Il cibo è alla base dell’ordine caotico che regola il mondo dell’alimentazione e gli chef sono la perfetta rappresentazione di questa confusione creativa e sregolata, padroni indiscussi delle cucine di tutto il mondo
When Strawberries Will Grow on Trees, I Will Kiss U, by Nicolas Polli
Il caos e l’ordine creativo: la creazione di un piatto. Da dove nasce, nella testa di un cuoco, un nuovo piatto? Tutto parte dalle ricette che ha conosciuto ed eseguito nel tempo, che ha mangiato in giro per il mondo o a una tavola domestica, che ha letto o visto nel web o in tv. Ma la vera sfida primaria è categorizzare e scegliere tra migliaia di ingredienti a disposizione, e decine di tecniche che permettono di modificare quello che la natura ci offre. Le combinazioni possibili sono praticamente infinite, e dipendono da centinaia di fattori differenti. La stagionalità, il punto di maturazione, la facilità di reperimento, ma anche la disponibilità o meno sul mercato. Il rispetto dei dettami di una religione, o l’avere un’intolleranza, o il rispondere a una legge di mercato che definisce quali alimenti potranno essere in una ricetta oppure no.
Come mescolare i sapori, come bilanciare le quantità, ma anche che tipologia di cottura o non cottura usare determinano il risultato finale. Che, per definizione, non sarà quasi mai uguale a se stesso: perché per fortuna la natura cambia, i fornitori non ci danno mai le stesse materie prime e la nostra mano cambierà ogni qual volta ci metteremo ai fornelli per replicare la nostra codifica. Industrializzare i processi e arrivare alla ricetta perfetta è il sogno proibito di ogni cuoco, ma è anche un’utopia. La scienza può aiutare a uscire dal caos: ci hanno provato creando un “abbinatore” di sapori che permette – attraverso le molecole olfattive di ciascun alimento – di indicarci qual è la strada migliore nell’abbinamento tra i cibi. Pensate funzioni?
Vi sbagliate: perché la componente emotiva e personale, il nostro gusto singolare, fanno sì che se anche ananas e gorgonzola siano scientificamente ritenuti perfetti per stare insieme, il nostro palato li accetterà come “buoni” solo se saremo disposti a dar loro un’occasione. Ma non tutti lo faranno, e non sempre saremo disposti a cedere mentalmente a una verità scientifica che passa dal palato. Anche perché, se tutti gli chef si attenessero alle tabelle di food pairing i nostri menu sarebbero fotocopiati e non creati. Oggi creare una ricetta vuol dire anche mettere a sistema una serie di fattori che con il gusto c’entrano ben poco, ma molto hanno a che fare con il caos da sistematizzare: ecosostenibilità, riduzione degli sprechi, cibo etico, riduzione delle sofferenze animali, rispetto dell’ambiente, riduzione del consumo di suolo, di carburante, di trasporto. L’instagrammabilità della ricetta è determinante, ma anche la sua potenza comunicativa, che la fa diventare oggetto del desiderio e come tale meritevole di assaggio. E infine, ma non ultimo, il rispetto dei lavoratori, dei fornitori. Saranno i cambiamenti climatici e politici a determinare le scelte dei cuochi, le loro nuove ricette, e la loro uscita dal caos in forma di boccone edibile?
ph Nicolas Polli
Il caos calmo del servizio. Chiunque abbia mai lavorato in una cucina professionale sa che c’è un attimo esatto, prima di ogni servizio, in cui tutto è calmo e perfetto. La mise en place è pronta, i tavoli apparecchiati. Le posate lucide sono nei loro divisori e i bagni profumano di pulito, con gli asciugamani al loro posto, candidi e pronti per l’uso. Tutto è ordine, non ci sono rumori, è il momento preciso in cui i cuochi e i camerieri si rilassano, perché sanno che tutto quello che potevano fare è stato fatto. Ma in cucina quell’attimo perfetto non può durare a lungo: perché il caos che parte dall’arrivo della prima comanda e che termina quando l’ultimo cliente ha lasciato il locale è il vero motore immobile di ogni ristorante.
