particolari le più inquinanti tra queste ultime: carbone, petrolio e shale gas. Che hanno beneficiato in modo ingente del quantitative easing».
La miniera di carbone di Garzweiler in Germania © Bert Kaufmann/Wikimedia Commons
La BCE non vuole influenzare i mercati. Ma così influenza il nostro futuro
Il rapporto ricorda che l’Unione europea si sia fissata l’obiettivo di raggiungere la “carbon neutrality”, l’azzeramento delle emissioni nette di gas ad effetto serra. Il che significa ridurre queste ultime di almeno il 40% di qui al 2030. Ciò nonostante il 63% della liquidità iniettata dalla BCE sarebbe finito a imprese particolarmente nocive per il clima.
«La BCE – si legge nel documento – afferma di vuole evitare di influenzare il mercato, e per questo acquista titoli di grandi imprese di tutti i settori. Ma questo principio di “neutralità” dell’istituto di Francoforte è una trappola: il portafoglio della BCE è composto principalmente da settori ad alto impatto sul clima». Così, il peso del trasporto aereo è molto più ampio rispetto a quello della mobilità sostenibile. Stesso dicasi per le energie fossili rispetto a quelle rinnovabili. In questo senso, il quantitative easing, secondo la Ong «non è né neutro né allineato agli obiettivi climatici». Anzi, «è in contrasto con la loro realizzazione».
Reclaim Finance punta in particolare il dito contro 38 imprese del comparto delle fossili, «che prevedono 62 nuovi progetti di sfruttamento del gas, di cui 35 di gas naturale liquefatto. I casi di Shell e Total sono particolarmente emblematici. Prevedono rispettivamente di aumentare del 38% e del 12% le loro produzioni di petrolio e gas di qui al 2030. Inoltre, Shell è una delle quattro aziende nel portafoglio della BCE attive nel settore dello shale gas». Ovvero quello ottenuto tramite la fatturazione delle rocce nel sottosuolo, considerato particolarmente pericolo per il clima e per l’ambiente.
«Inconcepibile la scelta della BCE di non escludere il carbone»
Più in generale, secondo il rapporto le politiche della BCE «negano al contempo la necessità di ridurre lo sfruttamento delle fonti fossili». E in particolare «l’impatto climatico del gas, che emette meno CO2 al momento della combustione rispetto ad altre fonti, ma rimane altamente nocivo. Sia per via delle fughe di metano nella catena di produzione, sia per via del processo di liquefazione».
Carbone addio, la UE ci prova. Ma le banche remano contro
Per quanto riguarda in particolare il carbone, il documento lamenta il fatto che la BCE «compra titoli di dieci imprese attive nel settore. La potenzia installata totale delle loro centrali a carbone è di circa 66mila MW». La stessa dell’intero parco nucleare di una nazione come la Francia. E tre delle dieci imprese citate stanno anche «sviluppando nuovi progetti di produzione elettrica a partire dal carbone».
È il caso ad esempio di Enel, «di recente posta sotto monitoraggio dal Fondo sovrano della Norvegia. Ma anche di Fortum, principale azionista di Uniper, che sta per mettere in servizio una nuova centrale in Germania, la Datteln IV ». Reclaim Finance conclude in questo senso parlando di «assenza di un’esclusione del carbone tanto inaccettabile quanto incomprensibile. La Banca europea per gli investimenti e la Banca per la ricostruzione e lo sviluppo hanno già adottato politiche restrittive. Decisioni analoghe sono state prese da più di 120 istituti finanziari privati». La BCE deve fare altrettanto se vuole sostenere un’uscita sostenibile dalla crisi attuale. Fonte: Valori, Andrea Barolini, 1.10.2020