Il 70% del consumo mondiale è destinato al comparto agricolo: per garantire la sopravvivenza del pianeta va ripensata la gestione delle risorse naturali, in primis quella idrica. Fagioli, ceci, lenticchie e rucola ne richiedono meno, avocado e pomodori i più dispendiosi
La giornata mondiale dell’acqua dello scorso 22 marzo ha portato a galla tematiche di estremo interesse sotto diversi punti di vista: dall’inquinamento delle acque e delle falde acquifere, all’innalzamento del livello del mare per via della fusione dei ghiacciai; dalla preoccupante siccità che compromette la fertilità del suolo, alle sempre più frequenti inondazioni causate dal cambiamento climatico e dall’annessa tropicalizzazione del clima nella zona mediterranea.
Nella veste di gastronomo vorrei dunque approcciarmi al tema dall’acqua ponendo l’accento su come questa risorsa inestimabile incida in maniera determinante sia sulla parte di produzione degli alimenti nel campo, sia sulla parte di trasformazione del cibo nelle cucine.
Carlo Petrini
Partiamo dal fatto che oggi il 70% del consumo mondiale di acqua è destinato al comparto agricolo. Dunque, l’attenzione che ogni cittadino dovrebbe destinare al tema dell’acqua non si deve limitare alla gestione dello spreco a livello domestico. Piuttosto, attraverso una maggiore informazione e scelte più coscienziose, sarebbe importante iniziare ad adeguare il nostro fabbisogno alimentare all’impatto idrico dei singoli alimenti.
Per esempio, una mossa utile sarebbe contenere quella moda alimentare che è diventato il consumo di avocado (è stato stimato che per far crescere un singolo frutto di avocado sono necessari circa 70 litri di acqua). Questo favorirebbe una migliore gestione delle risorse idriche in molte zone del mondo come Cile, Messico, California ma anche nella nostra Sicilia dove la conversione di interi agrumeti in favore del frutto esotico comporta un aumento di oltre tre volte del consumo di acqua nei campi. Se siete appassionati di orto, invece, è bene sapere che cetrioli e pomodori giocano il ruolo dei più assetati; ma anche zucchine, peperoni, sedano, lattuga e ravanelli necessitano quotidianamente di una buona dose di acqua. Ecco che nei periodi di siccità, come quello che buona parte della nostra Penisola sta vivendo ormai da mesi, sarebbe opportuno scegliere di coltivare e consumare varietà che richiedono un’irrigazione più modesta, ad esempio: i legumi come fagioli, ceci e lenticchie o anche la rucola.
Proprio il persistere della carenza idrica potrà modificare i connotati del nostro settore primario in maniera significativa. Negli anni a venire, numerosi coltivatori potrebbero trovarsi costretti a cambiare le coltivazioni o i metodi agricoli con cui ottenerle. È bene sapere che questo andrebbe a trasformare i territori, i paesaggi e di conseguenza anche le tradizioni gastronomiche.
Guardando però la storia della gastronomia, è del tutto incomprensibile la mancanza di rispetto che la nostra società ha sviluppato nei confronti delle risorse idriche. Infatti, sebbene con il termine cotto tendiamo a far riferimento a un alimento trasformato per mezzo della gestione del fuoco e del calore, non possiamo dimenticare come la gestione dell’acqua nelle pratiche culinarie giochi da sempre un ruolo da protagonista. Nel medioevo per esempio bolliti, brodi, stufati rappresentavano l’umile cucina del popolo ma anche un’economia casalinga che puntava a massimizzare l’apporto proteico e calorico proprio grazie alla raccolta dei nutrienti attraverso l’utilizzo dell’acqua nella cottura.
Una relazione quella tra acqua e cibo che trova la sua massima espressione nel legame con i cereali e le farine che ne derivano. Si partiva con l’utilizzo dell’energia idrica – oggi diremmo “pulita” – per macinare chicchi e semi; per poi arrivare a mescolare acqua e farina in modo da generare vari tipi di impasti che nel corso dei secoli hanno certamente agevolato la sopravvivenza di interi popoli.
Ed è proprio se vogliamo garantire la presenza del genere umano su questo Pianeta e scongiurare i rischi a cui ci siamo sottoposti con le nostre stesse mani, noi oggi siamo chiamati a ripensare alle azioni e ai comportamenti che assumiamo nei confronti delle risorse naturali. L’acqua è prima di tutto un bene comune e questo implica un impegno costante da parte di tutti nel risanare un rapporto con questa molecola che costituisce il 70% del nostro pianeta. La Repubblica, IL GUSTO, Carlo Petrini, 27.03.2022