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Lug 23 2024

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CARLO PETRINI: “CAMBIARE PARADIGMA, VUOL DIRE CONCENTRRARSI NON SUL PREZZO, MA SUL VALORE DEL CIBO”

A WineNews, il fondatore Slow Food, sulla dignità del lavoro, sulla lotta al caporalato, sull’innovazione e sull’educazione alimentare dei giovani

Il gastronomo Carlo Petrini, ritratto da WineNews

Dal dopoguerra ad oggi la produzione alimentare si è concentrata prioritariamente sul contenimento dei prezzi. Questo perché come popolo italiano ci portiamo dietro la memoria della carenza di cibo e di quanto costava, e l’impossibilità di avere livelli di nutrizione adeguate, e questo tipo di impostazione in 50 anni ha ridotto fortemente l’incisione dell’alimentazione rispetto ai salari di tutti noi. Non è detto che sia stata una cosa positiva, anzi, si sta rivolgendo contro i nostri interessi, perché da un lato depaupera l’ambiente e dall’altro non garantisce non solo la qualità del prodotto, ma anche la giustizia sociale rispetto a chi lavora. Cambiare il paradigma, vuol dire passare da avere molta concentrazione sul prezzo degli alimenti verso un’attenzione al valore degli alimenti. È quindi l’elemento valoriale che deve essere elemento distintivo di questa nuova fase storica”. Lo ha detto il fondatore Slow Food Carlo Petrini, a “tu per tu” con il direttore WineNews Alessandro Regoli, riflettendo sulla necessità di una nuova cultura che restituisca valore al cibo, una sorta di atteggiamento “comprare la metà, ma pagare il doppio”, di fronte al nostro sistema alimentare basato sulla massificazione della produzione per avere il massimo profitto al minor costo possibile, che porta ad uno spreco enorme nei consumi e, soprattutto, a tollerare l’iniquità e fenomeni di sfruttamento umano.
Far capire questo concetto anche in un momento difficile della nostra vita da un punto di vista economico e sociale, non è facile. “Per passare a questa attenzione valoriale – sottolinea il fondatore Slow Food, aspettando “Terra Madre Salone del Gusto” 2024 (Torino, 26-30 settembre), il cui messaggio sarà “We Are Nature” – è necessario implementare non solo l’informazione, ma anche l’educazione alimentare specialmente nei confronti delle giovani generazioni. Molti di questi saperi erano trasmessi per via domestica da madre in figlia, da padre in figlio. Oggi questo cordone ombelicale si è reciso e l’esigenza che noi tutti avvertiamo è che ci sia una riflessione e anche un’educazione per capire bene quali sono le dinamiche di un sistema così complesso come il sistema alimentare, per conoscere bene la provenienza dei cibi e sapere il loro costo reale. Insomma, abbiamo bisogno di porre al centro di questa fase storica un atteggiamento di maggior consapevolezza rispetto non solo alla qualità del cibo, ma anche alla sostenibilità ambientale ed economica”.

Una fase storica in cui al cibo, anche se non sembra, si dà poco valore, ma è così nei confronti del lavoro che c’è dietro per produrlo. “L’informazione che più manca ai cittadini è la provenienza del cibo – secondo il gastronomo – se tutti noi prestassimo attenzione a quanti chilometri ha fatto il cibo che noi quotidianamente mettiamo sulla tavola, avremmo delle grandi sorprese. La “deambulazione” del cibo sta diventando una iattura perché ha dei costi, ma ha anche delle iniquità che noi non possiamo tollerare. Del resto un Paese non può garantire al 100% il cibo che consuma. Sono pochissimi i Paesi che hanno questa autonomia. Chi come l’Italia non ce l’ha, deve impegnarsi ad avere una serie di relazioni e rapporti che garantiscano l’equità dei trattamenti nei confronti dei lavoratori, sia in campo agricolo che sul fronte della trasformazione. È una vera e propria rivoluzione che questa fase storica della transizione ecologica chiede a tutti noi di mettere in essere”.

Si dà tanto risalto ai rincari dei prezzi dell’agroalimentare, mentre si parla meno di quelli di altre merci che comunque pesano sul budget delle persone: alla fine se un chilo di pasta che costa 2 euro aumentasse anche del 50% si arriverebbe a 3 euro per far mangiare 5 persone. Negli anni Sessanta l’incidenza del cibo rispetto ai salari delle persone era addirittura sul 30%. Oggi stiamo scendendo sotto il 9% – ricorda il sociologo – è evidente che questo ha lasciato spazio per altri generi di consumi. Ma noi non possiamo più operare a ribasso per quello che riguarda il cibo, pena compromettere la qualità e la giustizia sociale. Slow Food e io personalmente abbiamo messo in essere una riflessione che poi si è esplicitata nel cibo buono, pulito e giusto. Questi tre elementi distintivi dell’alimentazione mai come in questa fase chiedono di essere tutti quanti garantiti. Non solo la qualità organolettica, ma anche il fatto che la produzione del cibo non distrugga l’ambiente e non metta sotto schiaffo le persone che ci lavorano. Allora, per garantire queste tre cose, l’attenzione verso il giusto prezzo va aumentata. E risottolineo il giusto prezzo. Non si può continuare all’infinito ad abbattere i costi dell’alimentazione se vogliamo mantenere una qualità. Perché, diversamente, se noi non riconosciamo questi prezzi in maniera equa e reale, andremo a pagare le conseguenze magari sul fronte della salute e dell’ambiente”.