E in quel lasso di tempo lungo e imprevedibile si giocano le abilità, le professionalità e l’esperienza di chi governa questa totale follia. Tutti sanno quello che dovranno fare, ma nessuno sa quando dovrà farlo, e con che tempistica, e nemmeno se potrà farlo come aveva pensato o ci saranno degli imprevisti. Ci sono sempre, come ci sono i clienti che hanno intolleranze, o che si alzano da tavola proprio quando sta per uscire il piatto che hanno ordinato. Ma anche i gruppi di amici in ritardo, che si sovrappongono ai clienti già seduti nonostante la scaletta di arrivo dei tavoli fosse stata scientificamente elaborata. O il cameriere che fa cadere un piatto che andrà rifatto, insieme a tutti quelli dello stesso tavolo, o la richiesta del maître che per accontentare un amico in sala chiede una variazione sul tema, e scombina quella regola precisa che il cuoco aveva in mente. È il regno dell’improvvisazione, è la patria della capacità tutta italiana di sapersi togliere dagli impicci con estro. È battaglia, che punta a far uscire più piatti possibili nel minor tempo possibile, per accontentare più persone possibili. Due volte al giorno, per buona parte della settimana. Se si sbaglia non c’è tempo per rimediare: se non c’è ordine, in questo caos, il rischio di fallire è altissimo. Se non c’è caos in quest’ordine non c’è adrenalina, che è la parola che più di tutte i cuochi usano per definire questo momento così speciale, che è il vero fulcro del loro lavoro. È la capacità di gestire l’imprevedibile, di mettere ordine al delirio, di farlo in fretta e bene, ripetutamente ma mai nella stessa identica maniera.
È il motivo per cui chi ha lavorato in una cucina difficilmente si lamenta se c’è da aspettare qualche minuto di troppo, o se il piatto che arriva a tavola non è esattamente perfetto, o se per avere il suo bicchiere dovrà chiedere una volta in più. Ci hanno permesso di sbirciare dietro le quinte, negli ultimi anni, con le loro cucine a vista. Ma se starete attenti capirete che la cucina a vista non è altro che una nuova frontiera del palcoscenico, che si è solo aperto un po’ sulla sala. Ma il vero caos lo vedrete negli occhi dei ragazzi che si passano padelle e si scambiano tempi solo con il battito delle ciglia. Quello scambio si è solo trasformato da richieste e ordini vocali a sguardi pieni di tensione e di brama. Il desiderio segreto di essere perfetti, di dominare il caos, di essere più forti del caso. Tutto tornerà normale, quando l’ultima comanda sarà accartocciata nel cestino. Ma prima, a regnare sono solo energia libera e premura. Si può dominare il caos in maniera meno caotica? Ci stanno provando quelli che propongono solo un menu degustazione, ma sono pochi, e poco amati dai clienti. Riusciranno nell’impresa?
ph Nicolas Polli
Uscire dal caos. «Non avevo mai avuto così tanto tempo nella mia vita: pensare mi stava distruggendo» è la frase che più di ogni altra ci hanno confessato tanti professionisti della ristorazione, colpiti più di altri da uno stop forzato che ha bloccato creatività, manualità, adrenalina, motori immobili di questo lavoro. Il lockdown ha provocato riflessioni profonde su una vita davvero al limite, caos quotidiano insostenibile sul lungo periodo che per molti è diventato evidente solo nel momento in cui il mondo ha deciso per loro. Molti non sono più tornati indietro, molti stanno provando a ridisegnare il loro universo, cercando di costruire un nuovo ordine in questo caos, ripensando il lavoro e i suoi ritmi aberranti, per ricavarsi una nicchia di benessere al quale non avevano mai pensato di poter ambire.
Si è passati dal sacrificio dato per scontato all’impegno centellinato, dalla richiesta totalizzante di tempo da dedicare al lavoro, alla cucina come luogo da scegliere per un numero di ore definite. Molti hanno fatto downshifting e hanno deciso di frenare: meno ore lavorate, più benessere per sé e per i dipendenti, meno coperti e menu più leggeri, per permettersi di vivere, e non solo di lavorare. C’è chi non apre più nel fine settimana, con buona pace dei clienti. Chi apre solo la sera, perché non vuole più fare il doppio turno. C’è chi ha deciso che la cucina di un ristorante è troppo stretta e sta tentando altri format, dalla bakery con servizio lungo al locale senza cucina ma con solo delivery, mutuato dalle esperienze del 2020. Molti sono passati dall’ambizione di stelle e riconoscimenti a carte rapide, pochi piatti ben fatti per pochi clienti soddisfatti: perché anche l’alta cucina sta vacillando sotto il caos del momento. Clienti e ristoratori insieme stanno ripensando il loro modo di stare a tavola, stanno decidendo che quel tempo è prezioso e va dedicato non a performance del singolo ma a stare davvero bene attraverso la convivialità e bocconi rassicuranti, riconoscibili, semplicemente buoni. Il dubbio è che questo nuovo ordine non provochi, nel lungo periodo un nuovo caos: perché tanti nuovi format sono puri esperimenti e potrebbero non stare in piedi economicamente. Va ripensato il settore nel suo insieme, e anche il nostro modo di scegliere e godersi l’uscire. Fonte: Linkiesta, Cultura, Anna Prandoni , 25.08.2023