MONTEPULCIANO D’ABRUZZO, LE DECLINAZIONI DEL DOLCETTO 2010 , MERLOT 2008, I GRILLO DI SICILIA, BRUNELLO DI MONTALCINO 2007, PINOT BIANCO 2011
La prima notizia storica sulla presenza del vitigno Montepulciano in Abruzzo è contenuta nell’opera di Michele Torcia, archivista e bibliotecario di Re Ferdinando IV, dal titolo Saggio Itinerario Nazionale pel Paese dei Peligni (Napoli 1793) il quale ebbe infatti modo di osservare il vitigno Montepulciano e di degustarne il vino nell’agro sulmonese. La provenienza di questo vitigno nell’area sulmonese resta sconosciuta ma l’ipotesi più accreditata, e nella tradizione ancora si considera, è che venisse considerato un sinonimo del Sangiovese o di qualche sua forma o sottovarietà come Brunello o Prugnolo, diffusi nel territorio di Montepulciano, in Toscana, cambiato da subito in Montepulciano, secondo la consuetudine dell’epoca di chiamare con il nome geografico di provenienza i vini e spesso anche i relativi vitigni.
È storia recente la disputa fra i viticoltori abruzzesi e il Comune di Montepulciano (Toscana) circa le origini del vitigno. In realtà è stato a lungo utilizzato per indicare vitigni assolutamente differenti, e di fatto è una varietà a sè stante la cui variabilità varietale non è motivo per confonderlo con altri vitigni che hanno qualche
carattere in comune. L’origine rimane quindi dubbia per non dire sconosciuta.
A prescindere comunque dal vero luogo di provenienza sta di fatto che in Abruzzo nei primi decenni dell’ottocento il vitigno Montepulciano restò in splendido isolamento nella Conca Peligna, dove ebbe modo di
rinnovarsi e di evolversi sotto il profilo ampelografico. La presenza del vitigno Montepulciano in terra d’Abruzzo risale quindi ad oltre due secoli. Qui, grazie al particolare microclima della regione, ha trovato le migliori condizioni per vegetare e produrre vini di grande valore, pieni, robusti e al contempo eleganti e profumati. Il Montepulciano si può quindi considerare a tutti gli effetti un vitigno autoctono abruzzese ed attualmente conta per circa il 50% della superficie vitata regionale, ossia circa 18.000 ettari.
Il vitigno è diffuso principalmente nel centro e sud Italia: nelle Marche (in provincia di Ancona e Ascoli Piceno), nel Molise (Campobasso), in Puglia (Foggia), Emilia Romagna (Rimini), Lazio e Toscana.
È un vitigno a bacca rossa, mediamente vigoroso, con foglia medio-grande pentagonale e pentalobata, grappolo di medie dimensioni, compatto o semi-compatto, di forma conica o cilindrico conica, provvisto di una o due ali, acino medio, di forma sub-ovale con buccia pruinosa, spessa e consistente di colore neroviolaceo.
È piuttosto tardivo, poiché la maturazione si colloca quasi sempre nella seconda decade di ottobre, la forma di allevamento più utilizzata, purtroppo, è il tendone ma i nuovi impianti e le migliori aziende adottano forme compatte a spalliera tipo cordone speronato e guyot, con potatura medio-corta e fittezze elevate. Preferisce terreni di medio impasto, profondi e ben esposti, clima tendenzialmente caldo e asciutto.
Molto sensibile all’oidio e agli acari, meno a peronospera e muffa grigia, soggetto ad acinellatura sia verde che dolce. Ben sopporta le gelate primaverili per la tardività del germogliamento.
In linea generale il vitigno Montepulciano dà origine a vini dalle caratteristiche organolettiche decisamente interessanti, di immediata piacevolezza se bevuto giovane, mentre dimostra di essere complesso e di stoffa superiore se maturato a lungo in botti di rovere.
Il Montepulciano d’Abruzzo Doc, coltivato in una grande area che racchiude le province di Pescara, Chieti, Teramo e L’Aquila, viene ottenuto unicamente da vigneti ubicati in terreni collinari o di altopiano, la cui altitudine non deve essere superiore ai 500 metri s.l.m. ed eccezionalmente ai 600 metri per quelli esposti a mezzogiorno. La resa massima di uva non deve superare i 140 q.li per ettaro mentre la gradazione alcolica minima deve essere pari all’12%. Il Montepulciano d’Abruzzo è ottenuto quasi esclusivamente dalle uve del vitigno omonimo, con l’eventuale piccola aggiunta (max 15%) di altre uve provenienti da vitigni a bacca rossa idonei alla coltivazione nel territorio della regione Abruzzo.
Da solo rappresenta il 75% del totale dei vini a denominazione prodotti in Abruzzo ed è tra i primi tre vini doc
prodotti in Italia.
Dal 2003 è stata riconosciuta la DOCG al Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane riservandola esclusivamente ai 31 comuni presenti sul territorio delle Colline Teramane in provincia di Teramo dove la qualità e i caratteri tipici del vino sono superiori. È il microclima che rende quest’area, la migliore di tutta la regione; il sottosuolo è calcareo-argilloso, ottimo per la vite, inoltre la presenza di numerosi corsi d’acqua ne favoriscono lo sviluppo, il quale trae vantaggio anche della vicinanza con il mare.
Viene impiegato il vitigno omonimo, con l’eventuale aggiunta (max 10%) di sangiovese, coltivato su terreno collinare o altopiano, ad altitudine massima di 550 metri. La resa massima non deve superare i 95 quintali per ettaro e la gradazione minima deve essere di 12,5%. Viene sottoposto ad invecchiamento di due anni di cui almeno un anno in botti di rovere o di castagno e sei mesi di affinamento in bottiglia; se sottoposto ad un
periodo di invecchiamento non inferiore a tre anni può portare in etichetta la menzione “riserva”.
