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Feb 01 2024

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DALLA PRODUTTIVITA’ ALLA CIRCOLARITA’

Dalla produttività alla circolaritàLa sfida climatica si può vincere, forse (ma non sarà facile)

In “Guarire la democrazia” (Minimum Fax), l’economista Leonardo Becchetti scrive che un sistema sociale ed economico che produce povertà, insostenibilità ambientale e diseguaglianze sociali minaccia l’essenza stessa della nostra democrazia: il cambiamento è possibile, ma sarà un esercizio fatico

 

Il punto di partenza migliore per parlare di sostenibilità ambientale e di emergenza climatica è una tabella presente nel report di Partha Dasgupta, che ha scritto su incarico della corona britannica un resoconto sulla biodiversità. Dasgupta analizza come negli ultimi duemila anni l’umanità abbia fatto un cammino impressionante. Siamo passati da 230 milioni a 8 miliardi di persone, che vivono in media 73 anni rispetto ai 24 anni di duemila anni fa (quando la mortalità infantile aveva un peso enorme). Guardando solo al nostro paese, Giovanni Vecchi ci ricorda che la vita media, nel 1860, era ancora di 28 anni, sempre a causa dell’elevatissima mortalità infantile.

Se moltiplichiamo il numero medio di anni di vita per la popolazione oggi e lo confrontiamo con quello di duemila anni fa, ci accorgiamo che la differenza è impressionante. Siamo stati capaci, grazie al progresso scientifico e medico e alla rivoluzione industriale, di creare le condizioni sulla Terra per ospitare oltre 579 miliardi di anni di vita potenziale in più rispetto alla situazione di duemila anni fa. Il punto oltre il quale la traiettoria s’impenna verso l’alto ha origine nella rivoluzione industriale, l’epoca in cui abbiamo costruito una macchina sociale che, seguendo gli imperativi di produttività ed efficienza, è riuscita a far proprio il motto di produrre sempre più beni e servizi per una data unità di tempo.

È del tutto normale che all’inizio della rivoluzione industriale, quando eravamo molti di meno e con un tenore di vita nemmeno paragonabile a quello attuale, la questione ambientale non preoccupasse. La fotografia del sistema economico concepita dagli economisti delle origini è quella del circuito del reddito. In sostanza, l’economia è l’insieme delle unità produttive e delle famiglie che s’incontrano sui mercati del lavoro e del prodotto per soddisfare i loro obiettivi (massimizzazione del profitto nel primo caso e massimizzazione dell’utilità nel secondo). Tutto questo processo di produzione e consumo non ha, nei modelli dei fondatori dell’economia, alcuna conseguenza fisica o ripercussione sull’ambiente che ci circonda, come se tutti i residui della produzione e del consumo evaporassero nel nulla. O meglio, le conseguenze e le ripercussioni erano considerate allora trascurabili, visto il rapporto tra popolazione ancora bassa e capacità di autorigenerazione delle risorse del pianeta. Oggi la fotografia del sistema è cambiata perché emissioni, scarti, rifiuti e la loro gestione sono la questione al centro dell’economia e dei suoi problemi. L’epoca della transizione necessaria che stiamo vivendo oggi rappresenta uno snodo di straordinaria importanza. O saremo capaci di un nuovo punto di svolta che impedirà l’implosione, oppure rischiamo di essere la generazione della catastrofe.

Per capire cosa vuol dire cambiare rotta senza scomodare simboli matematici e procedendo in estrema sintesi, se scomponiamo le dinamiche di inquinamento ed emissioni scopriamo grazie all’equazione di Kaya che esse dipendono da tre fattori: crescita della popolazione, stile di vita di ciascun abitante del pianeta, efficienza energetica della produzione (che a sua volta si scompone nella capacità di creare valore economico con meno energia e di produrre energia con meno emissioni climalteranti possibili). Se non vogliamo schierarci dalla parte dei neomalthusiani o degli apostoli della decrescita, non ci resta che correre il più veloce possibile sul terzo fattore: quello dell’efficienza energetica. Passando da un imperativo a un altro, possiamo sintetizzare il tema della sostenibilità ambientale e della transizione ecologica con la sostituzione del mantra della produttività e dell’efficienza con quello della circolarità. Non dobbiamo più produrre il maggior numero possibile di beni fisici per unità di tempo (senza preoccuparci degli effetti ambientali), ma non per questo dobbiamo tornare all’età della pietra. Dobbiamo piuttosto creare valore economico minimizzando l’uso di materia prima e le emissioni climalteranti. Questa prospettiva cambia completamente l’ordine delle priorità e il valore dei beni creati. Se negli anni Cinquanta la plastica usa e getta (un bene che usi una volta sola ed è impossibile riciclare) era un vanto, oggi, in un’ottica di circolarità, essa rappresenta il prodotto più dannoso che sia possibile concepire.

