Non bastassero le incertezze dei mercati, il peso della burocrazia ed un meteo sempre più pazzo anche in Italia, che in poche ora può cancellare mesi di lavoro (e il reddito) di un’azienda agricola e vitivinicola, agricoltori e viticoltori sono sempre più vessati anche dall’invasione degli ungulati, che sta diventando una vera e propria emergenza, con danni per decine di milioni di euro ogni anno (l’ultima stima nazionale dell’Eurispes, datata 2007, parlava di 70 milioni di euro a livello nazionale). Le aziende, fino ad oggi, hanno provato a difendersi investendo in recinzioni che spesso, sono assai costose e poco risolutive. Ma la Regione Lombardia ha aperto una strada che, probabilmente, sarà seguita anche da altre Regioni, dove istituzioni e associazioni di categoria stanno lavorando sul tema (dalla Toscana all’Umbria, dal Lazio al Molise, per citarne alcune), non solo intervenendo sul calendario venatorio. La Regione Lombardia, nei giorni scorsi, ha dato il via libera alla possibilità di abbattimenti di cinghiali lungo tutto l’anno, e non solo nelle stagioni di caccia, consentendo di farlo anche agli agricoltori provvisti di regolare licenza, e non più soltanto alla polizia provinciale e ai cacciatori. Un tema complesso e spinoso, la cui gestione vede spesso scontri ideologici tra agricoltori e cacciatori da un lato, ed ambientalisti ed animalisti dall’altro, a cui però è necessario porre rimedio. La delibera delle Lombardia, come emerge dalle cronache locali, ha creato un precedente che in molte altre Regioni si vorrebbe prendere ad esempio, come sottolinea anche Coldiretti.
“Auspichiamo che tale provvedimento venga adottato da altre Regioni in una situazione in cui negli ultimi dieci anni il numero dei cinghiali presenti in Italia è praticamente raddoppiato per risolvere il problema della incidenza dei cinghiali per l’incolumità delle persone e la sicurezza dei trasporti nonché, per la salvaguardia delle produzioni agricole e degli ecosistemi. Nel provvedimento della Lombardia – spiega la Coldiretti – si riconosce nella sostanza la possibilità da parte dei proprietari e conduttori di terreni agricoli di esercitare una facoltà di legittima difesa in presenza di minime condizioni che semplificano il precedente approccio burocratico. Tra i requisiti – continua la Coldiretti – si ritiene in particolare l’accertamento di danni alle colture nei 6 mesi antecedenti la data di presentazione della domanda di autorizzazione, che ha la durata di 12 mesi; la titolarità di licenza di porto di fucile e la abilitazione alla caccia di selezione nel caso di ricorso a particolari modalità. Naturalmente l’esercizio dell’abbattimento deve avvenire in condizione di sicurezza attraverso la comunicazione preventiva agli organi di polizia competenti per il territorio oltre che di compatibilità ambientale, risultando vietato l’intervento nelle aree protette, ma è anche previsto un sistema di tracciabilità per garantire il monitoraggio e il controllo sanitario”.
Ma se questa è la via più pratica per contenere il problema nell’immediato, c’è anche chi sta studiando soluzione più a lungo termine, attraverso la ricerca. Come stanno facendo l’Università Federico II di Napoli, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno di Portici e l’Università del Queensland, in Australia, con un progetto finanziato dal Ministero della Salute e dall’Assessorato alla Sanità della Regione Campania, guidato dal professor Giuseppe Campanile, dell’Ateneo napoletano, e dal professor Michael d’Occhio, dell’Università australiana, ma di origine campane.
Un progetto che prevede la somministrazione, ai mammiferi selvatici, attraverso esche alimentari. “Il sistema di immunosterilizzazione del cinghiale – spiega Coldiretti Campania – ha l’obiettivo di ridurre l’attività riproduttiva attraverso la somministrazione di boli specifici che contengono un anticoncezionale in grado di bloccare la follicologenesi, agendo sia sui maschi che sulle femmine. Le esche saranno “selettive”, ovvero in grado di agire solo sui cinghiali. L’effetto dell’anticoncezionale specifico è reversibile. Dopo sei mesi di mancata distribuzione delle esche, l’attività riproduttiva torna alla normalità”. Tra un anno saranno consegnati i dati della ricerca, ma le prove preliminari già lasciano ben sperare. Si tratta di un sistema già esistente, ma utilizzato per via intramuscolare. L’innovazione della somministrazione per via orale è destinata a semplificare la gestione della fauna selvatica”. Fonte: WineNews, 14.06.2018