Dalla vendemmia 2006 il disciplinare di produzione del Montepulciano d’Abruzzo Doc riconosce cinque sottodenominazioni: “Terre dei Vestini”, “Casauria o Terre di Casauria”, “Alto Tirino”, “Terre dei Peligni” e “Teate”.
Il risultato della degustazione: Una serata rassicurante
Gli incontri del lunedì sono ripresi ieri sera con il Montepulciano d’Abruzzo della vendemmia 2008 ed è stata una serata rassicurante perché fatta di tante conferme. Il Montepulciano si è confermato uno dei più grandi vitigni italiani per personalità e piacevolezza, le sottozone si sono confermate mediamente migliori delle aree più generiche e, più ancora, le Colline Teramane, area a denominazione controllata e garantita, confermano quanto sia giusta la loro superiorità gerarchica, perché stanno un gradino più su di tutte le altre zone abruzzesi. Un’altra conferma, anche se non proprio positiva, ci viene dall’annata 2008 che anche ieri sera non ci è sembrata tra le migliori dell’ultimo decennio. Coerente il giudizio del nostro pubblico, che ha premiato il Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane Riserva Pignotto 2008 dell’azienda Monti (è un buon periodo per i Monti) seguito da Montepulciano d’Abruzzo Colline Terre di Casauria Riserva San Clemente 2008 di Ciccio Zaccagnini e dal Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane Oinos 2008 di San Lorenzo. Tra i Montepulciano d’Abruzzo dell’area generica si è distinto il San Martino Rosso Marina Cvetic 2008 di Masciarelli. Tutto sommato anche questa è una conferma: la qualità e la personalità che Gianni Masciarelli ha sempre conferito ai suoi vini continueranno nelle mani fidate della moglie.
Ma non potevamo lasciare che la serata finisse così liscia e scontata e allora abbiamo fatto un gioco. Abbiamo, sempre rigorosamente alla cieca, servito altri due vini del 2006, fratelli maggiori di due vini degustati precedentemente, ed esattamente il San Calisto di Valle Reale ed il San Martino Rosso Marina Cvetic di Masciarelli. Abbiamo chiesto al pubblico di trovare le due coppie di vini fratelli. Sapevamo che non sarebbe stata un’impresa facile e per sollecitare ancor più l’attenzione dei degustatori abbiamo messo in palio un premio a chi avesse trovato entrambe le coppie. Si sono messi tutti d’impegno ad annusare e riannusare, a gustare e rigustare tutti i bicchieri e poi, lentamente, ciascuno ha dato il proprio responso. I risultati non sono stati esaltanti, ma questo ce lo aspettavamo: su 30 degustatori presenti solo 2 hanno trovato il compagno del San Calisto e solo 3 quello del San Martino Rosso Marina Cvetic, ma nessuno li ha trovati entrambi, quindi il premio non è stato assegnato. In qualche modo anche questa è una conferma di quanto sia difficile degustare. È di questi giorni una dura presa di posizione di Denis Dubourdieu, enologo di fama mondiale, contro i bloggers, ovvero i degustatori improvvisati, i quali farebbero solo guai alla comunicazione del vino. Senza arroganza, ma confermiamo.
G.B.
I nostri soci presenti hanno votato:
Bita Astori: Montepulciano d’Abruzzo San Martino Rosso Marina Cvetic 2008 di Masciarelli, Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane Oinos 2008 di San Lorenzo, Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane Riserva Pignotto 2008 di Monti;
Oliviero Manzoni: Montepulciano d’Abruzzo Colline Terre di Casauria Riserva San Clemente 2008 di Zaccagnini, Montepulciano d’Abruzzo di Montori, Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane Riserva Pignotto 2008 di Monti;
Cristiano Gotti: Montepulciano d’Abruzzo Colline Terre di Casauria Riserva San Clemente 2008 di Zaccagnini, Montepulciano d’Abruzzo Mazzamurello 2008 di Torre dei Beati, Montepulciano d’Abruzzo San Martino Rosso Marina Cvetic 2008 di Masciarelli;
Silvio Magni: Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane Oinos 2008 di San Lorenzo, Montepulciano d’Abruzzo San Martino Rosso Marina Cvetic 2008 di Masciarelli, Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane Riserva Pignotto 2008 di Monti.
LE DECLINAZIONI DEL DOLCETTO
IL DOLCETTO
Origini e cenni storici
Secondo l’ipotesi più accreditata questo vitigno trarrebbe le proprie origini nella zona del Monferrato intorno all’anno 1000. Pur essendo citato all’interno di un documento del ‘500 (è citato dagli Ordinati Comunali di Dogliani a partire già dal 1593), le prime notizie certe risalgono alla fine del ‘700: all’interno dell’”Istruzione” del Conte Nuvolone sono infatti contenute notizie relative al vino “Dossut” ed alla relativa zona di produzione. Il Molon (1906)lo cita come vitigno tra i più coltivati nel nord Italia.
Storicamente, il Dolcetto era utilizzato soprattutto come merce di scambio: con la Liguria, dalla cui regione costiera ci si approvvigionava di olio, sale e acciughe, e con il cuneese, dove si barattava l’uva Dolcetto con i vitelli allevati in pianura.
Caratteristiche ampelografiche
Il grappolo è medio-grande, generalmente spargolo, allungato, di forma piramidale, provvisto di ali.
L’acino ha grandezza media, rotondo ma non uniforme all’interno dello stesso grappolo, con buccia pruinosa, sottile e dal colore nero bluastro. Esigente riguardo la tipologia di terreno, predilige matrici marnoso-calcaree; in terreni eccessivamente argillosi e freschi si possono verificare prematuri distaccamenti degli acini. Ha media vigoria e risulta idoneo a forme di allevamento poco espanse, potature corte ma ricche. La produzione è buona ma incostante. Sensibile a oidio e peronospora, tollera le gelate invernali e le brinate primaverili ma è sensibile alle piogge autunnali.
Zone di coltivazione
Viene diffusamente coltivato in diverse aree del Piemonte e in provincia di Imperia in Liguria; lo troviamo inoltre in alcune zone dell’Oltrepò Pavese, del Piacentino e del Milanese.
