Carlo Petrini
Nel 1765 il signor Boulanger aprì il suo esercizio commerciale, interpretando i cambiamenti in atto all’epoca a Parigi. Nel suo locale propose una maggiore ricercatezza della qualità e ribaltò il concetto della tipica tavolata unica da taverna, optando per tavoli più intimi e già apparecchiati
Come per qualsiasi processo evolutivo, anche la ristorazione così come noi la viviamo oggi si è sviluppata in maniera lenta e graduale. Senza ombra di dubbio però, la culla dei ristoranti moderni è da ricercare, come molti altri connotati della società occidentale, in Francia nel fermento di fine XVIII secolo.
Tra fiaba e leggenda agli albori della Rivoluzione Francese si inserisce la figura di Pierre Manceron (personaggio immaginario), recentemente raccontata dal film francese Delicieux (Francia, 2021). In questa pellicola viene riconosciuto a Manceron, abile panificatore e rinomato cuoco di corte, il ruolo di primo ristoratore della storia. Una narrazione, questa, sicuramente romanzata, che si rifà a una figura realmente esistita ritenuta fondamentale per lo sviluppo della moderna ristorazione.
Già qualche decennio prima della presa della Bastiglia, a Parigi – città a cui tutto l’Occidente tendeva a ispirarsi – inizia a manifestarsi qualche interessante avvenimento gastronomico. Un certo sentimento popolare iniziava a ricercare una maggiore raffinatezza nell’offerta di cibo e nel servizio delle molte locande, taverne e tables d’hôte (tutti locali frequentati quasi esclusivamente dalla compagine maschile dove le bevande alcoliche lasciavano il cibo in secondo piano). A questo si aggiungeva, nel 1765, l’avviamento dell’esercizio commerciale da parte del signor Boulanger dell’ormai celeberrimo “marchand de bouillon” (“mercante di brodo”).
La fortuna di Monsieur Boulanger fu quella di intuire quella voglia di cambiamento che si iniziava a respirare tra le vie della capitale sulla Senna. Ecco che a farla da padrone nel suo locale era una piccola selezione di pietanze dai sapori delicati e dagli effetti salutari e corroboranti; insomma una maggiore ricercatezza della qualità e un’offerta che lasciasse spazio alle preferenze dei clienti. Ma anche l’impostazione del servizio e del locale vennero rimodernati. Ribaltato il concetto della tipica tavolata unica da taverna, l’attenzione e la cura di ogni singolo cliente portò a far accomodare gli ospiti in tavoli più intimi e già apparecchiati, inseriti in un ambiente più pulito, ben arredato e quindi più accogliente. Tutte queste caratteristiche, per noi oggi quasi delle banalità, catturarono un grande interesse verso il locale di Boulanger che, nel giro di poco tempo, iniziò a essere frequentato da donne e uomini di tutte le età e tutte le classi sociali. Persino gli aristocratici che fino ad allora consideravano deplorevole condividere il momento del pasto con altri individui che non appartenessero al loro stesso rango. Un’ultima peculiarità, prima di entrare, sulla porta del locale di rue des Poulies (oggi rue du Louvre) ci si poteva soffermare a leggere una particolare insegna: “Boulanger serve qui dei ristoranti divini”. Da qui il nome ristorante!
Ancor prima dello scoppio della rivoluzione quindi la strada era segnata. Il gusto per il buon cibo andava liberato dall’egemonia di chi si definiva buongustaio solo perché portava delle culotte e una parrucca. E una volta decaduta l’aristocrazia dell’Ancien Régime, i cuochi iniziarono a mettere a disposizione i loro saperi in esercizi aperti al pubblico, aprendo nuovi ristoranti o occupando le cucine di quelli già avviati.
Mangiare fuori porta divenne così uno dei lasciti post rivoluzionari che meglio si inserì nel tessuto sociale francese e che a macchia d’olio conquistò il mondo intero. Basti pensare che nella sola Parigi si passò da qualche decina di ristoranti nel decennio 1780-1790, a oltre 600 sotto l’impero di Napoleone, fino a superare i 3.000 ristoranti nel corso della seconda Restaurazione.
Proprio come accade nel racconto dedicato a Manceron, parte della trasformazione culturale della società occidentale passa tra i tavoli dei primi ristoranti. Se dapprima, mangiare nelle taverne o nelle osterie era cosa da proletariato in quanto si poteva giovare di un risparmio economico (sfruttando quelle che oggi chiameremmo economie di scala); nel corso del XIX secolo gli stessi luoghi trasformati in ristoranti diventano ritrovi in cui discutere di politica ed economia, dove il cibo e le bevande diventavano parte di una vera e propria esperienza culturale e la capacità manuale dello chef una vera attrazione di cui disquisire.
Ecco che la socialità è il risultato primario di questa importante trasformazione gastronomica. E accompagna così le tre belle coetanee libertà, uguaglianza e fratellanza nella formazione di una nuova società moderna. Fonte: IL GUSTO, Carlo Petrini, 14.03.2022