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Gen 19 2023

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BERGAMO E BRESCIA: CAPITALI DEL GUSTO ANCHE A TAVOLA

Da un lato la Franciacorta, dall’altro i paccheri dei fratelli Cerea, su un versante i formaggi più tradizionali, sull’altro la cucina creativa di Riccardo Camanini. Due città e due province raccontate nei loro sapori più veri 

Ci siamo: il cuore della Lombardia diventa capitale italiana della cultura, con Bergamo e Brescia che condividono titolo e incoronazione e che, con il 20 gennaio, prendono lo scettro che passeranno il prossimo anno alla marchigiana Pesaro. Due città che hanno tanto da raccontare, far vedere e ascoltare: ma basterebbero i loro assaggi e il retroterra gastronomico delle rispettive province a giustificarne, nella sola chiave alimentare, una designazione più che meritata.

Basta pensarci un decimillesimo di secondo e i pensieri si trasformano in una tempesta di nomi, nozioni e ricordi: i vent’anni che hanno legato Gualtiero Marchesi a Erbusco, la saga vittoriosa dei fratelli Cerea e quella, altrettanto avvincente, di Riccardo Camanini, la dolce vita (in pasticceria, s’intende) di Iginio Massari, la Franciacorta da bere, ma anche il mezzo millennio di storia della polenta taragna, i formaggi dalla pianura alla montagna (dagli stracchini al Taleggio, dallo Strachitunt al Formai dal Mut, al Bagòss, al Silter, al Fatulì) e l’esegesi ancor più remota dei salumi, anche qui punto di congiunzione tra la Bassa (dove oggi se ne concentra la maggior parte) e la catena orobica. Basterebbe questo a giustificarne l’elevazione a polo culturale-bandiera della penisola, pur con le rispettive differenze e campanili. Valga l’esempio, quella dei casoncelli/casonsei, le mezzelune di pasta ripiena che a Bergamo si condiscono anche con la pancetta croccante e a Brescia no (ma qui anche il ripieno è differente: carne di vitello e formaggio nella città del Colleoni, più semplice con pane secco, burro e Grana Padano per quelli della Leonessa). Altri elementi invece uniscono, come la tradizione della sarda essiccata sul lago di Iseo, lo specchio d’acqua di confine tra le due terre centrolombarde.

Insomma, i due poli cittadini significano davvero molto quanto a passato e avanguardia di una gastronomia che oggi ha influenze in tutto il mondo, come insegna il vino-bandiera, il Franciacorta Docg, oggi oltre 20 milioni di bottiglie vendute ogni anno ai quattro angoli del pianeta, con una quota di export oltre il 10%, senza dimenticare la zona del Lugana, sempre in provincia di Brescia, o le colline bergamasche della Valcalepio o del Moscato di Scanzo.

Terra di grandi cuochi, presidiata da Marchesi proprio negli anni che hanno segnato il passaggio tra il vecchio e il nuovo secolo. E terra di nuove firme: in Franciacorta è arrivato (da ormai quasi sei anni) anche un maestro indiscusso della pizza, Franco Pepe, con La Filiale  all’Albereta Relais & Chateaux;  sempre a Erbusco si gioca anche la nuova avventura del “re della ciccia” Dario Cecchini con Quintale.

Oggi, invece, Bergamo accoglie uno dei ristoranti di Enrico Bartolini, che (solo dodici anni fa!) iniziava a farsi davvero notare non lontano dal confine, al Devero di Cavenago (provincia di Monza Brianza). Diventerà in pochi anni lo chef più stellato d’Italia con dodici macaron della Guida Rossa e tra poco il suo Casual vivrà un importante trasloco in Città Alta, proiettandosi verso nuovi traguardi.

Anche le province giocano un ruolo importante e decisivo, e non solo perché sono terre che alimentano, con i loro ingredienti, dispense generose: a Brusaporto di Bergamo ‘Da Vittorio’ ha scritto la storia, sdoganando definitivamente l’uso della pasta secca in un ristorante gourmet (il riferimento è al loro leggendario pacchero) e oggi i fratelli Cerea esportano nel mondo – da Shangai a Saigon – una filosofia che è, insieme, l’identità più estesa di un made in Italy. E così pure a Gardone Riviera dove Riccardo Camanini continua a scalare le vette della ristorazione mondiale, ottavo nel mondo per i 50 Best Restaurant 2022. Ma un pensiero va anche a chi non c’è più e avrebbe interpretato con entusiasmo due territori dove ha vissuto, lavorato, e di cui ha portato i prodotti-bandiera alla massima espressione: ovvero Vittorio Fusari, scomparso troppo presto tre anni fa, a 66 anni, chef galantuomo che lavorò nelle due province centrolombarde, marcando il segno anche al Pont de Fer sui Navigli di Milano (un altro luogo del cuore che non c’è più).

Nel 2017 il comprensorio della Lombardia orientale, con Bergamo e Brescia a fare da baricentro insieme con le province di Mantova e Cremona, hanno avuto il titolo di ‘regione europea della gastronomia’, progetto internazionale per la valorizzazione dei territori della gastronomia nel continente, promosso dall’International Institute of Gastronomy, Culture, Arts and Tourism (per il 2023 è l’Hauts-De-France, che nel 2024 lascerà il posto al Saimaa, la regione dei laghi finlandese). La sfida parte ora, ed è avvincente: rendere queste due città da mordere, da assaggiare, facendo entrare il cibo negli eventi e prendendo coscienza dell’occasione irripetibile che i prodotti di queste due terre hanno per proporsi alla ribalta nazionale, anche come ghiotta anteprima delle olimpiadi invernali che, nel 2026, toccheranno Lombardia e Veneto. Insomma, se gastronomia è cultura e se Bergamo e Brescia ne sono le capitali, è tempo di sedersi a tavola, davanti a un piatto di casoncelli delle due città, a discutere per ore su quali siano quelli “veri”, facendo finta di non sapere che è un interrogativo al quale non si può dare risposta.    Fonte: laReppubblica, ILGUSTO,  Jacopo Fontaneto, 19.01.2023

 

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