Le declinazioni del Dolcetto
Diano d’Alba o Dolcetto di Diano d’Alba DOCG
Resa: 80 q.li/ettaro; Gradazione alcolica minima del vino: gradi 12,00. Invecchiamento: 10 mesi. Con menzione di “Vigna”: Gradazione alcolica minima del vino: gradi 12,00. Invecchiamento: 10 mesi. Con qualificazione “Superiore”: Gradazione alcolica minima del vino: gradi 12,50. Invecchiamento: 10 mesi. Con menzione di “Vigna”: Gradazione alcolica minima del vino: gradi 12,50. Invecchiamento: 10 mesi. Sono previste menzioni geografiche aggiuntive con o senza la menzione “vigna”.
Ovada o Dolcetto di Ovada Superiore DOCG
Resa: 70 q.li/ettaro. Gradazione alcolica minima del vino: gradi 12,50. Invecchiamento: 12 mesi. Con menzione di “Vigna”: Resa: 60 q.li/ettaro. Gradazione alcolica minima del vino: gradi 13,00. Invecchiamento: 20 mesi. Con qualificazione “Riserva”: Gradazione alcolica minima del vino: gradi 12,50. Invecchiamento: 24 mesi. Con menzione di “Vigna”: Gradazione alcolica minima del vino: gradi 13,00. Invecchiamento: 24 mesi.
Dogliani o Dolcetto di Dogliani Superiore DOCG
Resa: 70 q.li/ettaro. Gradazione alcolica minima del vino: gradi 12,50. Invecchiamento: 16 mesi. Con menzione di “Vigna”: Gradazione alcolica minima del vino: gradi 13,00 Invecchiamento: 16 mesi.
Dolcetto di Dogliani
Resa: 80 q.li/ettaro. Gradazione alcolica minima del vino: gradi 11,50. Invecchiamento: non previsto. Con menzione di “Vigna”: Gradazione alcolica minima del vino: gradi 11,50
Dolcetto di Ovada
Resa: 80 q.li/ettaro. Gradazione alcolica minima del vino: gradi 11,50. Invecchiamento: non previsto.
Dolcetto d’Alba
Resa: 90 q.li/ettaro. Gradazione alcolica minima del vino: gradi 11,50. Invecchiamento: non previsto. Con menzione di “Vigna”: Gradazione alcolica minima del vino: gradi 12,00. Con qualificazione “Superiore”: Resa: 80 q.li/ettaro. Gradazione alcolica minima del vino: gradi 12,50. Invecchiamento: almeno un anno. Con menzione di “Vigna”: Gradazione alcolica minima del vino: gradi 12,50
Dolcetto delle Langhe Monregalesi
Resa: 70 q.li/ettaro. Gradazione alcolica minima del vino: gradi 11,00. Invecchiamento: non previsto. Con menzione di “Vigna”: Resa: 63 q.li/ettaro. Gradazione alcolica minima del vino: gradi 11,00. Invecchiamento: non previsto. Con qualificazione “Superiore”: Gradazione alcolica minima del vino: gradi 12,00. Invecchiamento: 14 mesi. Con menzione di “Vigna”: Resa: 63 q.li/ettaro. Gradazione alcolica minima del vino: gradi 12,00. Invecchiamento: 14 mesi.
Dolcetto d’Asti
Resa: 80 q.li/ettaro. Gradazione alcolica minima del vino: gradi 11,50. Invecchiamento: non previsto. Con qualificazione “Superiore”: Gradazione alcolica minima del vino: gradi 12,50. Invecchiamento: almeno un anno.
Dolcetto d’Acqui
Resa: 95 q.li/ettaro. Gradazione alcolica minima del vino: gradi 11,50. Invecchiamento: non previsto. Con qualificazione “Superiore”: Gradazione alcolica minima del vino: gradi 12,50. Invecchiamento: almeno un anno.
Langhe Dolcetto
Minimo 85%. Resa: 100 q.li/ettaro. Gradazione alcolica minima del vino: gradi 11,00. Invecchiamento: non previsto. Con menzione di “Vigna”: Resa: 80 q.li/ettaro. Gradazione alcolica minima del vino: gradi 11,00. Invecchiamento: non previsto.
Colli Tortonesi Dolcetto
Almeno 85%. Resa: 90 q.li/ettaro. Gradazione alcolica minima del vino: gradi 10,50. Invecchiamento: non previsto. Con menzione di “Vigna”: Resa: 80 q.li/ettaro. Gradazione alcolica minima del vino: gradi 10,50. Invecchiamento: almeno un anno
Pinerolese Dolcetto
Almeno 85%. Resa: 80 q.li/ettaro. Gradazione alcolica minima del vino: gradi 10,50. Invecchiamento: non previsto.
