Partito con l’idea di rendere etico e sostenibile ciò che mangiamo, il gastronomo visionario ha dato vita ad un movimento globale. Il fondatore di Slow Food sarà al Festival di Green&Blue nella serata del 5 giugno, al Tempio di Venere e Roma
Un visionario, una specie di monaco laico. Un “ateo pio”, come lo chiama il suo amico Jorge Mario Bergoglio, Pontefice di Santa Romana Chiesa. Carlo Petrini (anche un altro suo amico, Carlo d’Inghilterra, si chiama così: dev’essere un piccolo destino) è per tutti Carlìn, alla piemontese, il suo nome vero, che è un diminutivo mai così “accrescitivo”, anzi ormai un superlativo assoluto: perché il “Carletto”, il “Carlino” ha creato mondi, e ora li osserva muoversi anche senza di lui, visto che da qualche tempo ha lasciato la presidenza di Slow Food. “Arriva il momento, ed è giusto deciderlo in autonomia, non viverlo come un’imposizione”.
Ora che è diventato, anzi è rimasto, il rettore dell’Università delle Scienze Gastronomiche di Pollenzo, profondo Piemonte, a due passi dalla sua amata e natìa Bra, Carlo Petrini può voltarsi a guardare il panorama della sua vita, che resta un orizzonte anche se sta, in parte, dietro le spalle.
ll sodalizio con Carlo III. Petrini e il futuro re si conoscono nel 2004 a Torino nella prima edizione di Terra Madre. Nel 2007 Petrini è ospite del principe nella sua tenuta di Highgrove House e riassumerà le conversazioni con Carlo III, di fronte al camino, sull’agricoltura biologica in un articolo per Repubblica (12 dicembre 2007)
Rivede quel giorno, ad esempio, nel quale lui e la sua confraternita di ghiottoni fondarono Slow Food: il luogo non poteva che essere una trattoria, cioè il “Boccondivino” di Bra, l’anno il 1986. Un boccone divino, ma anche un sorso di vino, facciamo anche due o tre, rigorosamente “rus” (rosso) e “piemontèis”. Oppure, quell’altra volta in cui Carlìn ebbe un’intuizione mondiale, nel 2004, ormai quasi vent’anni fa: creare Terra Madre, consesso di contadini di tutto il pianeta, e soprattutto del sud del mondo, uniti in una comunità di intenti, di prodotti e di idee. Due autentiche genialità gemelle.
Carlìn è diventato il massimo rappresentante di ciò che, legato al cibo (e tutti noi siamo quello che mangiamo, naturalmente non solo in senso chimico, fisico o biologico ma sociale e umano), viene coniugato nel rispetto delle tre parole chiave di Slow Food: buono, pulito e giusto.
La lentezza (slow…) come stile di vita, capacità di apprezzare e gustare a fondo ogni boccone che ci offre, senza fretta, senza omologazione continua, senza quel maledetto “fast” che, non soltanto nel cibo, sta straziando i nostri giorni. E se l’aggettivo è essenziale, il sostantivo (food) è il fulcro dell’intero sistema che ormai 160 “succursali” di Bra nel mondo seguono con chiarezza.
Rendere etico e sostenibile ciò che mangiamo, dunque ciò che viene prodotto, eliminando sfruttamenti e distorsioni. La stagionalità è un altro principio fondativo: perché la terra dà i suoi frutti quand’è il momento, e di questi dobbiamo reimparare a nutrirci. Tutto ciò che è fuori stagione è un vizio, un capriccio che però costa denaro e sofferenza alle coltivazioni, dunque al pianeta. Che non ha affatto risorse illimitate.
Anzi, il tempo per salvarci è sempre più ridotto. La siccità di questi anni non è certo legata soltanto ai capricci del clima: il riscaldamento globale è una tragica realtà indotta dall’uomo, che sta violentando l’ecosistema per motivi strettamente economici. Ed è come se stessimo prendendo a picconate la nostra stessa casa: presto o tardi, se non ci fermiamo, crollerà. Perché presto è già tardi.
Il fascino di Carlìn è irresistibile. Seguire i suoi ragionamenti nel bell’ufficio di Pollenzo, tra ragazzi che imparano un mestiere che è quasi una missione, rappresenta un’esperienza unica, così come lo è la galleria fotografica sorprendente, sugli scaffali dietro la scrivania larga come una portaerei: dove Carlìn sta insieme ai grandi e ai “piccoli” della Terra. Il più grande di tutti, certamente Papa Francesco.
