Albugnano 549 è l’associazione nata per valorizzare il territorio e la produzione del vino Doc omonimo, realizzato a partire da uve Nebbiolo in purezza e oggi apprezzato per bevibilità, freschezza e grande sintonia con il gusto contemporaneo
«In vista della pensione, cercavo un posto nei dintorni di Torino dove fare l’orto nel weekend. Così, ho visitato tra gli altri i territori di Castelnuovo Don Bosco e Albugnano. Quando ho trovato questa casa, mi ha subito colpito. Una villa praticamente abbandonata ma che aveva un grande potenziale. È come se mi avesse detto: comprami. Non sono stato io, è lei che mi ha scelto. Poi è venuto il resto». Piergiorgio Gaidano, geometra e immobiliarista, racconta così l’incontro con la settecentesca Villa Tamburnin, sita nel comune di Castelnuovo Don Bosco. Un colpo di fulmine che risale al 2004. Ma Piergiorgio non si ferma all’orto. Nel corso degli anni cresce l’impegno per la terra e continua ad acquisire nuovi campi da coltivare. Oggi la tenuta conta su venti ettari, nove dei quali coltivati a vigneto, quattro di noccioleto, prati, boschi, e un piccolo orto per la produzione familiare. Gaidano comincia a “scoprire” lentamente una realtà unica, quella della Doc Albugnano, riconosciuta nel 1997, dove si allevano viti di uve Nebbiolo che però non hanno né la fama né il valore che il Nebbiolo ha nelle Langhe. Siamo ai confini dello storico Marchesato del Monferrato, in un’area collinare in cui l’Astigiano lambisce il territorio provinciale di Torino. Un territorio che ricade sotto il consorzio Barbera d’Asti e Monferrato. Da queste parti i vitigni più diffusi sono altri: la Barbera, la Freisa, la Malvasia nera.
«Quando sono arrivato qui – racconta ancora Piergiorgio – le bottiglie di Nebbiolo si vendevano a pochi euro, prezzi lontanissimi da quelli delle Langhe, dove le denominazioni Barolo e Barbaresco esercitano uno straordinario appeal internazionale. Tuttavia, anche questo di Albugnano è Nebbiolo: parlando con gli altri produttori abbiamo convenuto che era arrivato il tempo di aumentare sia la qualità che il valore dei nostri prodotti». Da qui comincia un processo di autocoscienza collettiva dei produttori locali. Succede così che, su iniziativa di nove viticoltori locali nel comune di Albugnano, sito a 549 metri di altitudine, il 5 aprile 2017 nasce l’Associazione Albugnano 549, con l’obiettivo di creare una rete di aziende connesse fra di loro, in grado di scambiare informazioni ed esperienze, per velocizzare il processo di crescita della qualità dei vini. Serve valorizzare la denominazione – oggi conta 47 ettari vitati – anche perché il Nebbiolo di quest’area, connotata da un terreno di matrice marnosa e da un’altitudine maggiore rispetto ai sistemi collinari delle altre denominazioni, è un Nebbiolo molto diverso dagli altri. Oggi l’associazione riunisce quindici produttori dei quattro Comuni della doc: Albugnano, Pino d’Asti, Castelnuovo Don Bosco e Passerano Marmorito.
«Il numero che caratterizza la nostra associazione, 549, è prima di tutto un riferimento all’altezza massima della collina dove giace il paese di Albugnano. Ma ritorna anche in altri passaggi: il 5 dicembre del 2016 è la data della nostra prima riunione, 4 sono i comuni che fanno parte della denominazione, 9 i soci fondatori», racconta Valeria Gaidano, la presidente dell’associazione, una delle tre figlie di Piergiorgio. Per armonizzare gli obiettivi e il lavoro delle aziende, continua Valeria, «Ci siamo rivolti all’enologo Gianpiero Gerbi e con lui abbiamo redatto un protocollo orientato a ottenere un Albugnano originale e riconoscibile, con capacità di invecchiamento. Così, con il nome Albugnano 549 nasce un Albugnano Doc a base di uve Nebbiolo in purezza (mentre il disciplinare consente lavaggio con un 15% di altre uve), con macerazioni più lunghe e un affinamento in botte di legno (a discrezione del produttore) di almeno diciotto mesi più sei mesi di bottiglia».
Proprio a partire dai vini di Tenuta Tamburnin, gli assaggi dei campioni delle diverse aziende segnalano caratteristiche peculiari che li distinguono nettamente da quelli delle Langhe: un profilo aromatico centrato sul frutto (soprattutto la ciliegia, anche sotto spirito, e in alcuni casi perfino la fragola) e sulle spezie dolci (dalla noce moscata alla cannella), con un sorso morbido e una fresca bevibilità.
