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Set 30 2024

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E SE LA SCONOSCIUTA UVA REGINELLA FOSSE “L’AMARONE DEL SUD”?

Un vitigno dimenticato rinasce in Cilento grazie alla caparbia di pochi viticoltori. Un rosso intenso, adatto ai lunghi invecchiamenti

 “Salva la Reginella!” suona un po’ come “God save the Queen”, ma la regina da proteggere questa volta è in Cilento e non è una sovrana regnante, ma un vitigno rimasto nell’ombra per anni. Con quell’imperativo, un contadino cilentano, prima di morire, chiedeva al figlio di valorizzare i suoi vigneti di Reginella a sud della Campania.

Siamo a Policastro Bussentino, piccolissimo borgo costiero del basso Cilento, fondato dai coloni greci tra il mare e le rive del fiume Bussento. Proprio qui, qualche anno fa, il biologo Vincenzo Latriglia faceva tesoro delle parole di suo padre, avviando un percorso che restituisse dignità a quel vitigno a bacca nera figlio della cultura mediterranea. Già, perché la Reginella fa parte delle viti Aminee portate dai greci della Tessaglia in Campania almeno 2500 anni fa. A differenza delle note tipologie campane come il Fiano o l’Aglianico, l’uva Reginella è stata ignorata o, meglio, relegata a un ruolo di secondo piano: in un passato più recente veniva infatti utilizzata per dare corpo e struttura a vini meno complessi come le malvasie, perché il suo elevato grado alcolico, che può raggiungere oltre 15 gradi, limitava la possibilità di sviluppo degli acetobatteri.

Eppure, pare che l’uva Reginella abbia tutte le caratteristiche per competere con gli altri vini della regione e ambire a un ruolo da primadonna nella viticoltura campana. Si tratta di un vitigno che ha trovato il suo habitat d’elezione in una zona pianeggiante, tra la foce del fiume Bussento e il mare, che lo rende immune alla fillossera, su un terreno di origine alluvionale, limoso e ricco di sostanza organica. I suoi grappoli, piccoli e compatti, beneficiano di un microclima perfetto e della salsedine marina che dona al vino un alto tenore di acidità, condizione fondamentale per i lunghi invecchiamenti.

Un vigneto di Reginella a Policastro Bussentino 

Tornando alla storia attuale del vitigno, il nuovo corso del Reginella è iniziato da una lettera che Vincenzo ha scritto alla Regione Campania, come invito a valorizzare i pochi ma preziosi ettari coltivati nel basso Cilento: ne sono seguite le indagini del CREA – Centro di Ricerca Agricoltura e Ambiente e del Consiglio Nazionale delle Ricerche, fino al riconoscimento ufficiale del vitigno avvenuto a novembre dello scorso anno.

Intanto i vignaioli locali erano già stati coinvolti per rilanciare il vitigno autoctono, eredità della protostoria vinicola. Tra i produttori, Mario Notaroberto, storico viticoltore cilentano della Terra del Mito, è stato tra i primi a rimanere folgorato dalle potenzialità del Reginella al solo assaggio di un chicco d’uva, tanto da apostrofarlo scherzosamente “l’Amarone del Sud”.

La promessa di Vincenzo a suo padre è diventata quindi un’opportunità per tutto il territorio cilentano, che, grazie al viticoltore Notaroberto e al suo enologo Carmine Valentino, all’inizio del 2025 potrà annoverare tra le sue unicità enologiche le prime 700 bottiglie di Reginella in purezza affinata in tonneaux, dell’annata 2022. Un vino dal colore rubino intenso, quasi inchiostrato, che ben si sposa con formaggi erborinati di grande evoluzione, magari accompagnati da frutta secca o in abbinamento a ragù di selvaggina e carni grasse. Il suo nome sarà “471”, in onore della data di fondazione di Pixous nel 471 a.c., l’attuale borgo di Policastro Bussentino, dove l’uva Reginella proverà a diventare regina dei vini rossi cilentani.   Fonte: IL GUSTO, Martina Vacca, 30.09.2024

 

 

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