Ogni chicco di Coffea sfoggia un corredo di aromi unico e distintivo. Per questo un caffè solo non basta: è ora di sperimentare, proprio come facciamo con il vino
Foto di Battlecreek Coffee Roasters su Unsplash
Immaginate di entrare in un ristorante e chiedere un vino, uno qualsiasi. Proprio come facciamo quando entriamo al bar la mattina chiedendo un caffè. Non è la stessa cosa, direte. Eppure se pensate che un vino sia più complesso di un caffè sappiate che, proprio come il vino, il caffè contiene oltre un migliaio di composti aromatici. Un po’ meno persistenti e identificabili di quelli del più blasonato compagno di bevute, ma sono tutti lì: miele, gelsomino, frutta gialla e lampone, nocciola e cioccolato.
La complessità delle nuances che può assumere la bevanda tratta da un chicco di caffè è espressa visivamente nella Coffee Taster’s Flavor Wheel, la Ruota dei Sapori che vi sarà forse capitato di vedere in qualche caffetteria, esposta anche perché è un oggetto esteticamente piacevole. Ma è anche assai utile. Pubblicata per la prima volta nel 1995 dalla Specialty Coffee Association of America (Scaa) e aggiornata nel 2016 in collaborazione con World Coffee Research (Wcr) è lo strumento utilizzato nelle sessioni di assaggio professionali, sorta di degustazioni di caffè, per descrivere le note aromatiche espresse da un particolare chicco.
Presenta 86 spicchi di colori diversi, ognuno dei quali rappresenta un aroma. Alcuni di questi ci stupiscono: assocereste a primo acchito pompelmo, whisky o pisello al caffè?
Gli aromi occupano la parte esterna della ruota e sono suddivisi in 16 categorie e 9 gruppi base (fruttati, floreali, dolci, frutta secca/cacao, vegetali, tostati e fermentati), andando sempre più nello specifico man mano che ci si allontana dal centro. Si va dalla cannella alla nocciola, dal cioccolato fondente al miele al lampone, passando per rosa e gelsomino. Ma anche pesca e arancia, lime e camomilla per sprofondare su fenolico, petrolio, legno, cenere e stantio.
Questa lunga premessa ci sembra utile per sfatare, una volta per tutte, il mito italico del caffè unico, quello che chiediamo distrattamente ogni volta che entriamo al bar. Dove ci danno quell’unico esemplare che hanno a disposizione, spesso nemmeno scelto con cura.
Eppure il caffè, come il vino, è un mondo complesso e, soprattutto, soggetto a gusti personalissimi. Bisogna provarne tanti prima di capere quale ci piace di più: saremo attirati dalle note di gelsomino e dalla piacevole acidità di un etiope o dalla dolcezza e dalle note di frutta e cioccolato di un colombiano?
Il caffè insomma dovrebbe essere un sistema aperto dove poter testare quello più adatto ai propri gusti e, anche, all’occasione. Spaziando dalla miscela classica del supermercato a quella acquistata nella torrefazione storica, o nei negozi online delle microroastery, piccole torrefazioni che stanno crescendo anche in Italia con la proposta di referenze specialty, ovvero chicchi di alta gamma, coltivati e lavorati con tecniche avanzate e rispettose dell’ambiente ma soprattutto della giusta remunerazione dei coltivatori.
A ognuno il suo caffè
Trovato il proprio caffè occorre una macchina domestica, automatica come la Gaggia Accademia o manuale come la Gaggia Classic, icona del rituale dell’espresso a casa, per poterlo estrarre al meglio. Da questo punto di vista Gaggia, marchio che oltre 80 anni fa inventò il caffè espresso italiano come lo conosciamo oggi, fu all’avanguardia anche nel campo di caffè e flavori, quando nel 2019 durante il Salone del Mobile milanese presentò tre miscele, una più citrica, una più cioccolatosa e una più fiorita, abbinandoli a tre diversi colori e pattern e creando un percorso olfattivo e gustativo associato a sezioni della ruota, con pannelli che richiamavano in modo grafico gli elemento aromatici. A ognuno il suo colore, a ognuno il suo caffè. fonte: Linkiesta, Gastronomika, 28.04.2023