Un viaggio che si snoda nella storia e nella cultura dell’enogastronomia italiana, tra antichi utensili dei maestri artigiani e moderni macchinari industriali, tra locandine pubblicitarie d’epoca e gadget super-pop
Foto @Fabrizio Dell’Aquila
«Ho bisogno di conoscere la storia di un alimento. Devo sapere da dove viene. Devo immaginarmi le mani che hanno coltivato, lavorato e cotto ciò che mangio». Le parole di un guru dell’alimentazione buona pulita e giusta, come Carlo Petrini, rassicurano quanti (per snobberia? vero interesse? ricerca proustiana di una madeleine che si pensava perduta?) fanno la fila davanti alle biglietterie dei Musei del Gusto.
E pensare che, all’interno di questi santuari pagani, non trovano posto nessun dipinto, nessun cimelio, nessuna scultura perché tra bacheche, sale di esposizione e teche c’è cibo, cibo e ancora cibo. E, ovviamente, tutto quello che gli ruota intorno: memorie, saperi, abilità. Il cibo, insomma, è cultura e opera d’arte insieme ed è giusto che abbia una casa, o meglio, un museo dove mostrarsi e raccontarsi.
È così che, tra i corridoi e le sale di questi (strani?) musei, viaggiatori curiosi&golosi e foodies scoprono i percorsi che portano le materie prime a diventare prodotti finiti, imparano la storia degli alimenti (comuni e non) e le tecniche della loro lavorazione, incontrano (virtualmente ma non solo) chi coltiva, lavora e cuoce (per dirla alla Petrini) ciò che si mangia.
Un viaggio che si snoda nella storia e nella cultura dell’enogastronomia italiana, tra antichi utensili dei maestri artigiani e moderni macchinari industriali, tra locandine pubblicitarie d’epoca e gadget super-pop.
I ventisei musei dell’Emilia Romagna
Fenomeno ristretto, questo dei Musei del Gusto? Nemmeno tanto: solo in Emilia Romagna, lungo la via Emilia, tra la Food Valley parmense e la costa dell’Adriatico, sono ventisei le “case” delle eccellenze del territorio che, attraverso percorsi immersivi, raccontano alimenti, peculiarità enogastronomiche e ricchezze del mondo rurale e fanno, col cibo e del cibo, intrattenimento e, insieme, cultura.
Distribuiti sul territorio, con attenzione ai luoghi, alla location e alla vocazione di ogni area, diventano luoghi della memoria e scenari per tramandare la storia alle nuove generazioni. Capaci, anche, di stuzzicare l’interesse di visitatori curiosi e di diventare luoghi di divulgazione e di educazione alimentare.
Nella terra di Correggio e del Parmigianino, di Verdi e Toscanini, di Guareschi e Bertolucci sono nate anche grandi eccellenze note in tutto il mondo: il Parmigiano Reggiano e il Prosciutto Crudo, il Culatello e l’Aceto Balsamico, il Salame di Felino e il Formaggio di fossa, solo per citarne alcune.
E questa è la terra dello slow mix, una fusione di esperienze che creano un inaspettato viaggio tra cultura, natura ed enogastronomia, un turismo lento fatto di benessere, nuove emozioni e antichi sapori, tutti da scoprire.
Dio salvi i Re
In un ideale grand tour enogastronomico emiliano-romagnolo, il primo incontro ravvicinato, doveroso, è con sua maestà il Parmigiano Reggiano. Che, naturalmente, ha una casa. O, meglio, un “casello” (così chiamano in provincia di Parma i caseifici).
Nel settecentesco complesso Castellazzi della Rocca Meli- Lupi a Soragna (Pr), un antico edificio di forma circolare ospita il Museo del Parmigiano Reggiano che racconta virtù e segreti del formaggio più amato dagli italiani, tra cimeli e attrezzi, mappe e disegni, pannelli illustrativi e materiale fotografico. Nello shop, poi, si possono acquistare kit di degustazione e gadget a tema.
