Il cacio migliore è quello rispettoso dei territori, del benessere animale e della nostra salute, come il bitto dello Storico Ribelle. La direttrice di Slow Food Italia, Serena Milano: “Li considerano dei sovversivi perché si ostinano a far mangiare l’erba alle loro bestie”
“Mangiare formaggio è un atto politico”. Parola di Slow Food, che lancia la 14ma edizione di Cheese, in programma a Bra da 15 al 18 settembre. Il più grande evento internazionale dedicato ai formaggi a latte crudo avrà per claim “Il sapore dei prati”, per sottolineare come dal latte di animali alimentati al pascolo derivino i formaggi migliori, rispettosi dei territori, del benessere animale e della nostra salute.
Sembra un concetto scontato, ma non è affatto così. Lo dimostrano i produttori del Bitto, uno dei simboli della produzione casearia lombarda, che da quando il consorzio ha allargato troppo le maglie ampliando la zona di produzione e consentendo modifiche al metodo tradizionale, hanno rinunciato al nome e hanno lanciato lo Storico ribelle. “Li considerano dei sovversivi perché si ostinano a far mangiare l’erba alle loro bestie e a praticare il pascolo turnato: nei tre mesi di alpeggio, la mandria è condotta attraverso un percorso a tappe, che va dalla stazione più bassa a quella più alta – spiega Serena Milano, direttrice di Slow Food Italia -. Lungo la via, i tradizionali calècc in pietra fungono da baita di lavorazione itinerante, sempre a portata di mano, in modo che il latte non debba viaggiare, se non per pochi metri, e possa essere lavorato prima che il suo calore naturale si disperda”.
Li troverete a settembre a Bra, nell’affollata via dei Presìdi di Slow Food, determinati più che mai a ribadire che non tutti i prati sono uguali. Ed è proprio questo uno dei grandi temi che verranno lanciati durante Cheese: “Salviamo i prati stabili. Ripristiniamo la biodiversità dei foraggi, riportiamo gli animali al pascolo, ricreiamo gli habitat degli impollinatori: otterremo prodotti più buoni e più salubri” è il messaggio di questa 14ma edizione. Il prato stabile si può trovare in alta quota, ma anche in collina o in pianura. Si tratta di campi naturali, non lavorati dall’uomo, ma gestiti direttamente da bovini, pecore o capre che, grazie alla loro fisiologia, riescono a trasformare la fibra dell’erba in energia e nutrimento, per poi fornire latte e formaggi.
“I prati stabili – spiegano da Slow Food – sono ecosistemi ricchissimi di biodiversità, al tempo stesso fragili e poco pretenziosi. Sopravvivono, ma ogni anno diminuiscono: in montagna per via dell’abbandono, in pianura per la ragione opposta, l’avanzare di monocolture e cemento. Sono il pasto ideale per i ruminanti, che l’allevamento intensivo ha trasformato in consumatori di mais e soia”. Inoltre, Riescono addirittura nella sfida più ardua: trasformare l’allevamento da uno dei settori con un impatto maggiore sull’ambiente a un’attività che contrasta la crisi climatica. Il principale strumento per trattenere CO2, infatti, è il suolo, capace di assorbire 1/4 delle emissioni prodotte dall’uomo. Una capacità che cresce con la fertilità e la ricchezza di vegetazione. Per questo il suolo ricoperto da prato stabile è in cima alla lista delle soluzioni, addirittura più del bosco, perché non corre il rischio di liberare in pochi minuti tutto il carbonio custodito a causa di un incendio.
Nell’edizione 2023 il Mercato italiano e internazionale di Cheese tornerà a riunire casare e casari da ogni latitudine. Centinaia gli espositori (erano 450 nell’edizione 2019, pre Covid) provenienti da tutte le regioni italiane e da 14 Paesi, tra cui spiccano il grande ritorno degli Stati Uniti e le numerose presenze a livello europeo. Tra i protagonisti, ci saranno gli affinatori che imprimono ai formaggi anima e identità, curandoli fino alle loro ideali condizioni di maturazione. Cuore delle riflessioni sarà la Casa della Biodiversità, mentre con i Laboratori del Gusto ci si potrà avventurare tra sapori e abbinamenti più o meno noti e con gli Appuntamenti a tavola le cuoche e i cuochi italiani e internazionali condurranno alla scoperta di diversi ecosistemi, tra montagna e vie della transumanza.