Monferrato Dolcetto
Almeno 90%. Resa: 90 q.li/ettaro. Gradazione alcolica minima del vino: gradi 11,00. Invecchiamento: non previsto
In quanto modi si può dire… Dolcetto – Il risultato della deguastazione
Non temete, non cederemo alle tentazioni delle facili poesie d’amore – oggi 14 febbraio è san Valentino – anche se nel titolo abbiamo parafrasato una seriosa canzone d’amore degli anni settanta. In effetti vi sono tanti modi di declinare il vitigno Dolcetto dinnanzi ad un grande numero di luoghi, essendo presente in ben tredici denominazioni piemontesi, senza contare le sue migrazioni verso la Valle d’Aosta e verso la Liguria dove prende il nome di Ormeasco. Il vitigno Dolcetto conta 6.000 ettari vitati con una produzione media di circa duecentomila ettolitri, è il ventitreesimo in classifica tra i più coltivati d’Italia ed in Piemonte è superato solo da Barbera e Moscato. Semplicissima la sua base organolettica, ma capace di acquisire mille sfumature dai diversi luoghi, dalle diverse annate e dalle mille mani che lo lavorano. È uno dei vini più facilmente abbinabili ai numerosi piatti della ricca cucina regionale e della semplice cucina familiare, ma anche della sofisticata cucina creativa ove si usino alimenti freschi, schietti e sinceri. Questi sono anche i termini che meglio descrivono le caratteristiche del Dolcetto, quello dell’annata, quello che non pretende di contendere il primato a nessuno, ma che sa offrire in alcuni casi una certa ricchezza e complessità. Nel vasto panorama dei Dolcetto si potrà trovare il vino schietto ed immediato nelle terre di Asti, di Acqui e del Monferrato; si andrà ad Alba se si vorrà trovare più consistenza, più morbidezza e un pizzico di viola, la stessa materia che si potrà trovare sorprendentemente anche nei Colli Tortonesi; se si vorrà aggiungere un tocco di finezza in più si potrà salire a Diano d’Alba; se vorremo, invece, trovare un po’ di rosa, un poco di struttura, tannini e spezie più dolci andremo ad Ovada e se vorremo, infine, trovare intensità maggiori, frutti più maturi e trama tannica vellutata andremo a Dogliani. Il responso del pubblico è stato netto ed inequivocabile: i maggiori consensi li ha ottenuti il Dolcetto di Dogliani Briccolero 2010 di Quinto Chionetti, un nome che è da molti anni sinonimo e garanzia di qualità. E ne siamo molto contenti, perché Chionetti è forse uno degli ultimi vignaioli che Luigi Veronelli ha amato e stimato. La seconda piazza se la sono guadagnata a pari merito il Dolcetto di Diano d’Alba Montagrillo 2010 di Claudio Alario ed il Dolcetto di Ovada San Lorenzo 2010 di Annalysa Rossi Contini; anch’essi autentici vignaioli veronelliani, ma ben più giovani e prestanti: il primo cresciuto alla scuola familiare iniziata dal nonno, la seconda allieva di quel Pino Ratto che tanto ha dato al Dolcetto e ad Ovada.
Per chiudere disinvoltamente, però, pensiamo che il Dolcetto sia un vino perfettamente adatto anche ad una cenetta di San Valentino, intima e a lume di candela, perché nelle sue molte sfumature saprà essere “Così violento, così fragile, così tenero, così disperato – e ancora – così vero, così bello, così felice, così gaio, così beffardo…” Basta, basta. Il signor Prevert ci scuserà, ma ci pare più che sufficiente.
G.B.
I nostri soci presenti hanno votato:
Bita Astori: Dolcetto di Dogliani Briccolero di Quinto Chionetti, Dolcetto d’Alba Basarin del Castello di Neive, Dolcetto d’Alba di Moccagatta.
Oliviero Manzoni: Colli Tortonesi Rosso campo del gatto di Claudio Mariotto, Dolcetto d’Alba Basarin del Castello di Neive, Dolcetto di Ovada San Lorenzo di Rossi Contini Annalysa.
Crhistiano Gotti: Dolcetto di Diano d’Alba Montagrillo di Claudio Alario, Dolcetto di Dogliani Briccolero di Quinto Chionetti, Dolcetto d’Alba di Moccagatta.
Origini e cenni storici
Vitigno originario del sud-ovest della Francia dove viene coltivato particolarmente nella zona di Bordeaux. Dalla Francia si è esteso a tutte le zone del mondo; in Italia arriva nel 1880 ed è oggi coltivato in tutto il paese. Le prime notizie relative alla presenza di questo vitigno in Italia sono ad opera di Sannino (1875) che ne cita la coltivazione nel distretto di Conegliano.
Il nome ricondurrebbe alla gradevolezza delle sue bacche nei confronti degli uccelli, in particolare del merlo.
Zone di coltivazione
Considerato uno dei vitigni miglioratori più plastici è presente su tutto il territorio italiano e viene vinificato sia in purezza che in taglio con vitigni nazionali e internazionali come il Cabernet con il quale dà vita al taglio bordolese.
Il vitigno
Vitigno precoce, raggiunge livelli di maturazione ottimali anche in microclimi freddi e si adatta a quasi tutti i terreni. Predilige sistemi di allevamento ad alta densità; è sensibile a peronospora, botrite e marciume acido mentre è resistente all’oidio. Sopporta abbastanza la siccità.
La foglia è di media grandezza, tri o pentalobata; il grappolo è medio, con 1 o 2 ali, più o meno spargolo con peduncolo rosato fino alla prima biforcazione.
L’acino è medio, tondo, di colore blu-nero dalla buccia pruinosa di media consistenza.
Il risultato della degustazione
Arrivato in Italia attorno al 1880 per ricostruire la viticoltura del Triveneto devastata dalla fillossera, il Merlot ha svolto onestamente il ruolo che gli era stato affidato, vale a dire quello di produrre buona uva da vino in cospicua quantità e senza eccessive oscillazioni annuali. Per un secolo questo fu il suo ruolo, senza che nessuno ne mettesse in discussione la validità. Le cose cominciarono a cambiare agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso, quando il mondo scoprì come, a fianco del Cabernet Sauvignon, fosse proprio il Merlot l’artefice di alcuni prestigiosissimi vini bordolesi; da quel momento nel mondo intero, e anche in Italia, si cominciò a guardare questo vitigno con altri occhi, con altri intenti e finalità.
Fu solo all’inizio degli anni Novanta, però, che il Merlot prese quasi il soppravvento sul Cabernet Sauvignon, ormai coltivato stancamente e banalmente ovunque, ritagliandosi uno spazio, un ruolo più snob, più sofisticato; e al contempo divenne anche la panacea di tutti i malanni e i malesseri, presunti o reali, della viticoltura italiana. Nacquero, così, i grandi Merlot d’Italia che, se all’inizio si contavano sulle dita di una mano, ormai si sono fatti numerosi. Schierati in diverse Regioni e a diverse altitudini, vantano una personalità distinta, carnosa e fragrante insieme, in grado di combinare argutamente potenza ed eleganza, consistenza e finezza, densità e bevibilità. I loro tannini sono finissimi, avvolgenti, setosi e capaci di sedurre anche il consumatore meno preparato, distratto o “in tutt’altre faccende affaccendato” (ah! come vorrei essere io l’inventore di questa frase!); il frutto è polpa densa e succosa, dolce e matura, come solo sa essere un frutto appena raccolto; il fresco guizzo vegetale si è sopito lasciando entrare una calda nota animale, confortevole e rincuorante.