Foto Courtesy Musei del Gusto
Altra sosta, altro sovrano, altro museo. Si chiama Museo del Prosciutto di Parma ed è la reggia di re prosciutto. Si trova a Langhirano (Pr) e mostra i prodigi dell’arte norcina che, partendo dalle cosce di suino, arriva a ottenere quella squisitezza conosciuta anche come il “Parma”. Nelle sale del museo c’è il plastico di un salumificio, la descrizione dei vari passaggi per la lavorazione del prosciutto e la visita virtuale di un prosciuttificio. Naturalmente c’è uno spazio degustazione, dove gli assaggi del prezioso salume sono assicurati.
Foto ©Fabrizio Dell’Aquila
Rosso Pomodoro
Anche se originario da terre d’oltreoceano, il pomodoro ha trovato in Emilia Romagna e soprattutto in provincia di Parma il suo habitat ideale, già a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. Non poteva mancare, quindi, un Museo del Pomodoro dedicato a uno dei prodotti icona della cucina italiana. La sede del museo è all’interno della Corte di Giarola, nel comune di Collecchio (Pr), una struttura rurale medievale che comprendeva, già secoli fa, abitazioni, stalle e un caseificio. La storia del pomodoro, della sua diffusione e del suo utilizzo viene raccontata in sette sezioni tematiche dove si incontrano macchinari d’epoca, imballaggi (cento lattine originali utilizzate per il commercio dell’oro rosso) e opere d’arte che celebrano il pomodoro.
Foto Courtesy Musei del Gusto
Aceto? Sì, ma Balsamico e Tradizionale
È l’Aceto più speciale del mondo (e per lui l’iniziale maiuscola non è sprecata), dalla preparazione lenta e laboriosa, dalla storia lunghissima, dalla schiera di fan supertitolati (di “lui” si sono innamorati duchi, imperatori e papi). Anche a questo Aceto così blasonato viene dedicato un Museo: si trova nella Villa Fabriani di Spilamberto (Mo) ed è una immersione negli aromi e nei profumi dell’aceto tra le sale che raccontano, dai vigneti alla vendemmia, dalla pigiatura alla cottura all’invecchiamento, i momenti clou del processo che trasforma un semplice mosto in un prezioso “nettare nero”. La visita si conclude nel solaio della Villa dove sono conservati i “vaselli”, le botticelle di legno dove un Balsamico invecchia e matura per venticinque anni.
Foto ©Fabrizio Dell’Aquila
Pane al pane
È nato sulle rive del Po, il buon pane ferrarese (la celebre “coppia” che si fregia dell’Igp). Ed è proprio in vista del grande fiume che a Ro (Fe) è stato inaugurato un Museo del Pane ospitato in un mulino ad acqua (come quello descritto da Riccardo Bacchelli nel suo celebre romanzo). Il mulino è perfettamente funzionate e, dal vivo, viene macinato un grano speciale (il Gentil Rosso) coltivato nel territorio con tecniche a basso impatto ambientale. Nell’area del museo è presente un punto ristoro dove è possibile concludere la visita degustando pane ferrarese e piatti tipici locali e acquistando prodotti bio.
Foto ©Fabrizio Dell’Aquila
Con un grano di sale
Ospitato nei centenari Magazzini del Sale a Cervia (Ra), il Museo del Sale è una vera miniera di documenti, attrezzi, immagini e storie di una delle più antiche saline al mondo. La visita poi continua all’aperto, nella Salina Camillone, dove si assiste al coltivo e alla raccolta del prezioso ingrediente. Chi vuole può anche passare “un giorno da salinaro” lavorando accanto ai mastri che si dedicano all’estrazione e al trasporto dell’oro bianco di Cervia.
Foto Courtesy Salina di Cervia
laRepubblica, IL GUSTO, Enrico Saravalle , 16.01.2023