Da “Soave Seven”, la riflessione: su una cultura dei bianchi da invecchiamento tutta da costruire, ma su cui in molti vogliono scommettere
“Soave Seven”: la longevità del Soave nel calice
Da qualche tempo, nei più importanti territori da vini bianchi d’Italia, che hanno spesso costruito il loro successo ed il loro presente su vini di veloce rotazione a scaffale, e di “pronta beva”, si cerca di percorrere, con più o meno convinzione, e più o meno successo, la strada della longevità. E non fa eccezione il territorio del Soave, tra i più importanti distretti bianchisti del Belpaese. E dove l’eccellenza dei vini Soave con molti anni sulle spalle, come quelli che sono stati in assaggio a “Soave Seven” 2023, nei giorni scorsi, ad Eataly Verona, con 29 produttori presenti – complessi e con una freschezza intatta – induce a chiedersi se la denominazione voglia realmente affermare la longevità di alcune etichette con azioni incisive come – prima e indispensabile – la disponibilità in cantina di bottiglie di vini affinati per più anni. La capacità di tenere il tempo del Soave, infatti, è stata nuovamente provata nel bicchiere dalle annate 2016 e indietro fino alla 2008, ad affiancare la 2022, nell’evento organizzato dalla Strada del Vino Soave, a cui aderiscono sette comuni dislocati in quattro valli: Val di Mezzane, Val d’Illasi, Val Tramigna e Val d’Alpone. Un’attitudine da anni acclarata e riconosciuta da critici, addetti ai lavori e da (pochi) ristoratori per i Soave al vertice di qualità, come per altri bianchi italiani.
Eppure ad ogni immissione in commercio della nuova annata i produttori aprono immancabilmente il loro “cahier de dolèance”. La responsabilità del mancato riconoscimento dei bianchi di qualità agé è dei ristoratori che vogliono solo l’ultima annata e non “educano” i consumatori. E dei consumatori che, a loro volta, credono che i bianchi con qualche anno in più in carta siano rimanenze e non li ordinano. La maggior parte delle aziende dispongono soltanto di numeri esigui di bottiglie di annata a uso proprio, e poche sono quelle che stanno valutando di allargarne il numero per rispondere a una domanda che, purtroppo, è ancora davvero limitata e che tale rimarrà se l’offerta non la stimolerà. Fanno eccezione alcune realtà che per reputazione aziendale e/o per intraprendenza hanno già un mercato e un listino per le vecchie annate. Qualcun’altra si sta attrezzando e il Consorzio del Soave sta discutendo sul da farsi. Sandro Gini, che del Consorzio è presidente, è consapevole di quello che definisce “infanticidio” per la vendita e il consumo a pochi mesi della vendemmia dei Soave che si fregiano di menzioni quali le Unità Geografica Aggiuntive (Uga).
“È necessario un cambio di mentalità per indirizzare le strategie del Soave in futuro – spiega Gini – un futuro in cui differenziare i tempi dell’uscita in commercio dei vini quotidiani più semplici, dagli altri che hanno prospettive di lunga vita, che oggi al pari dei primi escono a 4-5 mesi dalla vendemmia. Stiamo lavorando, facendo riunioni e incontri con i produttori, per modificare il disciplinare allungando il tempo di permanenza in cantina dei Soave al vertice della piramide della qualità. Abbiamo iniziato prima della pandemia interrompendoci poi per cause di forza maggiore, e ora è necessario chiudere rapidamente. Poche cantine, tra cui la mia, hanno annate in proposta andando indietro di almeno di 10 anni. È necessario, inoltre, un lavoro sui consumatori per far loro assaggiare e comprendere le potenzialità di questi nostri vini Soave, ognuno chiamato per nome secondo la propria collina di origine. Perché il Soave è, per così dire, il ‘contenitore generale’ di una variegata moltitudine di vini che si esprimono in base a suolo, vulcanico, calcareo, di tufi misti, microclimi e mano dei produttori. Sono fiducioso che riusciremo a valorizzare queste eccellenze”.