Ma ieri sera tra la decina di vini in degustazione si è svelata l’eccellenza assoluta; un bagliore che mai si è verificato tra i nostri tavoli, tra i nostri degustatori, e tutti sono stati rapiti dall’inarrivabile qualità e personalità del Messorio Rosso Toscana 2008 di Le Macchiole. Siamo a Bolgheri, in un luogo magico della nostra moderna viticoltura, dove aria e acqua, terra e fuoco sanno creare un ambiente straordinario, unico ed irripetibile. Un vino senza confronti, senza competitori; solo La Ricolma Merlot di Toscana di San Giusto a Rentennano di Gaiole in Chianti e Casa Nocera Merlot di Toscana di Pagani de Marchi di Casale Marittimo sono riusciti a emergere e a farsi notare per la loro squisita eleganza e finezza. Mai si era verificato che tutti i degustatori facessero convergere unanimemente le loro valutazioni su un vino e che ben tre quarti lo ponessero al primo posto. Onore al merito di Cinzia Alberti, grandissima donna del vino, che ha saputo sfidare e vincere la cattiva sorte che le portò via il marito Eugenio Campolmi, primario e incontrastato genio della viticoltura bolgherese.
G.B.
I nostri soci presenti hanno votato:
Oliviero Manzoni: La Ricolma Merlot di Toscana di San Giusto a Rentennano, Grammonte Sicilia Merlot di Cottanera e, a pari merito, Casa Nocera Merlot di Toscana di Pagani de Marchi e Collio Merlot Graf de La Tour di Villa Russiz.
Cristhian Gotti: La Ricolma Merlot di Toscana di San Giusto a Rentennano, La Ricolma Merlot di Toscana di San Giusto a Rentennano, Breganze Merlot Crosara di Fausto Maculan.
Carlo Giupponi: La Ricolma Merlot di Toscana di San Giusto a Rentennano, La Ricolma Merlot di Toscana di San Giusto a Rentennano, e, a pari merito, Casa Nocera Merlot di Toscana di Pagani de Marchi e Breganze Merlot Crosara di Fausto Maculan.
Silvio Magni: La Ricolma Merlot di Toscana di San Giusto a Rentennano, La Ricolma Merlot di Toscana di San Giusto a Rentennano, e, a pari merito, Casa Nocera Merlot di Toscana di Pagani de Marchi e Breganze Merlot Crosara di Fausto Maculan.
Origini e cenni storici
Vitigno di probabile origine pugliese, importato in Sicilia dopo l’invasione fillosserica.
Secondo lo studio del 1951 di Rizzo, nel 1897 era diffuso nella provincia di Trapani ma altre testimonianze ne citano la diffusione fin da tempi più antichi; pare inoltre che già nel 1870 venisse utilizzato per la preparazione del Marsala.
Zone di coltivazione
La coltivazione del vitigno Grillo viene effettuata principalmente in Sicilia nella Provincia di Trapani. È presente anche in provincia di Agrigento e limitatamente in provincia di Palermo e Siracusa.
Negli anni ’60 del secolo scorso il Grillo occupava il 60% della superficie viticola della provincia di Trapani, attualmente ne occupa il 3%.
Il vitigno
Il grappolo è medio, di forma cilindrica o conica, solitamente semplice, qualche volta alato, spargolo o mediamente compatto. L’acino è medio-grosso, sferoidale con buccia trasparente, spessa e consistente, leggermente pruinosa, di colore giallo dorato con chiazze color ruggine.
È un vitigno che predilige sistemi di allevamento a scarsa espansione con potatura corta o mista per dare produzioni buone e costanti. È sufficientemente resistente alle principali malattie crittogamiche e tollera le avversità climatiche, soprattutto le temperature elevate.
il risultato della degustazione
Non si sa con precisione quando il Grillo arrivò in Sicilia, se prima o dopo la nascita ufficiale del Marsala che risale al 1773, ma si dice che già a metà Ottocento fosse l’uva più coltivata della provincia di Trapani, contendendo il primato al Catarratto, vitigno principe della Sicilia occidentale. Come sappiamo, però, le sorti del Marsala sono andate via via peggiorando, trascinando con sé anche le fortune del Grillo che subì un continuo ed inarrestabile declino, fino a giungere progressivamente agli attuali 6100 ettari di vigne. C’è, tuttavia, qualcosa che non ci torna in questa faccenda: ne farò un brevissimo riassunto. Si dice che il Grillo arrivò in Sicilia dalla Puglia, terra nella quale si presume sia giunto dalla Macedonia e quindi da oriente. Ma noi sappiamo che il Marsala nacque dai tradizionali vini perpetui del Trapanese e nella sua ben documentata storia non si accenna mai all’arrivo di un nuovo vitigno adattissimo alla sua produzione. D’altra parte anche gli ampelografi non ci aiutano molto, allorché descrivono il Grillo come particolarmente indicato per la preparazione del Marsala grazie alla sua elevata alcolicità ed alla sua facile ossidabilità. E allora ieri sera, quando sui nostri tavoli avevamo ben una dozzina di campioni di Grillo delle annate 2010 e 2011, cosa abbiamo assaggiato, visto e considerato che mediamente sulle etichette si parla di 13 gradi di alcol e che i 2010 avevano ben poco da invidiare in termini di freschezza agli imberbi 2011?