Immancabile come sempre la Gran Sala dei formaggi con le sue proposte di degustazione tra Presìdi Slow Food e grandi caci a livello internazionale, e l’Enoteca, che con le sue 400 etichette selezionate dalla Banca del Vino metterà in luce produttori della Slow Wine Coalition e vini Triple A, sia dall’Italia che dall’estero. Sempre presenti, ad animare piazze, cortili e strade di Bra, le interpretazioni regionali delle Cucine di strada e le originali preparazioni dei Food Truck, da abbinare all’ampia offerta dei birrifici artigianali. Fonte: laRepubblica, Roberto Fiori, 28.06.2023
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Apre Cheese 2023. Perché pascolo e fieno fanno la qualità di un formaggio
Dal 15 al 18 settembre va in scena Cheese 2023, la grande kermesse dedicata ai formaggi in casa Slow Food a Bra (CN) dove tema centrale è il ruolo del pascolo e dell’alimentazione nella qualità del latte e quindi dei formaggi. Ecco perché, secondo Roberto Rubino
Alla vigilia di Cheese 2023 a Bra, ecco una riflessione di Roberto Rubino, ricercatore e presidente di Anfosc, sull’importanza del pascolo per la qualità dei formaggi. Quanto gli elementi di cui le bestie si nutrono – tra foraggi, erba, fieno – influiscono sulla qualità del latte, sulle caratteristiche nutrizionali, sull’odore e sul gusto? Si tratta di terreno ancora da esplorare a fondo sul piano scientifico. Eppure, molto spesso non ci sono differenze di prezzi tra i formaggi da pascolo e quelli da stalla.
Pascolo, fieno e gusto
Forse ci siamo, il recupero dei prati e dei pascoli è iniziato. L’edizione di Cheese a Bra (CN) di quest’anno (15-18 settembre) è dedicata ai prati (i prati polifiti dove pascolano gli animali); diversi concorsi sui formaggi da pascolo si tengono un po’ dappertutto e finalmente molti Consorzi di Tutela delle Dop accettano la diversità dovuta al “sistema pascolo”. Se penso che nel lontano 1995 avevo dato vita ad Anfosc (Associazione nazionale formaggi sotto il cielo) proprio per valorizzare i formaggi di animali al pascolo, per me questa novità potrebbe apparire un po’ deludente, ma è invece una buona notizia: perché le resistenze sono ancora notevoli e perché queste “novità” indicano che (forse) la lunga marcia potrebbe essere iniziata. Sarebbe ora che le crisi dei prezzi e dei mercati insegnino qualcosa a chi lavora sul campo e produce.
Flavour e salute
Vediamo brevemente qual è il ruolo dei pascoli o, meglio, dell’erba che gli animali mangiano. Secondo il mio personale parere il fattore principale, se non l’unico, ad influenzare il livello qualitativo del latte e, più in generale della carne e dei vegetali, è quello che l’animale mangia o che la pianta acquisisce dall’ambiente in cui vive. E per livello qualitativo intendo sia l’aspetto edonistico, il flavour (quindi aroma e gusto) che quello nutrizionale. E siamo al primo problema. Il mondo scientifico, in generale, sostiene che la materia è complessa e che l’alimentazione incide solo in parte. Parlo del latte, della materia prima, non di quello che avviene dopo, nel corso della trasformazione in formaggio. Ma cosa si sa attualmente?
Colore, antiossidanti, grassi e aromi
Sappiamo che il pascolo influisce sul colore dei formaggi (quelli di vacca tendono al giallo per effetto dei carotenoidi e del beta-carotene; quelli di pecora al verdino per effetto della luteina, perché non contengono beta-carotene; quelli di capra e bufala al bianco-grigio per l’assenza di entrambi questi carotenoidi) e sul potenziale antiossidante che è molto più elevato: per un aumento della vitamina E, dei carotenoidi e – secondo me – anche dei polifenoli.
