Nel suo ultimo libro, il divulgatore Federico Butera fa chiarezza sulle questioni ambientali, dall’inquinamento all’acidificazione degli oceani, sottolineando come bruschi cambiamenti di stato negli ecosistemi potrebbero destabilizzare anche il funzionamento delle nostre economie.
Abbiamo profondamente alterato il metabolismo del super-organismo biosfera, e le manifestazioni di questa alterazione sono state, negli ultimi decenni, la sua febbre (il riscaldamento globale) e la progressiva perdita di biodiversità, che è il principale indicatore della salute degli ecosistemi. Sono due, dunque, i fenomeni, le malattie, che minacciano la stabilità del sistema Terra, e quindi la società umana: il riscaldamento globale e la perdita di biodiversità. E dobbiamo cercare di riportarli sotto controllo. Il tutto è complicato dal fatto che i due fenomeni sono fra loro connessi, ed entrambi incidono negativamente sulla sola cosa di cui non possiamo assolutamente fare a meno: il cibo; con l’aggravante che la produzione di cibo, a sua volta, è la causa principale della perdita di biodiversità e una delle cause del cambiamento climatico.
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Tra milioni di anni, uno strato di roccia fra quelli accumulati sulla superficie terrestre rivelerà la nostra impronta nello stesso modo in cui oggi possiamo vedere i segni dell’esistenza dei dinosauri nelle rocce del Giurassico, o l’esplosione della vita che segnò il Cambriano. La nostra influenza si manifesterà attraverso i cambiamenti nella chimica degli oceani, la scomparsa delle foreste e l’espansione dei deserti, lo sbarramento dei fiumi, il ritiro dei ghiacciai, i reperti fossili che mostreranno l’estinzione di varie specie animali, gli oggetti di plastica, i materiali radioattivi.
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Gaia non muore, ci insegna la storia della Terra con le estinzioni di massa, si rigenera, e l’umanità dovrà trovare un nuovo modello di interazione con il suo habitat per partecipare al processo di rigenerazione.
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Dobbiamo ricucire lo strappo dell’“antica alleanza” fra uomo e natura, un’alleanza che anche in passato abbiamo a volte tradito pagando conseguenze pesanti. Dobbiamo farlo stipulando una nuova alleanza non fra pari che mediano le loro esigenze, ma in un rapporto che riconosce che l’uomo è parte della natura, non “altro” in contrapposizione.
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La salute dell’uomo e la salute del pianeta sono strettamente legate attraverso l’alimentazione. Alla dieta più adatta per garantire una vita sana corrisponde un mix di produzione agricola che contribuisce al mantenimento dell’umanità entro lo Spazio operativo sicuro, cioè dentro i limiti planetari.
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Si è già osservato che il cambiamento climatico presenta numerose interconnessioni con gli altri processi per i quali sono stati identificati i limiti planetari. Contribuiscono infatti al cambiamento climatico i cicli biogeochimici, i cambiamenti degli usi del suolo e l’emissione di aerosol. A sua volta, il cambiamento climatico contribuisce alla perdita di biodiversità, altera la disponibilità, e quindi l’uso, di acqua dolce e, attraverso la desertificazione, contribuisce al cambiamento dell’uso dei suoli. La causa del cambiamento climatico, l’aumento della concentrazione di CO2 in atmosfera, è inoltre causa dell’acidificazione degli oceani.
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Nell’attuale modello economico e culturale la cooperazione è fortemente promossa solo all’interno delle aziende, per aumentarne la produttività, e qualche volta fra aziende, per competere con altre aggregazioni. Quindi il motore è sempre la competizione. E in questi casi non discendono le due pratiche che dalla cooperazione dovrebbero derivare naturalmente: la condivisione e la solidarietà. Eppure, condivisione e solidarietà sono state per millenni le roccaforti delle famiglie e delle comunità. E ora che viviamo in un mondo interconnesso e globalizzato la comunità è il pianeta Terra, e condivisione e solidarietà dovrebbero diventarne la roccaforte.