Francamente abbiamo l’impressione che gli ampelografi abbiano scambiato l’attitudine con la consuetudine, forse condizionati dal fatto che mancavano fino ad alcuni anni fa esperienze di moderna enologia su questo vitigno. Ma, col declino del Marsala, i vignaioli siciliani si sono chiesti cosa dovevano fare con quella marea di vigne di Grillo, Damaschino, Inzolia e Catarratto, ed hanno così provato a vinificarle separatamente e con diverse tecnologie; tra questi quattro vitigni è presto emerso come il Grillo fosse quello che più facilmente riusciva ad esprimere caratteri e personalità più spiccate e distinte; ieri sera, quindi, abbiamo voluto vederci chiaro, perché già da alcuni anni anche nelle degustazioni di Sicilia en Primeur il Grillo fornisce prove sempre migliori e più convincenti. Ha una freschezza invidiabile con alcolicità moderata, toni floreali di sicura eleganza, sapori vegetali molto fini ed un gusto agrumato dolce e maturo, di cedro e di limone. Sembra, per sua fortuna, carente di acido malico e mostra, dunque, un’acidità dolce e succosa, per nulla amara. Queste sue caratteristiche lo rendono un vino evocativo, un vino che racchiude tutta la sicilianità del mare, delle brezze estive, di agrumi e di origano. Fra tutti gli ottimi vini assaggiati ieri, dalle valutazioni di un pubblico stupito ed affascinato è emerso con forza il Zagra Sicilia Grillo 2011 di Valle dell’Acate seguito a breve distanza dal Grillo Sicilia 2011 di Feudo Montoni. Me ne terrò qualche bottiglia per i pomeriggi e le serate estive del Seminario, quando gli amici vengono a trovarci anche per via delle fresche brezze che spirano sulle Mura di Bergamo Alta. Vi aspettiamo.
G.B.
Presente solo Silvio Magni che ha così votato: Zagra Sicilia Grillo 2011 di Valle dell’Acate, Grillo Sicilia 2011 di Feudo Montoni
Il vitigno: Il Brunello si ottiene esclusivamente da uve Sangiovese (localmente chiamate Brunello), allevate prevalentemente con il sistema del cordone speronato che consente di ottenere una bassa resa per ettaro,
la quale, secondo il disciplinare di produzione, non può superare gli 80 quintali di uva ad ettaro.
È un vitigno generoso e quasi eccessivamente produttivo, soprattutto in terreni fertili, profondi e freschi, anche se privilegia quelli tendenzialmente siccitosi, dato che non teme la siccità. È mediamente sensibile alla peronospora, più sensibile a oidio e marciume, molto sensibile ad acari, meno a tignole e cicaline, soggetto a mal dell’esca. Teme la botrite, soprattutto nei cloni a grappolo eccessivamente compatto.
Ha foglia di media grandezza, pentagonale, quinquelobata, a volte trilobata; grappolo di grandezza da medio-piccola a grande, di forma conico-piramidale con una o due ali, più o meno compatto; l’acino è di media grandezza, subrotondo a volte quasi ellissoidale, di forma regolare piuttosto uniforme; la buccia è molto pruinosa, di colore nero-violaceo, consistente ma non molto spessa.
Caratteristiche climatiche e territoriali: Il territorio del comune di Montalcino (564 metri slm), delimitato dalle valli dell’Orcia, dell’Asso e dell’Ombrone, assume una forma quasi quadrata con una superficie di circa 243 kmq di cui il 29% pianura, il 70% collina e l’1% montagna. I vigneti occupano il 12% del territorio. La collina di Montalcino, essendosi formata in ere geologiche diverse, presenta caratteristiche del suolo estremamente mutevoli per costituzione e struttura: esistono zone con terreno ricco di calcare frammisto a scheletro costituito da scisti di galestro e alberese, zone con maggiore presenza di argilla e minore presenza di scheletro, zone costituite da terreni formatisi per trasporto di detriti alluvionali. Il clima è tipicamente mediterraneo con precipitazioni concentrate nei mesi primaverili e autunnali. La vicinanza del Monte Amiata in zona sud-est crea una protezione naturale contro eventi di particolare intensità quali nubifragi o grandinate. La maggior parte delle aziende vitivinicole è concentrata sulla fascia di media collina che non viene interessata da nebbie, gelate o brinate tardive mentre la frequente presenza di vento garantisce le condizioni migliori per lo stato sanitario delle piante. Il clima, prevalentemente mite e con elevato numero di giornate serene durante l’intera fase vegetativa, assicura una maturazione graduale e completa dei grappoli.