“Soave Seven – sottolinea Tiziano Castagnedi di Tenuta Sant’Antonio, una delle cantine più prestigiose del Soave (oltre che della Valpolicella) – è utile per stimolare non solo i consumatori, ma anche tutti i produttori di Soave a costruire un archivio storico per dimostrare le potenzialità nel tempo del Soave con le sue sfaccettature per vallata, colline e versioni. In azienda mettiamo da parte un bancale per ogni annata nella speranza che qualcuno lo chieda, ma il rischio che non accada è molto alto. Il Soave è considerato vino da consumo fresco e pochissimi credono possa durare nel tempo senza decadere”. Alberto Coffele (Tenuta Coffele), mette in risalto un altro elemento alla base della ”riottosità” dei produttori a costruire una “libreria” di Soave che tengano nel tempo: “Non c’è da considerare solo l’elevato rischio di non venderle, ma anche la necessità di spazi e gli elevati costi dello stoccaggio delle bottiglie in condizioni ottimali. Un’ipotesi potrebbe essere quella di continuare l’elevazione in vasca”. Ha un peso importante, anche numerico, che una realtà grande come Vitevis, cooperativa che abbraccia denominazioni di origine dalla provincia di Verona a quella di Treviso, stia ponendo attenzione a questo tema: “abbiamo iniziato a creare stock di bottiglie per dare risalto alla longevità del Soave” conferma l’ad Alberto Marchisio. “I consumatori stranieri – approfondisce Valeria Quagiotto, export manager Vitevis – di questi nostri vini, complice qualche cartone rimasto durante la pandemia e il tappo a vite che facilita la proposta al bicchiere, cominciano ad apprezzare la loro evoluzione positiva. Registriamo minori resistenze nei cambi di annata e vediamo con molta soddisfazione crescere l’interesse. Per la ristorazione abbiamo predisposto magnum rifinite con gommalacca che spuntano prezzi interessanti e ci permettono di garantire migliori remunerazioni per i soci”
A simboleggiare l’interesse all’estero per i vini Soave capaci di invecchiare, tra le altre cose, c’è la proposta da parte del famoso ristorante parigino, Penati-Al Baretto, di una intera pagina di vecchie annate del Soave Classico Vigneti di Foscarino di Inama: “negli ultimi anni stiamo costruendo un archivio delle etichette più conosciute – racconta Matteo Inama – abbiamo molte richieste, in particolare da ristoranti di fascia alta, ed un listino apposito con incrementi di prezzo che ripagano il valore del tempo e la scarsità dell’annata sul mercato. Ci sono difficoltà di cui non molti vogliono farsi carico: non basta conservare e bene le bottiglie, ma serve costruire una strategia con agenti e importatori e curare la comunicazione”. E l’altro ingrediente, non citato, è l’elevata reputazione del marchio. “Noi siamo convinti – chiosa Inama, citando Angelo Gaja – che la miglior pubblicità siano le vecchie annate in carta”
Ma, a “Soave Seven”, sul tema, hanno detto la loro anche due ospiti d’eccezione, introdotti dalla vicepresidente della Strada del vino Soave, Chiara Coffele. Oscar Farinetti, fondatore di Eataly, imprenditore, scrittore produttore di vino con 11 cantine del Belpaese, dalle piemontesi Fontanafredda e Borgogno a Tenuta Carranco sull’Etna, in Sicilia, ha incitato i produttori a rivendicare l’eccellenza dei loro vini “perché avete Soave longevi importanti a livello dei grandi Montrachet, un territorio da urlo che dovete accompagnare con una accoglienza alla stessa altezza e con una comunicazione nel mondo come in Piemonte hanno fatto i Barolo Boys”. “Un territorio, quello dove si produce Soave, che si nutre di contrasti: terreno nero basaltico vulcanico e bianco calcareo; collina e pianura; pergola e guyot; piccole cantine e cooperative – ha osservato Massimo Zanichelli, scrittore, docente, degustatore e documentarista, e autore del libro “I grandi Cru del Soave”, scritto prima dell’arrivo delle Unità Geografiche Aggiuntive (Uga) – opposizioni che sono importanti punti di forza”. Fonte: WineNews, 14.09.2023