Al Passo San Marco, sulla Via Priula, crocevia di antichi traffici commerciali attraverso i quali le merci veneziane raggiungevano i Grigioni e più su le Fiandre, ha preso il via la serie di appuntamenti di Terra Madre In Quota. Non è un caso: oggi i pascoli e gli alpeggi attorno a quel luogo sono simbolo della Resistenza Casearia.
Graziati da una meteorologia che prevedeva tempo infausto e che invece ha alternato sprazzi di sole e nuvole ma senza l’annunciata pioggia, l’evento ha avuto inizio con la visita alla casera dell’ Azienda Agricola Fratelli Duca.
Mentre dava dimostrazione della preparazione del Bitto Storico, Carlo poco più che trentenne, ha spiegato con semplicità, ma con grande passione il lavoro dei malgari, le fatiche e le speranze di chi in quel lavoro porta antica sapienza e nuove speranze.
Dalle sue parole è emersa l’importanza del momento che stanno vivendo le storiche famiglie dei malgari del Bitto, vittime di una spietata guerra al ribasso del prezzo del latte e del formaggio da parte delle produzioni massificate che han bisogno di fare grandi numeri e riducono pratiche secolari ad inutili orpelli.
Oggi, grazie all’azione di supporto del Presidio i malgari dei ‘calecc’ hanno l’opportunità di chiedere il giusto prezzo per un formaggio che non ha eguali.
Alligna comunque, qui e là, la disillusione poiché la rinata attenzione diffusa per i formaggi elaborati senza trucchi e scorciatoie non è ancora garanzia sufficiente perché chi lavora il Bitto Storico possa stare tranquillo e contare sulla certezza di un futuro dignitoso.
Sotto l’occhio vigile del padre Aldo, Carlo si dava da fare con la “lira” ed intanto raccontava delle difficoltà e dei problemi quotidiani, a cominciare dal prezzo di affitto del pascolo, che si riflettono su tutta l’economia di montagna costringendo le nuove generazioni ad abbandonare una terra ed una professione che non permettono una vita facile.
Questi sono stati anche i temi principali trattati durante la conferenza stampa presso il Rifugio San Marco 2000 condotta da Lorenzo Berlendis, quale organizzatore e Responsabile di Terra Madre Lombardia, da Paolo Ciapparelli Responsabile del Presidio del Bitto Storico, dal casaro Aldo Duca, da Gabriele Sterni, Fiduciario della Condotta di Valcamonica e da Abramo Milesi, storico casaro del Formai de Mut e fondatore della Latteria Sociale di Valtorta. Tra il pubblico vi erano la dott.ssa Anna Paganoni, direttrice dell’Istituto di Geologia e Paleontologia del Museo Caffi di Bergamo, Marco Fustinoni, Responsabile del Presidio dello Stracchino all’Antica delle Valli Orobiche, Silvano Busi, Responsabile del Presidio dell’Agrì di Valtorta, Piero Roccatagliata, Responsabile del Presidio del Grano Saraceno, Maurizio Mazzucchelli di Raetia e Pro Specie Rara (CH), Orazio Rossi del DES di Valbrembana e Aurelio Brentegani della Coop Il Sole e la Terra di Bergamo.
Lorenzo Berlendis ha introdotto il confronto spiegando il senso di questa iniziativa e la sua collocazione all’interno del percorso di Terra Madre Lombardia: un evento centrato sulle Comunità del Cibo più “estreme” che praticano pastorizia, allevamento e trasformazione dai 1500 ai 2500 mt di altitudine. Situazioni estreme che segnano un’inversione di tendenza perché, nonostante i disagi e le fatiche, oggi sono valorizzate, apprezzate e possono rappresentare un futuro possibile per l’agricoltura di montagna. Segnatamente in una Regione dove praticare l’agricoltura in quota come nella ‘Bassa’ sta diventando impossibile, vuoi per la continua sottrazione di suolo agricolo per gli usi più incredibili (urbanizzazione, grandi arterie, impianti energetici, cereali per biomassa,…) vuoi per l’inarrestabile decadimento di qualità e prezzi dei prodotti, vuoi per la scarsa considerazione sociale di cui godono oggi gli agricoltori.
Paolo Ciapparelli ha ripreso le parole di Carlo Duca, a proposito del fatto che, nelle vallate del Bitto Storico, fare alpeggio renda più che lavorare in pianura. Questa è la chiave di volta per capire il delicato momento che stiamo attraversando: oggi è la montagna con le sue produzioni di qualità ad indicare possibili prospettive. Ciò è reso possibile solo dal presupposto di riconoscere a questo formaggio un prezzo equo: è un formaggio ottenuto con latte di mucche alimentate esclusivamente ad erbe di pascolo e lavorato come da antica tradizione con aggiunta di latte di capra, caglio e null’altro. La Bitto Trading ritira le forme di Bitto e le stagiona nel centro di Val Gerola assicurando ai casari la certezza di un compenso adeguato a questa enorme qualità, qualità asseverata a livello mondiale. Testimoniata dal continuo afflusso di delegazioni straniere dalla Svizzera al Giappone, attratte da prodotti di eccellenza assoluta. In questi giorni la famiglia Duca ospita Anna, un’universitaria norvegese che sta redigendo una tesi sulle valli dei formaggi. Nel 2011, nei pascoli del Bitto lavorano 73 persone e si producono 3000 forme, in parte vendute direttamente, in parte ritirate dal Centro di Val Gerola: una piccola realtà che produce e crea economia in zone dove fino a poco tempo fa si assisteva allo spopolamento e all’abbandono.