“Era un sabato sera, ricordo, saranno state le sette e mezza. Mi squillò il cellulare, e la voce era quella di Francesco. Un’emozione indescrivibile. Mai, nella vita, avrei immaginato di parlare con un Papa”. Ne sarebbe stata fiera sua madre Maria, ortolana, religiosissima, ma ne sarebbe stato orgoglioso anche il padre Giuseppe (Maria e Giuseppe, quasi un presepe!), ferroviere comunista. Anche Carlìn, in fondo, lo è rimasto, se questa parola in apparenza antica e pressoché estinta ancora indica qualcosa di comune: l’intento, lo sforzo, la divisione equa dei prodotti ottenuti dal nostro lavoro, il sentirsi bene insieme, in comune.
La telefonata con Bergoglio. “È un mondo più bello quello in cui puoi abbracciare un Papa. Per me è stato come parlare a un amico”. Petrini riceve la prima chiamata di Bergoglio: ne nasce un’amicizia fatta di dialoghi e confronti raccontati in un libro “TerraFutura. Dialoghi con Papa Francesco sull’ecologia integrale” (2 ottobre 2013)
“Con il Papa ci siamo incontrati tre volte, e sono stati momenti bellissimi. Anche perché tra noi parliamo in dialetto: lui ricorda molte delle parole che gli insegnarono i suoi nonni e i suoi genitori, originari di Portacomaro, nell’Astigiano, a un tiro di schioppo dalla mia Bra. La religiosità delle nostre nonne aveva un’impronta umana e concreta, si calava nella vita di ogni giorno, nei valori della civiltà della campagna: non era certo una fuga dalla realtà, ma il modo di farla quadrare. Ecco perché io ebito. Quello che ci interessa, più di tutto, è la salute del pianeta”. Carlìn e il Papa si fanno anche dei regali: “Io gli mando gli agnolotti del plìn, cioè del pizzicotto, minuscoli e squisiti, e lui mi spedisce i rosari”.
Carlìn è davvero tante cose insieme. Guida spirituale (questa parola si può usare, eccome, anche per un laico e per di più ateo), ma anche filosofo. Scrittore e conferenziere. Capo tribù e gastronomo. Sociologo e attivista. Time Magazine lo ha inserito tra gli eroi del nostro tempo, categoria innovatori. E lui lo è, sebbene antichissimo: perché la virtù dei comportamenti alimentari e produttivi può davvero cambiare il mondo.
Si pensi soltanto a quanto cibo sprechiamo, a quanta roba mettiamo nel frigorifero e poi non riusciamo a consumare. Questa è una malattia occidentale, da ricchi sciuponi, però le conseguenze si pagano soprattutto nel Sud del mondo. La sofferenza dei nostri sbagli e del nostro onnivoro egoismo ricade sempre sui poveri.
Se una sera il cellulare di Carlo Petrini gli portò la voce del Papa, un’altra volta lo condusse a conoscere il futuro re d’Inghilterra. È noto l’impegno di re Carlo nelle questioni ambientali, il terreno perfetto per un incontro a suo modo “mitico” che si svolse, qualche anno fa, sulle colline piemontesi, naturalmente a tavola. “Il rigidissimo protocollo della casa reale inglese ci aveva avvertito che Carlo, la sera, si ritira sempre abbastanza presto. Io pensai: “sì, vedremo”. Finì che parlammo, mangiammo e bevemmo fino alle due di notte”.
Molti sono gli alleati di Carlo Petrini nella sua ormai quarantennale opera. L’Arcigola, il Gambero Rosso, la parte più virtuosa della sinistra politica o di quel che ne resta, alcuni organi d’informazione tra i quali, certamente, Repubblica. E dalle idee è sempre nata un’altra idea, in un cortocircuito memorabile che ha portato, come si diceva, alla nascita di Terra Madre, oltre al Salone del gusto di Torino, a Cheese, la rassegna/mercato del formaggio nel cuore di Bra, e al genovese Sloow Fish.
A Torino “Terra Madre”. Cinquemila delegati da 130 Paesi, tra cui contadini, pescatori, artigiani, musicisti, cuoche e cuochi, accademici di tutto il mondo per tre giorni danno vita a laboratori, incontri, scambi, esperienze. Terra Madre promuove piccole azioni locali che hanno grandi ripercussioni a livello mondiale
Ma è Terra Madre l’orgoglio più grande di Carlìn, qualcosa che davvero non ha confini. Ed è sufficiente recarsi anche una sola volta in Piemonte, nei giorni del raduno dei contadini di tutto il mondo, per capire la portata di un’idea che è diventata una rivoluzione. Uomini e donne che magari, all’inizio, non comprendono una parola tra loro, ma capiscono immediatamente che sono fratelli gemelli: nel lavoro, nel piegarsi sulla loro e sulla nostra madre terra, nel coltivare, raccogliere, vendere, comprare, mangiare. E che meraviglia, quanto colore nello scambio di questa umanità ospitata dai contadini di Langhe, Roero e Monferrato, come se esistesse una sola popolazione unita da comuni intenti, problemi e risorse. Ogni volta sembra il set di un film: persone che arrivano, talvolta in costume o abbigliate come quando lavorano nei campi, e vagano sorridendo, alla ricerca di un indirizzo e di un senso. E neppure uno che alla fine resti senza capire, senza sentirsi in qualche modo a casa. Neppure uno che rimanga solo.
