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Ago 16 2019

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BATTERI SOTTO PRESSIONE, E IL LATTE FRESCO DURA 40 GIORNI

Un nuovo latte pronto per essere venduto in due isole dei Caraibi scade dopo oltre un mese grazie ad un metodo messo a punto negli USA sviluppando un ricerca avviata nella Russia sovietica

Un latte fresco che scade dopo quaranta giorni. Sembra una contraddizione in termini eppure oggi è possibile, grazie a un’idea nata nell’ex Unione Sovietica, ma mai sviluppata per mancanza di fondi e messa a punto negli ultimi anni dagli scienziati della Purdue University negli Stati Uniti. Si tratta di un metodo che si aggiunge – non sostituisce – la tecnica che da metà dell’Ottocento del secolo scorso ha rivoluzionato il nostro modo di rapportarci con il latte e altri alimenti deperibili: la pastorizzazione, cioè un processo termico che mira ad eliminare i batteri più pericolosi. Normalmente il latte viene portato a 63 gradi centigradi per 20-30 minuti o a 75 gradi per alcune decine di secondi.

Nonostante lo sviluppo tecnologico degli ultimi decenni, oggi in Italia per legge il latte fresco non può avere una scadenza superiore ai 6 giorni a partire da quello del trattamento. Ma anche all’estero è difficile che si superino gli otto giorni. Un’alternativa che ha trovato un buon riscontro sul mercato è quella del latte microfiltrato, un prodotto che oltre ad essere pastorizzato passa attraverso dei microscopici filtri in grado di separare i microrganismi patogeni

dalla parte liquida e più nutritiva del latte magro, prima di essere miscelato con la parte più grassa. Il latte microfiltrato dura fino a dieci giorni dopo il trattamento termico.

Nel nuovo metodo, la cui efficacia è stata messa alla prova in uno studio pubblicato sulla rivista Springerplus il latte viene riscaldato per pochi secondi a una temperatura inferiore a quella della pastorizzazione standard e sottoposto a pressione per poi essere “sparato” in una camera di lavorazione attraverso degli ugelli che lo riducono a minuscole goccioline, una specie di latte spray. I microrganismi del latte subiscono così un doppio shock: la pressione cala e la temperatura aumenta. E non avendo intorno più liquido col quale “proteggersi”, muoiono. Successivamente il latte viene riscaldato ancora a 60 gradi per un minuto.

Gli scienziati che hanno messo alla prova questo nuovo metodo, che appartengono sia alla Purdue University che alla University of Tennessee, hanno dimostrato che, rispetto alla normale pastorizzazione, la carica batterica del Lactobacillus fermentum e del Pseudomonas fluorescens viene ulteriormente ridotta fino a non essere più rilevabile. Oltre all’aumento della mortalità dei batteri e al prolungamento della shelf life, lo studio sottolinea come il latte sottoposto a pressione e basse temperature conservi le stesse qualità organolettiche. Nessun impatto negativo sul sapore, insomma, con un minor consumo di energia (e di soldi, dal punto di vista del produttore).
Il nuovo metodo è già uscito dai laboratori ed è stato messo sul mercato dalla società americana Millisecond Technologies, che per il momento collabora con l’azienda portoricana Tres Monjitas per commercializzare il latte fresco super-duraturo nelle Isole Vergini Americane, a Saint Martin e nella Repubblica Dominicana. Non è un caso che soprattutto i primi due mercati siano isole piccole, difficilmente raggiungibili: è in questi contesti che i prodotti a lunga durata sono un vero valore aggiunto perché consentono di risparmiare sui costi di approvvigionamento, a condizione che la catena del freddo non venga mai spezzata.

“Sembra una tecnica molto efficace per ridurre la carica batterica del latte, che è uno degli alimenti più critici da questo punto di vista” spiega Marco Silano, direttore dell’area operativa Alimentazione, nutrizione e salute dell’Istituto superiore di sanità. Tuttavia Silano esprime due perplessità: “La prima domanda che mi pongo è quanto sia utile, almeno nel mercato occidentale dove si possono trovare più punti vendita nell’arco di poche centinaia di metri, allungare la shelf life del latte. Il secondo dubbio: un trattamento di questo genere ha delle conseguenze sulle vitamine e le proteine e la qualità nutrizionale del prodotto potrebbe risentirne”.

Le proteine, precisa il ricercatore, potrebbero essere denaturate e diventare inattive, così come le vitamine, soprattutto la D che è quella che contribuisce a fissare il calcio sulle ossa. “Nello studio che conferma l’efficacia di questo nuovo metodo di trattamento del latte non si fa alcun riferimento all’impatto che ha sulle qualità nutrizionali e questo aspetto credo che vada approfondito con ulteriori studi”. Fonte: National Geographic, Federico Formica, 16.08.2019

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