Non bisogna dimenticare infine che queste produzioni ottenute in contesti ambientali di pregio assoluto, attraggono un turismo internazionale ed aprono il mercato a nuove potenzialità, non a caso tra i produttori delle Valli del Bitto ci sono i casari assai giovani.
Aldo Duca, 48 anni passati in alpeggio, ha portato il discorso sul prezzo generalmente alto, a volte insostenibile, degli affitti dei pascoli che non permette ai malgari di assumere manodopera in più che contribuirebbe a mantenere più pulito e curato pascolo e territorio.
Oreste Gusmeroli, intervistato nel pomeriggio, lamentava l’abbandono di strade carrabili, l’assenza di strutture logistiche di supporto (es teleferica) che costringono ad abbandonare pascoli ricchissimi di biodiversità come le Valli di Tartano, territori d’elezione di grandi cru del passato, oggi disertate dai malgari per l’impraticabilità e difficile raggiungibilità dei siti.
Lorenzo Berlendis, a questo proposito, ha aggiunto che creare un’economia autosostenibile in montagna attraverso forme di gestione partecipata del territorio, di incentivazione ai giovani casari, con la compartecipazione degli Enti pubblici preverrebbe le emergenze ambientali a cui sistematicamente assistiamo in seguito all’abbandono dei pascoli.
Un concorso alla valorizzazione dei luoghi è costituito da un turismo attento e consapevole, ad esempio quello legato agli aspetti naturalistico – scientifici, come ha descritto la dott.ssa Anna Paganoni, intervenuta per illustrare una nuova pubblicazione della Via Geoalpina, in cui sono descritti alcuni itinerari di interesse geologico, ma che comprendono approfondimenti di carattere storico, artistico ed eno-gastronomico. Significativo l’accenno alla geo-diversità di cui le Orobie sono testimoni perché territorio di confine della zolla africana, risultato del movimento di frizione a ridosso della zolla europea. Movimento che ha disegnato l’inconsueto quanto felice sviluppo latitudinale della sottostante Valtellina.
Gli altri casari presenti hanno condiviso temi ed approcci: il territorio orobico è portatore di veri e propri ‘Giganti della Montagna’, eccellenze casearie figlie di tradizioni secolari che affondano le radici nel Medioevo e più indietro ancora. Le lavorazioni di questi formaggi d’eccezione, tutti provenienti da un’area tutto sommato assai ridotta, confortano e danno segno di vitalità e voglia di resistere con tenacia nel proporre bontà, unicità, diversità.
Lorenzo Berlendis ha concluso la conferenza illustrando i prodotti messi in degustazione dai casari presenti: naturalmente Bitto Storico di alpeggi e annate diversi, Formai de Mut e Branzi FTB, Mascherpa dolce e salata, Stracchino all’Antica delle Valli Orobiche, Agrì di Valtorta, Strachitunt, Grano saraceno e farine biologiche diverse, Mais rostrato rosso di Rovetta selezione ‘Marinoni’, Brisaola di Madesimo da manzi nati e allevati in Valchiavenna, Fatulì della Val Saviore. Quest’ultimo è stato presentato da Gabriele Sterni, che ha spiegato l’origine e le particolarità di questo formaggio prodotto con latte crudo di capra di razza Bionda dell’Adamello, fino a qualche tempo fa in via d’estinzione, ma che oggi, grazie all’azione del Presidio sta riscuotendo un rinnovato interesse in virtù del quale si stanno selezionando nuovi capi per ridare vitalità alla razza. Il Fatulì viene affumicato sul legno di ginepro, antico metodo di conservazione.
Proprio alla Malga Adamè, dove si produce il Fatulì, si terrà il secondo incontro di Terra Madre Prende Quota, mercoledì 17 agosto prossimo.vedi sopra
Al termine del lauto buffet, Silvia Balicco, gestore del Rifugio San Marco 2000, ha servito agli ospiti un pranzo a base di prodotti di territorio: pizzoccheri, rotolo con ripieno di paruc, polenta taragna con brasato e dolci a base di mascherpa e confettura di mirtilli.
Doveroso il ringraziamento al Rifugio che ha gentilmente messo a disposizione il luogo per la conferenza , a tutti coloro che sono intervenuti, al CAI di Bergamo che ha patrocinato l’evento
Terra Madre prosegue il suo cammino. Per altre info www.slowfoodvalliorobiche.it
Pontida, Agosto 2011