Terra Madre è, dunque, questa incredibile rete mondiale che raggruppa le “comunità dell’alimentazione” impegnate, ciascuna nel suo contesto geografico e culturale, a salvaguardare la qualità delle produzioni agro-alimentari locali. Le comunità condividono i problemi generati dalla pratica di un’agricoltura intensiva, pregiudizievole nei confronti delle risorse naturali, e da un’industria alimentare di massa tendente all’omologazione dei gusti, e in grado di mettere in crisi l’esistenza stessa delle produzioni su piccola scala. Lo spirito che si coglie incontrando questa gente è lo stesso che si ritrova nei mercati di campagna, dove i contadini, da sempre, si recano con i loro prodotti nella sporta, a “chilometro zero”, come si dice oggi: è il bello di Terra Madre è avere riconquistato e rivendicato quello “zero”, che sa di ecologia e sostenibilità, dunque di democrazia, avendo però percorso quasi tutti i chilometri del mondo.
L’incontro con Mattarella. ll Presidente della Repubblica riceve al Quirinale Carlo Petrini. Il settembre successivo Sergio Mattarella è all’inaugurazione di Terra Madre e Petrini lancia una proposta: “Vorrei che ci fosse un orto al Quirinale, perché se è la casa degli italiani, non può non avere un orto vero” (26 gennaio 2016)
Carlìn, sedentario nell’animo come ogni contadino, è però anche un viaggiatore, invitato in ogni continente a raccontare come si possa salvare quello chedi bello e di pulito, di buono e di giusto ci rimanga prima della distruzione delle risorse. Un quadro per certi versi apocalittico, sicuramente drammatico, mentre con ogni probabilità ci attende un’altra estate rovente, forse la più calda di tutti i tempi; però Carlìn non perde mai il sorriso e neppure l’ottimismo, che sa trasmettere con quell’inconfondibile cadenza piemontese che, come ogni vera immersione nelle profondità dei dialetti, dunque delle tradizioni e delle nostre radici, cancella diffidenze e distanze. Perché Carlo Petrini è anche una persona molto simpatica e alla mano, quella mano sempre tesa nell’incontro con la tua, sempre accompagnata da una battuta. Lo conoscono in tutti gli angoli del mondo, eppure lui si comporta come se fossimo tutti suoi amici del paese e del borgo.
Ed è anche una questione di piacere: non “piacere agli altri”, sebbene Carlìn piaccia moltissimo, ma il piacere che il nostro corpo prova in determinate circostanze. Non solo il piacere di mangiare e bere bene, ma di sentirsi all’interno di qualcosa di giusto e importante. Lo ha ben capito Michele Serra: “Il piacere è un diritto di tutti, non solo dei ricchi, aveva detto Carlo Petrini festeggiando i trent’anni di Slow Food. Non credo esista una frase più autenticamente e profondamente democratica, più di sinistra. Di conseguenza l’equivoco sull’elitarismo di Slow Food, e più in generale sullo “snobismo” di chi, in epoca di massificazione, si batte per la qualità e la bellezza, è schiettamente di destra. Niente è più classista che ritenere le masse immeritevoli, in quanto tali, di un salto di qualità. Il populismo è antipopolare: benedicendo il popolo “così com’è” gli nega il diritto all’emancipazione, alla cultura e al piacere. Petrini è la smentita vivente dello stupido luogo comune sul radicalismo come vezzo intellettuale delle élite. È radicale, ma non è per niente chic. È un contadino. Dei contadini ha l’eleganza ruvida e l’assenza di fronzoli nelle relazioni umane. È socialista: difende le comunità agricole del pianeta dalla morte sociale e dalla morte identitaria (esiste anche la biodiversità delle persone), le mette in rete, con Terra Madre ha creato una vera e propria Internazionale contadina, migliaia di ragazzi (soprattutto ragazzi) che credono nel lavoro, nella natura, nello spirito di comunità. È uno dei pochissimi casi nei quali la sinistra ha vinto”. Ecco, quest’idea della “biodiversità delle persone” potrebbe essere un altro mantra di Carlìn. Lui la pratica da sempre. Fonte: laRepubblica, Green-Blue, Maurizio Crosetti, 21.05.2023