La denominazione Brunello di Montalcino: Nata come DOC nel 1966 (ma la zona di produzione era già stata delimitata nel 1932 dalla Commissione del Ministero dell’Agricoltura), ha ottenuto la DOCG nel 1980, primo vino italiano ad ottenere questo riconoscimento. Le ultime modifiche al disciplinare di produzione sono entrate in vigore nel 1998 completandone la fase di evoluzione durata circa 10 anni. Attualmente il disciplinare prevede un periodo minimo di affinamento in legno di due anni con immissione al consumo al 1 gennaio successivo al termine di 5 anni considerando l’annata della vendemmia (6 anni per la tipologia Riserva). Si sottolinea la scomparsa della parola invecchiamento sostituita da affinamento in legno, cambiamento voluto dal Consorzio in modo da definire in maniera più adeguata il processo di elaborazione effettuato per il Brunello. Le altre innovazioni erano state introdotte nel 1996: la possibilità di iscrivere all’albo dei vigneti una vigna con un proprio nome, la possibilità di effettuare la scelta vendemmiale fin dal momento della vendemmia cioè distinguere Brunello, Rosso o Sant’Antimo, il periodo di affinamento minimo obbligatorio in bottiglia fissato in 4 mesi (6 mesi per la tipologia Riserva), l’obbligatorietà dell’imbottigliamento solo nella zona di produzione cioè nel comune di Montalcino. La gradazione minima è 12,5° ma arriva con facilità ai 14,5°; l’acidità totale minima è di 5 grammi/litro e l’estratto secco minimo è di 24 grammi/litro
Il risultato della degustazione, ovvero le bugie hanno le gambe corte
La quiete dopo la tempesta: avevamo dato questo sottotitolo alla degustazione di ieri sera, sperando di riportare un poco di serenità attorno a questa tormentata Denominazione, ma così non è stato. Quel che è emerso più nettamente e pressoché unanimemente dai giudizi dei nostri degustatori, infatti, è la convinzione che al 2007 a Montalcino dovevano essere attribuite tre stelle e non le cinque che invece sono state ufficialmente assegnate dalle pompose ed anonime commissioni giudicatrici volute dal Consorzio. Sembrerebbe una battuta, ma l’anno del riscatto, l’anno della verità e della purezza si apre con una clamorosa bugia. Smemori del vecchio e famoso proverbio “non chiedere all’oste se il vino è buono”, a Montalcino sono andati addirittura a chiederlo a chi il vino lo produce. E così si sono auto-assegnati d’ufficio le cinque stelle, il massimo della valutazione, con buona pace degli ignari commentatori di tutto il mondo che ci hanno creduto e lo hanno raccontato Urbi et Orbi. D’altra parte tutti sanno benissimo che le annate eccessivamente calde ed asciutte non fanno molto bene al Sangiovese e non sempre basta avere qualche vigna in luoghi più freschi per raddrizzare un’annata che ha remato contro. Abbiamo già scritto le nostre impressioni su quest’annata di ritorno dall’Anteprima di metà febbraio e con questa ulteriore degustazione non possiamo che ribadire gli stessi concetti, gli stessi giudizi. Un’annata che avrebbe avuto bisogno di più fantasia e creatività, leggerezza e garbo in ogni fase di produzione. Ma per nostra e vostra fortuna c’è sempre qualche eccezione e dei quindici vini che ieri sera abbiamo assaggiato almeno tre sono emersi con impeto e slancio; per primo, il preferito della serata, dobbiamo mettere il Brunello di Montalcino 2007 di Podere Brizio, l’azienda di Roberto Bellini e Patrizia Mazzi, che è riuscito a dare maturità e consistenza ad un frutto troppo spesso sfuggente ed una trama serrata e fitta ad un tannino che altrove è apparso allentato e spigoloso. A seguire il Brunello di Montalcino 2007 di Capanna, che ha trovato un impeto di maturità e dolcezza, ed il Brunello di Montalcino Altero 2007 di Poggio Antico, che proprio nella freschezza e fragranza ha colto la sua composita eleganza. Ma non possiamo tacere qualche considerazione sul capostipite di questi vini, vale a dire il Brunello di Montalcino della Tenuta Greppo di Franco Biondi Santi perché questo vino continua a rappresentare schiettamente il paradigma della Denominazione, ma soprattutto è specchio fedele e preciso dell’annata così come si è espressa a Montalcino.
G.B.
I soci presenti hanno così votato:
Biìta Astori: Brunello di Montalcino 2007 di Podere Brizio, Brunello di Montalcino di La Gerla, Brunello di Montalcino di Capanna.
Carlo Giupponi: Brunello di Montalcino 2007 di Podere Brizio, Brunello di Montalcino Altero di Poggio Antico, Brunello di Montalcino di Capanna.
Silvio Magni: Brunello di Montalcino 2007 di Podere Brizio, Brunello di Montalcino di Capanna, Brunello di Montalcino Altero di Poggio Antico.
Per gli ampelografi il Pinot bianco ha sempre rappresentato fonte di ampia discussione. Ormai assodato che si tratta (così come il Pinot grigio) di una variante genetica del Pinot nero, è stato infatti a lungo confuso con lo Chardonnay (del quale d’altra parte possiede numerose caratteristiche comuni). Fino a trent’anni fa in Italia era spesso indicato come Pinot-Chardonnay e negli anni successivi alla fillossera spesso nel nord Italia le due varietà sono state reimpiantate l’una al posto dell’altra o insieme.
Probabilmente l’origine dei Pinot può essere fatta risalire al III-IV secolo dopo Cristo, come appare in un documento di ringraziamento all’imperatore Costantino del 312, redatto dagli abitanti della città di Autun, nella Còte de Nuits, nel quale viene citato un vigneto famoso per la sua qualità. Dopo un lungo periodo di decadenza e di abbandono dei vigneti, il governo dei Franchi e di Carlo Magno assegna le terre coltivabili e da bonificare agli ordini monastici che provvedono al recupero dei vecchi vigneti e alla creazione di nuovi con il materiale genetico che si era originato spontaneamente.
Il Pinot nero, vitigno ancestrale della famiglia dei Pinot, è, infatti, il risultato di un incrocio spontaneo tra il Traminer ed il Pinot Meunier.
Nel XVIII e XIX secolo, in Borgogna e in Champagne compaiono le tipologie dei mutanti cromatici
così come li conosciamo oggi: grigio, bianco, tete de nègre e teinturier. In Borgogna e in Champagne è stato poi praticamente bandito in quanto si è preferito lo Chardonnay e quindi la sua coltivazione è migrata verso l’Alsazia e la Germania, dove, infatti, viene chiamato Weissburgunder, ma è stato anche “esportato” in Stati Uniti, America latina e Australia.
In Italia originariamente ha trovato il suo clima adatto in Friuli, in Lombardia, in Trentino e nell’Alto Adige. La sua diffusione in Toscana risale invece al ‘700, quando i Lorena, granduchi di Toscana, ne sponsorizzarono la coltivazione. In Italia i Pinot bianco di maggior pregio vengono da alcune zone del Friuli e dell’Alto Adige. In queste zone particolarmente adatte al vitigno, le rese per ettaro sono molto basse e questo consente di produrre un vino bianco molto strutturato, morbido e grasso, che è anche adatto alla maturazione in barrique e si presta a essere invecchiato. Il Pinot bianco è particolarmente adatto ad essere spumantizzato e quindi entra a far parte delle cuveé dei migliori spumanti italiani del Friuli, del Trentino e della Franciacorta.