A mettere “sotto schiaffo” le persone che lavorano in agricoltura, c’è il grave fenomeno del caporalato, che nel nostro Paese esiste, e non da oggi. Possiamo auspicare che contrastarlo in maniera efficace sia di interesse collettivo e non oggetto di strumentalizzazioni politiche, evitando una grande ipocrisia collettiva, e sperando in una politica alta che sappia fare lo stato dell’arte e che sappia guardare al futuro con umanità e realismo con un pragmatismo illuminato, invece delle indignazioni che poi, comunque, non trovano soluzioni pratiche e reali nell’interesse dei lavoratori, ma anche delle imprese serie. “Il superamento del caporalato che è da tutti condiviso, porta in sé una riflessione rispetto allo status di migranti – risponde l’attivistaperché avere sotto schiaffo migliaia e migliaia di persone che vengono a lavorare nel nostro Paese senza il riconoscimento del diritto ad esserci, praticamente, essendo a tutti gli effetti dei clandestini, sta generando lo sfruttamento oltre ogni limite. Quindi da questo punto di vista, siccome tutto è connesso, non possiamo ragionare in termini di superamento del caporalato se non riconosciamo la dignità dei lavoratori e non consideriamo i permessi di lavoro. Penso che su questo fronte c’è molto da fare anche in Italia, arrivando anche al superamento della legge Bossi-Fini che queste problematiche non se le poneva, mentre oggi sono determinanti perché garantiscono interi comparti, e siamo, peraltro, in presenza di un calo demografico che ci porterà assolutamente a richiedere mano d’opera qualificata. E il riconoscimento di questa mano d’opera passa attraverso un atteggiamento di equità e di giustizia”.

La maggior parte delle imprese lavora in modo serio, ma i casi di caporalato sono comunque tanti, come spieghiamo su WineNews, tra singole imprese che sfruttano i lavoratori o casi cosiddetti di “caporalato collettivo” in cui magari la maggior parte dei player di un territorio si affidano a cooperative di servizi che si rivelano opache, fino, nei casi più estremi, al caporalato mafioso e criminale. E non sono immuni neanche i territori di riferimento del vino. “Negli ultimi anni sul fronte del reperimento di mano d’opera agricola si è “istituzionalizzata” una sorta di intermediazione attraverso cooperative che sono l’espressione dei Paesi di origine di questi migranti e molte volte sono queste cooperative a fare il lavoro sporco e pagare poco, a non avere attenzione verso i diritti di questi lavoratori, e chi è il beneficiario non è direttamente interessato alle condizioni di lavorospiega Petrini – bisogna dire chiaramente che chiunque beneficia di questo lavoro non può far ricadere le iniquità contrattuali sull’intermediazione di queste cooperative. È lui il primo responsabile, non ci si può lavare le mani dicendo che la responsabilità è degli altri: questo sistema va smantellato”.

Dall’altro lato, la cronica difficoltà nel reperire lavoratori in campagna porterà l’agricoltura a puntare, per il suo progresso, sempre di più sulla strumentazione tecnologica, dall’innovazione e dalla ricerca. Per il fondatore Slow Food, “l’esigenza in campo agricolo di mettere in essere nuove tecnologie non è solo collegata alla riduzione della forza lavoro e di un lavoro meno duro, ma anche alla salvaguardia dei terreni e della biodiversità. Io penso che questa attenzione verso le nuove tecnologie sia fondamentale e significa, per l’appunto, avere un’attenzione nei confronti di chi lavora e anche di chi ha a cuore una maggiore efficienza. Sto parlando innanzitutto rispetto alle materie prime di base, come l’acqua per esempio, per avere terreni fertili. Le nuove tecnologie ci aiuteranno a risparmiare questi patrimoni, e ad avere un atteggiamento più attento verso l’ambiente la biodiversità”.

Slow Food lo dice da sempre, dalla sua nascita, e anche i fondatori WineNews c’erano in quegli anni Ottanta del Novecento di grande rivoluzione culturale nel mondo dell’agricoltura, del cibo, del vino: il sistema della produzione alimentare va rivoluzionato per ragioni ambientali, ma anche etiche. “Io penso che la sfida di rendere il lavoro agricolo eticamente corretto e avere una produzione che rispetti l’ambiente e la forza lavoro, la biodiversità e il patrimonio dei terreni fertili, che questi atteggiamenti virtuosi, saranno quasi una via obbligata, perché, da un lato, abbiamo il degrado ambientale, legato, primo tra tutti, al cambiamento climatico che ci impone di cambiare questi paradigmi, ma secondariamente abbiamo anche una nuova generazione di cittadini che è pienamente cosciente di avere davanti un futuro molto problematico, e non è disponibile a sacrificarlo con comportamenti che non sono più confacenti – dice Carlin Petrini – quindi il cambio di paradigma è assolutamente necessario, e io penso che, già oggi, questo movimento è iniziato e si sta diffondendo in tutto il Paese”.

Un movimento che affonda le radici nella rivoluzione del cibo che, nell’ultimo mezzo secolo, ha interessato tutto il mondo, grazie a Slow Food, e che vede nell’educazione alimentare delle giovani generazioni lo strumento per rispettare la natura, l’agricoltura e il lavoro dell’uomo, ricordando l’appello lanciato dalla Chiocciola “Con il cibo si cambia, con il cibo si educa che punta a raccogliere un milione di firme per introdurla nelle scuole, e che ha mosso anche il Governo. “Educazione e corrette informazioni stanno alla base del cambio di paradigma – conclude il fondatore Slow Food – non può avvenire un cambio di comportamenti così rilevanti come quelli che sono in essere in campo alimentare senza avere la coscienza che molti di questi saperi devono essere condivisi, devono essere spiegati, devono diventare patrimonio comune. Siamo arrivati a un punto che queste battaglie si possono fare solo se dal punto di vista culturale e politico c’è una mobilitazione vera”.   Fonte: WineNews, 19.07.2024

 

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