A Wine in Venice il dibattito sul valore di poter vivere e lavorare abbracciando una filosofia “slow” di rispetto dell’ambiente, dei dipendenti, dei consumatori e della propria vita
Un momento del talk di Wine in Venice sulla sostenibilità
Sostenibilità. È una parola che sentiamo utilizzare e usiamo noi stessi sempre più spesso in questi ultimi anni. Secondo la definizione che ne danno le scienze sociali ed economiche, un processo è sostenibile se soddisfa le necessità delle generazioni presenti senza andare a intaccare il futuro delle prossime. Ma cos’è veramente? È la domanda a cui Wine in Venice, la kermesse del vino etico sostenibile e innovativo in corso a Venezia dal 20 al 23 gennaio 2023, ha provato a rispondere e lo ha fatto attraverso il talk “Mangiare il vino, bere il territorio. Le connessioni ristorante-cantina sono fondamentali per raccontare il territorio e far crescere l’enoturismo”.
Perché un’impresa non può essere sostenibile senza una base economica solida, senza che il fattore umano sia felice e non può essere etica se il suo sviluppo non si basa su una vasta cultura e sulla gioia di condividerla. Molte le domande che gli ospiti, intervistati da Lara Loreti, responsabile settore Wine de ilGusto e Luca Ferrua, direttore de ilGusto, si sono posti e hanno, indirettamente, posto al pubblico, in modo che il dubbio potesse essere motore di consapevolezza. In questo processo, tra le tante parole che si sono rincorse tra palco e microfono una ha dato senso e collegamento a tutte le altre: tempo. Perché il tempo, per dirla con le parole del direttore Ferrua, “è il collante che dà senso a tutto”. Perché ci vuole tempo per creare un vino, ma ci vuole anche tempo per conoscerlo. Ci vuole tempo per creare un’offerta ristorativa, il tempo della riflessione, il tempo della passione che crea, ma anche il tempo del riposo. Perché “è senza il respiro del tempo che nulla può esistere”.
Poesia? Sicuramente, ma anche la risposta pratica ad alcuni dei più grandi problemi dell’attualità.“Non si può più pensare – ha spiegato Roberto Pintadu, uno dei migliori grigliatori del mondo, proprietario del ristorante BiFro di Torino, in cui propone una carta dei vini con più di 950 referenze – che il lavoro del ristoratore sia dedizione esclusiva. Che sia normale chiedere ai propri dipendenti una presenza h24 (o quasi) e pretendere allo stesso tempo che siano sempre al meglio”. Proprio come a una piante di vite si lascia il tempo di maturare per poi raccogliere il suo nettare, “allo stesso modo chi lavora con il pubblico deve avere il tempo di incontrare la propria vita al di fuori delle mura del ristorante – continua il grigliatore – Solo così potrà tornare al lavoro, il giorno dopo, felici di farlo e capace di trasmettere il senso di ciò che fa ai propri clienti. È l’unico modo di innescare un circolo virtuoso dal punto di vista della soddisfazione personale e dal punto di vista economico”.
Sostenibilità economica, quindi, come faccia di una medaglia che ha il suo riflesso nella sostenibilità umana. Un vulnus oggi, se si pensa alle grandi problematiche di ricerca del personale che affliggono il mondo della ristorazione e che proprio in questa riflessione affondano le proprie radici. Un binomio però che non si esaurisce qui, nel giusto valore del lavoro umano. Il valore “che è necessario spiegare, affinché venga riconosciuto, è quello del vino stesso – lo racconta con placida decisione Fabio Digilio, ristoratore torinese di Diecicento e Baleno, recente apertura -. E in questo la formazione e la cultura (altre due parole chiave in questo importante dibattito, ndr) hanno un ruolo fondamentale. Tale è prendersi il tempo di capire, capire cosa si sta vendendo, ma capire anche come spiegarlo”. Il ristoratore quindi, è diventato palese durante il dibattito, come figura chiave della trasmissione del sapere e del raggiungimento di un obiettivo lavorativo sostenibile. “Si deve capire che è giusto pagare un vino il giusto prezzo e magari pagarlo di più al ristorante, perché in quel costo c’è il tempo della scelta, ma anche la preparazione di chi lo racconta e lo serve”. ?Il tempo, in ogni sua sfaccettatura, come chiave di un enoturismo capace di essere solidamente presente nel futuro che sta arrivando. Il tempo di un turismo slow, che “non aggredisce i territori ma li supporta” come ha spiegato, in poche efficaci parole, Fabio Zenato, presidente Consorzio Tutela Lugana Doc.
“Il rispetto per l’ambiente – ha poi continuato Lara Loreti, direttamente dal palco di questa seconda edizione di Wine in Venice – è un tema fondamentale, che sta sempre più a cuore ai wine lover come ai turisti. È per questo che le connessioni fra ristorante, cantina e accoglienza sono strategiche per la realizzazione di un enoturismo dove qualità dell’offerta faccia rima, sempre di più, con rispetto e integrazione con la natura”. Una prova di quanto questo sia possibile e fondamentale, soprattutto in situazioni ambientali fragili, è il lavoro di Venissa, la cantina rappresentante del Veneto 2024 per il Tappeto Rosso di Wine in Venice. Una realtà, ha sottolineato Loreti, “che ha precorso i temi e le mode, dove è stata la sostenibilità a dare la spinta all’enoturismo e non viceversa”. Venissa è un luogo fuori dal tempo, che trova la sua casa sull’isola lagunare di Mazzorbo dove la famiglia Bisol ha ridato casa e vita alla Dorona, l’uva autoctona di Venezia quasi estinta, “che un tempo distava dalla città – ricorda Matteo Bisol – più di tre ore di navigazione con una barca a remi. Oggi in 20 minuti si arriva tra le calli, ma questa distanza nei decenni ha permesso agli abitanti di quest’isola di mantenere una vita e un’anima del tutto diverse, che ancora oggi ritroviamo a Mazzorbo” e in tutto il progetto Venissa, un’isola di tutela della biodiversità a 360°, dall’azienda vitivinicola al ristorante omonimo premiato con un macarons e insignito, sempre dalla Rossa, anche della Stella Verde.
Il tempo di un lavoratore della ristorazione di essere se stesso, quindi, di studiare ciò che va trasmesso al cliente, di comprendere, che fanno da specchio al tempo di cui ha bisogno il mondo, le terra e la vite per crescere e brillare. È questo il senso di slow: non necessariamente (troppo) lento, ma il giusto. Perché l’oro non è più nella corsa, ma nell’attesa. Fonte: IL GUSTO, Lara De Luna, 23.01.2024