Si sa anche che, con l’erba, aumentano i sesquiterpeni, molecole responsabili delle note erbacee. L’erba influisce anche sulla qualità degli acidi grassi, aumentando la quota degli insaturi sui saturi. Per esempio, la diversità del prosciutto iberico “de bellota”, dei suini che mangiano ghiande, viene attribuita a un aumento della percentuale di acido oleico, responsabile di alcune note odorose. E parlo di differenze sostanziali. Per esempio, il rapporto Omega-6/Omega-3 passa da più o meno quindici dei sistemi intensivi a sotto uno di quelli al pascolo. Il Grado di Protezione antiossidante è circa venti in quelli al pascolo per scendere sotto quattro in quelli alla stalla.
Cosa è e da cosa dipende il gusto?
Riassumendo, al momento sappiamo che i formaggi o la carne di animali al pascolo sono più colorati, hanno un maggiore potenziale antiossidante, una migliore qualità dei grassi e note odorose più intense. Ma le note odorose dipendono da molecole volatili che, per definizione, volano, che non mangiamo. Tutto questo va bene nel vino, che è un liquido e che non è indispensabile nella dieta; lo abbiamo anche provato empiricamente nella birra e nel miele. Ma il cibo, che è solido, ci serve per vivere, quindi sono le note pesanti, che non volano e che ingeriamo che dobbiamo conoscere. In pratica, il gusto. Cosa sappiamo del gusto? Poco e, sempre secondo me, male. Sappiamo che i gusti base sono 5: dolce, acido, salato, amaro e umami; forse 6: il grasso. E sappiamo che questi gusti dipendono da molecole pesanti, e cioè i sali influiscono sul salato, gli acidi sull’acido e così via. Ma ogni alimento ha queste caratteristiche. Non solo. Se mettiamo a confronto lo stesso formaggio, prodotto dalla stessa vacca al pascolo e alla stalla, e vogliamo misurare il gusto attraverso l’analisi sensoriale, non troviamo alcuna differenza, perché entrambi saranno un poco salati, leggermente acidi, ecc. E se anche le trovassimo, non troveremmo alcuna relazione con le molecole responsabili. Insomma, è come se per misurare il quoziente di intelligenza di una persona prendessimo le misure dell’altezza, della circonferenza e del piede e il colore dei capelli. Buone per una carta di identità, non per capirne il livello di intelligenza. Quindi, non solo al momento la scienza non si pone il problema del gusto, ma lo stesso consumatore non è in grado di cogliere il peso e l’importanza di questo parametro, perché la tecnica di analisi sensoriale che viene utilizzata non permette di risalire al relativo livello qualitativo e, quindi, alle molecole responsabili e al fattore che avrebbe determinato le eventuali differenze.
Roberto Rubino intervistato da Michela Becchi per Gambero Rosso
Pascolo o stalla? Ma i formaggi costano quasi lo stesso
Riprendiamo l’esempio del prosciutto “de bellota”. La differenza fra quello comune, che costa circa 20 euro al kg e quello più celebre (come lo Joselito) che ne costa 200 e oltre, è enorme ed evidente anche agli occhi di un inesperto. Eppure questa distanza viene attribuita alle ghiande, che determinerebbero un leggero aumento del contenuto di acido oleico il quale a sua volta sarebbe responsabile di alcune note odorose, volatili. Ma quel “prosciutto da ghianda” ha un gusto intensissimo, con una persistenza enorme e con una variabilità elevata. Perché e da quali molecole dipendono queste caratteristiche? Non lo sappiamo! Ecco, ci manca proprio la chiave di lettura più importante e che riguarda il gusto. Almeno però nel caso del prosciutto, iberico e anche italiano, la differenza di prezzo è giusta ed enorme. Nel caso dei formaggi, fatte rare eccezioni, il prezzo dello stesso formaggio, da pascolo e da stalla, è spesso, troppo spesso, identico. Anzi qualche volta il consumatore chiede: ma perché quel formaggio, quel burro è giallo? Mai che si chiedesse: ma perché questo formaggio è bianco? Fonte: Gambero Rosso, 14.09.2023