La circolarità porta con sé la costruzione di indici che mettono al numeratore le tradizionali grandezze economiche (Pil, valore aggiunto) e al denominatore grandezze naturali (co2, polveri sottili, inquinanti dell’aria). Essa richiede dunque anche una rivoluzione delle competenze, che integri sempre di più le tradizionali conoscenze economico-finanziarie con quelle delle scienze naturali.

Detto in altri termini, abbiamo sino a oggi sfruttato e fatto uso della natura pensando che avesse infinite capacità di rigenerazione. Adesso dobbiamo imparare a imitarne i processi, visto che in natura tutto si ricicla e nulla diventa scarto non più utilizzabile.

Appare fondamentale dunque cambiare il nostro sguardo sulla natura, che non è più uno sfondo ornamentale che ci allieta quando vogliamo distrarci dalla fatica quotidiana, ma l’involucro, l’habitat che rende possibile la vita.

Nei vecchi film di fantascienza la tipica scena era quella dell’astronave che sbarcava su un nuovo pianeta per verificare se lì fosse possibile la vita. Spesso non ce ne accorgiamo, ma l’ecosistema in cui siamo immersi, con la qualità dell’aria, quella dei suoli e la potabilità dell’acqua, ci offre servizi essenziali per la vita. E i nostri comportamenti possono intaccare la sua capacità di fornirci questi servizi, rendendo un determinato habitat inospitale per la vita umana. Non è un caso che la prima enciclica sull’ecologia che affronta il problema ambientale (la Laudato si’) sia l’opera di un papa che ha deciso di chiamarsi Francesco ispirandosi all’omonimo santo, pilastro della nostra civiltà occidentale, che aveva intuito moltissimo tempo fa non solo la bellezza ma anche la funzionalità e la potenza dei servizi ecosistemici resi da «fratello Sole» e dalla natura nel suo insieme.

La circolarità verso cui dobbiamo muovere si realizza con quattro mosse principali. La prima è aumentare la quota di materia seconda nella produzione dei beni. Idealmente, se tutti gli input produttivi fossero fatti di materia seconda (riuso, riciclo, rigenerazione di prodotti già esistenti), e non di materia prima, i processi produttivi sarebbero generalmente meno impattanti in termini di emissioni e sicuramente utilizzerebbero meno risorse vergini (anche se dobbiamo introdurre nel computo l’energia che usiamo per realizzare riciclo e rigenerazione).

Dobbiamo poi aumentare i modelli di utilizzo dei beni fondati sulla condivisione e non sulla proprietà. Il classico esempio che si fa in questi casi è quello del trapano. A che serve avere un trapano di proprietà nella cassetta degli attrezzi se lo usiamo a malapena una volta ogni dieci anni? Il tasso di utilizzo della capacità consumativa (il tempo in cui è effettivamente utilizzato) di un trapano sarebbe molto più efficiente se ce ne fosse uno condominiale che usiamo quando ne abbiamo bisogno. La circolarità ci chiede anche di aumentare la vita media dei prodotti (il contrario dell’obsolescenza programmata) e in questo va a cozzare contro le esigenze del fatturato e del profitto che preferirebbero durate di vita inferiori per aumentare il volume degli acquisti. Una volta, durante un evento di cui ero relatore, al momento delle domande una persona dal pubblico mi ha detto che lavorava per una nota azienda che produce trapani. Come poteva sopravvivere e prosperare con l’economia circolare? La risposta è che nella logica della circolarità tutte le aziende devono ridurre la quota di fatturato derivante da prodotti nuovi e aumentare quella da prodotti rigenerati e da servizi.

Infine, dobbiamo gestire in modo efficiente il ciclo dei rifiuti, minimizzando la produzione di rifiuti indifferenziati (quelli non smaltibili se non attraverso discariche o termovalorizzatori).

Fonte: Linkiesta del 01-02-2024 di Leonardo Becchetti

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