Chi prende le decisioni considera il settore come un unicum, senza distinzione tra grandi stabilimenti industriali e relativi allevamenti intensivi e le realtà artigiane
Cheese è un momento di festa, per il pubblico di visitatori, ma soprattutto per gli addetti ai lavori, per i quali è l’occasione di ritrovare amici e colleghi lontani che per 4 giorni si riuniscono a Bra, dove ad allegria e convivialità si alternano momenti di confronto e riflessione.
In questi primi giorni della kermesse, sono stata immersa più che mai, tra riunioni, conferenze e chiacchiere tra amici, nel mondo dei piccoli produttori di formaggio, dove si respira preoccupazione.
Se nella narrazione della politica, dell’opinione pubblica e dell’immaginario collettivo, i piccoli produttori rispettosi degli animali e dell’ambiente, che popolano le aree interne e periferiche, sono esempi di virtù da seguire e tutelare, nella pratica delle cose la situazione è ben diversa. Stiamo assistendo a una sorta di green washing collettivo, mentre le nuove regolamentazioni e normative che scandiscono la vita produttiva di questo settore, silenziosamente, trasformano il lavoro delle piccole aziende familiari in una corsa a ostacoli e molti si stanno chiedendo se ancora valga la pena di correre.
Questo fenomeno non è solo italiano, investe l’Europa tutta, e dopo aver partecipato per l’intera giornata di giovedì ai lavori di Face Network (rete europea di produttori caseari agricoli e artigianali), ospitati nella Casa della Biodiversità da Slow food, appare quanto mai evidente che ci sono problemi strutturali nell’intendere il comparto lattiero-caseario nelle sedi governative, a tutti i livelli.
Il nocciolo della questione sta nel fatto che chi prende le decisioni considera il settore come un unicum, senza distinzione alcuna tra grandi stabilimenti industriali e relativi allevamenti intensivi e le piccole realtà estensive di cui sopra: le normative di sicurezza alimentare e benessere animale per chiare ragioni di numeri vengono cucite per regolamentare le industrie e per poi essere applicate a tappeto a tutti gli operatori indistintamente. Ne conseguono distorsioni notevoli, per le quali in alcune zone d’Italia viene chiesto ai malgari di pastorizzare latte d’alpeggio, o come il Classy Farm: idea virtuosa di per sé, si tratta di una check-list di 105 punti creata per garantire il benessere animale nelle stalle intensive, quelle che accolgono un elevato numero di animali 365 giorni l’anno e che non prevedono attività di pascolamento all’esterno, per intenderci. Durante la conferenza del 16 settembre intitolata “I piccoli sotto attacco” moderata da Barbara Nappini, presidente di Slow Food, abbiamo avuto testimonianza di queste distorsioni. Claudia Masera, allevatrice di vacche frisone e casara, ha raccontato come già da diversi anni abbia scelto di convertire la sua azienda di pianura al pascolo, recuperando i prati attorno alla stalla fino ad allora coltivati a mais. Claudia, accompagnata da un progetto dell’Università di Torino ha ottenuto anche la certificazione Latte Fieno STG. Alcune settimane fa decide di accogliere la proposta di sottoporsi al Classy Farm su base volontaria, forte della salute e longevità di cui godono i suoi animali, senza immaginarne l’epilogo. A validare la check-list nella sua azienda, dice, si presenta una veterinaria inviata dall’autorità sanitaria, estremamente competente relativamente alle realtà intensive, ma che travisando completamente il senso della norma, la applica pedissequamente, sollevando una serie di obiezioni e asserendo che i suoi animali camminano troppo e che non mangiano abbastanza, arrivando a suggerire l’uso di insilati, foraggio principe dell’allevamento intensivo.
Come interagire quindi con un interlocutore a tutt’oggi impreparato alle aziende di nuova generazione? Se lo domanda nella stessa conferenza anche Cristina Rainelli, presidente dell’Associazione delle Casare e dei Casari di Azienda Agricola, alle prese con una nuova battaglia sul latte crudo, che in Italia sembrava essere vinta. Nell’ottica della prevenzione e della sicurezza alimentare serve preparazione, sia tra i produttori sia tra gli operatori delle autorità competenti, dice. È ormai di importanza vitale che le piccole realtà produttive vengano considerate e trattate in quanto tali.
Possono forse sembrare temi per “addetti ai lavori”, ma a ben pensarci il destino dell’intero comparto produttivo dei piccoli riguarda tutti noi, a livello di presidio culturale, territoriale e ambientale e della salubrità del cibo di cui ci nutriamo. Fonte: la Repubblica, IL GUSTO, Maria Cristina Crucitti, 17.09.2023