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A salvarci, invece, sarà un salto di paradigma culturale. Non più competizione più importante della cooperazione e della solidarietà. Non più natura come altro da noi, da sfruttare, ma noi come parte della natura. Non più livello di sviluppo di una civiltà misurato in termini di ricchezza di beni materiali.
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L’enfasi sul solo cambiamento climatico come origine di tutti i mali e come solo problema da risolvere per rimettere le cose a posto è sbagliata, perché nasconde mali non meno gravi. Credere che sostituendo il fotovoltaico al petrolio, l’eolico al carbone, il biogas al gas naturale, la plastica biodegradabile a quella fatta col petrolio torneremo in armonia con l’ambiente è un errore che porta a lasciare le cose come stanno, continuando a navigare verso la catastrofe, solo a velocità più ridotta.
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In un mondo in cui la spiritualità è andata perduta e dove la crescita illimitata ha guadagnato lo status di una religione, questa connessione con altri esseri umani e altre specie, questa sensazione di essere incorporati in un insieme più grande, di avere uno scopo e lavorare attivamente al benessere degli altri e del pianeta, deve essere posta alla base del nuovo modello economico e culturale. È questo il “Green New Deal”, il nuovo accordo fra uomo e natura.
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La terribile esperienza che tutto il mondo ha vissuto con la pandemia dovuta al Covid-19 può considerarsi una specie di prova generale di quello che può succedere, e inevitabilmente succederà, per effetto del cambiamento climatico e della perdita di biodiversità, se non prendiamo i provvedimenti necessari.
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Il cambiamento climatico rinforza la pandemia. Nelle ondate di calore indossare la mascherina è un supplizio, e si toglie. I meno abbienti, quelli che non hanno una casa con l’aria condizionata, tendono a concentrarsi in casa di quelli che ce l’hanno, aumentando la probabilità di diffusione del virus. La combustione di combustibili fossili, lo spargimento dei liquami degli allevamenti intensivi nei campi e gli incendi aumentano la quantità di particolato (PM 10 e PM 2,5) nell’aria, e il particolato potrebbe essere un vettore del virus; di sicuro l’inquinamento da particolato induce malattie polmonari e cardiovascolari croniche che rendono i soggetti particolarmente vulnerabili, con più elevato rischio di mortalità se contagiati dal coronavirus.
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Il mondo è stato travolto per effetto di un piccolissimo virus che molto probabilmente, da uno dei miliardi di pipistrelli che esistono al mondo (o da un pangolino), in un luogo preciso – a Wuhan, in Cina, sembra – si è trasferito in un uomo. E da lì, come un neutrone in una bomba atomica, dove per ogni atomo colpito ne emergono altri due ciascuno dei quali ne genera altri due e così via, e si ha la reazione a catena, si è diffuso molto rapidamente nel mondo. Per l’emergenza ambientale la situazione è simile, ma più grave, perché il futuro dell’umanità sarà definito non da un’unica emergenza ma da molte crisi separate e correlate, ciascuna delle quali potrebbe essere quel battito d’ala di farfalla in Brasile che scatena l’uragano in Texas.
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Il percorso non è lineare, o comunque predefinito, lo sappiamo, è piuttosto come la rotta di una barca a vela. Lo skipper sa dove vuole andare, ma deve tenere conto delle correnti e del vento che lo portano fuori rotta, e quanto lo portano fuori rotta dipende dalla loro intensità e direzione, e dalle caratteristiche dell’imbarcazione, oltre alla sua capacità di nocchiero. Così, per raggiungere il porto di arrivo probabilmente dovrà prima allontanarsene, per poi riavvicinarsi, bordeggiando. Se poi incapperà in una tempesta, potrebbe decidere di fermarsi qualche tempo in un altro porto, dove ripararsi e riparare i danni al sartiame. Fonte: Linkiesta, Greenkiesta, foto Pixabay, Federico Butera, 29.03.2021
Federico M. Butera, Affrontare la complessità. Per governare la transizione ecologica, Edizioni Ambiente, 2021, pp. 312, 26 euro