Il grappolo è piccolo o medio-piccolo, cilindrico, spesso con ala molto sviluppata, compatto. L’acino è piccolo, sferoidale con buccia scarsamente pruinosa, sottile, tenera dal colore giallo dorato, punteggiata. Trattasi di un vitigno di buon vigore produttivo, che predilige i terreni collinari tendenzialmente leggeri e permeabili. Non sopporta contenuti elevati di calcare attivo. Essendo sensibile alla botrite, non tollera i microclimi piovosi. Risulta sensibile anche a peronospora, oidio, marciume acido e flavescenza dorata, molto sensibile all’escoriosi. Ha scarsa resistenza al freddo invernale, media resistenza alle gelate primaverili e al vento. Si adatta molto bene a potature corte e a forme di allevamento ad alta densità.
Ettari coltivati in Italia:
PINOT GRIGIO 10.053
PINOT NERO 4.080
PINOT BIANCO 2.684
Il risultato della degustazione
Pensate a quanto sono strani i corsi e ricorsi della storia anche in campo viticolo: dal matrimonio tra un rosato Traminer ed un nero Pinot Meunier nasce il Pinot Nero che mostra subito qualche carenza di colore, ma soprattutto soffre di instabilità cromatica. In qualche caso dà vita a grappoli bicolori con qualche racemo o semplicemente qualche acino bianco, giallo o rosa, tanto che con il tempo da questa instabilità nasceranno alcune diverse varietà abbastanza stabili: Bianco, Grigio, Teinturier e Tête de Nègre. I primi due, chiari, saranno costretti ad emigrare in altre lande e riscuoteranno un certo successo, gli ultimi due, scurissimi, rimarranno in Patria ma un po’ nascosti e per nulla famosi, quasi disconosciuti e ripudiati.
Scacciato a suon di decreti dalla natia Borgogna, il Pinot Bianco iniziò, così, una lenta peregrinazione che lo portò prima in Alsazia e poi nelle valli fluviali della Germania; dal Brennero discese, quindi, la valle dell’Adige per poi disperdersi a macchia di leopardo tra Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia e persino in Toscana, e da qui, ma assai recentemente, in tanti luoghi dell’Italia intera. Questo il viaggio che ha percorso il Pinot Bianco, antico vitigno dalle nobilissime origini. Vantava una parentela più diretta con il capostipite, ma gli fu preferito il figlio ottenuto dal matrimonio con lo scapestrato e libertino Gouais Blanc, l’ormai celebre e celebrato Chardonnay con il quale è stato confuso fino ad una trentina di anni fa. Ma è stato il Pinot Bianco assieme al fratello Grigio ad essere l’interprete assoluto di quella rivoluzione dei vini bianchi nata in Friuli negli anni Settanta. È in quel periodo che il semplice nome Pinot diventa sinonimo di vino bianco di qualità ed andrà rapidamente alla conquista dei consumatori di tutta Italia.
Non vanta una grande quantità di ettari coltivati, ma dimostra un elevato indice di piacevolezza che nasce dalla sua schietta semplicità ma anche dalla sorprendente capacità di affrontare affinamenti anche in legno e di maturare lungamente in bottiglia.
Per i vini bianchi il 2011 sembrerebbe un’annata positiva, certamente di gran lunga superiore alla media delle ultime annate, nonostante una primavera ed inizio estate molto umide e fresche ma poi riscattate dalla notevole calura che ci ha accompagnati per il resto della stagione, una circostanza che, tuttavia, potrebbe aver causato qualche piccolo problema alla freschezza dell’acidità ed alla migliore espressività aromatica.
Dei dieci campioni che ieri sera abbiamo assaggiato è risultato chiarissimo ed inequivocabile solo il vino preferito, un saporitissimo e finissimo Collio Pinot Bianco 2011 di Fondazione Villa Russiz a Capriva del Friuli (Go), perché alle sue spalle si è formato un serrato gruppetto di vini tutti molto fini ed eleganti provenienti anche da diverse aree, ma separati tra loro di uno o due punti, quindi irrilevabile ai fini di una vera e propria classifica. Ne citerò tre come i più esemplari del loro territorio di origine: Alto Adige Pinot Bianco Moriz 2011 di Cantina Tramin a Termeno (Bz), Colli Orientali del Friuli Pinot Bianco 2011 di Scubla Roberto a Premariacco (Ud), Eliseo Toscana Bianco 2011 di Gualdo del Re di Suvereto (Li). Solo piccole sfumature che riescono, però, a cambiare il carattere di questo sensibile vitigno: dalla ricchezza dell’Alto Adige, alla sapidità friulana all’insolita espressività toscana. Ce n’è per tutti i gusti.
G.B.
I soci SF presenti hanno così votato:
Bita Astori: AA Pinot Bianco Moriz della Cantina Tramin di Termeno, Collio Pinot Bianco di Villa Russiz di Capriva del Friuli, AA Pinot Bianco Collection Dellago della Cantina Produttori di Bolzano
Oliviero Manzoni: AA Pinot Bianco Collection Dellago della Cantina Produttori di Bolzano, Eliseo Toscana Bianco di Gualdo del Re di Suvereto, Collio Pinot Bianco di Villa Russiz di Capriva del Friuli
Cristian Gotti: Collio Pinot Bianco di Villa Russiz di Capriva del Friuli, Eliseo Toscana Bianco di Gualdo del Re di Suvereto, AA Pinot Bianco di Franz Haas di Montagna
Carlo Giupponi: Collio Pinot Bianco dell’Azienda Livon di S: Giovanni al Natisone, Collio Pinot Bianco di Villa Russiz di Capriva del Friuli, AA Pinot Bianco Collection Dellago della Cantina Produttori di Bolzano
Silvio Magni: Collio Pinot Bianco di Villa Russiz di Capriva del Friuli, AA Pinot Bianco Collection Dellago della Cantina Produttori di Bolzano, AA Pinot Bianco Moriz della Cantina Tramin di Termeno