Bottaia, Tenuta Tamburnin
«Bevibilità, bevibilità, bevibilità. È quello che voglio per i miei vini»: è il mantra che ripete Elisa Carossa, giovane e determinata titolare dell’azienda Alle Tre Colline, dove sviluppa il progetto avviato dal papà Franco. «La mia famiglia – racconta Elisa – si trova ad Albugnano dal 1765 e il mio avo Felice Carossa cominciò a vinificare nel 1803. Mio nonno faceva il vino sfuso per le damigiane e ha sempre consigliato a papà di fare altro nella vita: a quei tempi il lavoro nei campi era davvero molto faticoso, al punto da far preferire il lavoro nelle catene di montaggio. Così mio padre Franco ha fatto a lungo l’elettricista in fabbrica. Fino a quando con mia madre decidono di aprire qui un agriturismo e di riprendere il lavoro in cantina. La prima etichetta risale alla fine degli anni ’90. Poi con l’esordio dell’Albugnano 549 è stato un boom. Nel 2014 la nostra cantina sembrava enorme, adesso non abbiamo più spazio». Il progetto dell’associazione si rivela un successo: «Stare in gruppo è molto importante: c’è condivisione e competizione sana, i prodotti sono molto più buoni e cominciamo a offrire un’accoglienza ben fatta», spiega Elisa. In effetti, i suoi vini sono ispirati alla freschezza e alla bevibilità. In questo mostrano di avere un piglio moderno, una capacità di interloquire con il gusto contemporaneo. All’insegna dell’easy drinking, i nebbioli della famiglia Carossa sembrano concepiti per un aperitivo metropolitano, per accompagnare momenti spensierati e cibi agili, all’insegna della leggerezza, ma ricca di gusto.
Elisa Carossa, Alle Tre Colline
Comincio a pensare che sia davvero questo il “genio” di questa denominazione, riscontrabile anche nei vini di altre aziende. Una menzione in questo senso merita, per esempio, il Parlapà di Mario Mosso, un nebbiolo che proviene da terreno sabbioso con esposizione a nordest: un vino che, grazie anche all’annata non molto calda (2018), si distingue per un grado alcolico non elevato (poco sopra i 13,5% vol.), profumi fruttati e freschezza che sorprendono se si pensa ai venti mesi di riposo nelle barrique (rigenerate).
Ovviamente non mancano vini di grande struttura e corposità, coerenti con l’immagine austera dei vini da uve Nebbiolo. Basti pensare all’Eclissi di Cascina Quarino, diciotto mesi in barrique di rovere francese, profumo intenso di frutti rossi, composte e cioccolato, sorso robusto e tannico. Oppure all’Albugnano superiore dell’azienda agricola Roggero, forse l’etichetta più elegante, complessa ed equilibrata della denominazione: alla cieca, potrebbe tranquillamente gareggiare e vincere con i migliori Barbaresco. Non a caso, «Questo vino viene da un suolo argilloso-calcareo che più degli altri di questo areale ricorda i migliori terreni delle Langhe», spiega Mauro Roggero, giovane enologo che, con la sorella Marina, ha preso le redini dell’azienda avviata da papà Bruno, uno dei fondatori della Doc Albugnano, e da zio Marco. Anche qui una lunga storia di cinque generazioni di viticultori, che all’inizio vendevano vino sfuso. Poi la svolta: oggi l’azienda produce diecimila bottiglie e sta costruendo la nuova cantina con la prospettiva di una crescita ulteriore. D’altra parte, le sfide non devono essere un problema per Mauro che è stato anche campione d’Italia di bocce in movimento e, nel 2021, ha eguagliato il record del mondo di tiro progressivo con 50 bersagli colpiti su 50. Ma il successo da queste parti non dà alla testa: Mauro conserva il suo stile riservato e signorile, tipicamente piemontese.
Come tipicamente piemontese è la famiglia Binello, che dai tempi della mezzadria ha sviluppato un’azienda agricola multitasking: insieme con il vino, produce anche frutta estiva (pesche, albicocche e susine), ortaggi, uniti all’allevamento del bestiame. Una tradizione contadina che non manca di visione: nel 1996, è proprio grazie al lavoro di gruppo condotto dai fratelli Simone e Matteo Binello, in sinergia con gli altri produttori della zona, che si pongono le basi per il riconoscimento della Doc Albugnano. Da quel momento entrano in azienda le nuove leve: Franco, agrotecnico, e Claudia, responsabile dell’agriturismo, figli di Simone, e Andrea, enologo, figlio di Matteo. A Pianfiorito emerge chiaramente la profonda e genuina anima contadina che caratterizza questo territorio.
Famiglia Binello, Pianfiorito
Alla luce di questa storia, stuzzica ancora di più la felice “incoerenza” con la proiezione “metropolitana” del Nebbiolo di Albugnano, così lontano dall’austerità del Barolo e del Barbaresco (che a volte possono diventare cerebrali e distanti). Il Nebbiolo di questa estrema lingua del Monferrato sa essere accogliente, accessibile, easy, pop, alla portata di tutti. Volendo, da bere un po’ più fresco con una varietà di cicchetti, di piatti di mare, etnici, vegetariani, sempre a condizione che rispettino quel minimo di struttura che al Nebbiolo non manca mai. Infine, c’è un altro vantaggio, se si sceglie il Nebbiolo di Albugnano: il prezzo. Non è più il tempo delle bottiglie a 4 o 5 euro. Ma i vini di Albugnano, se ormai riescono a esprimere anche un valore economico all’altezza del blasone del vitigno, restano comunque più cheap rispetto ai cugini delle Langhe.
In conclusione, una bella scoperta: un Nebbiolo “altro”, “democratico”, un vino di territorio che, con un’intelligente spinta promozionale, potrebbero diventare un piacevole compagno delle serate in città.
Produttori dell’Associazione Albugnano 549
Fonte: Linkiesta, Gastronomica, Vittorino Ferla, 06.03.2023