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Dic 19 2022

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OCCHIO ALLA CHELA: IL GRANCHIO BLU, DA PERICOLO DEI MARI A RISORSA DELLA CUCINA

Specie non autoctona cresciuta fuori controllo a causa dell’assenza di predatori, da qualche anno il Callinectes sapidus è al centro di progetti internazionali mirati a riportare equilibrio nella fauna marina. A tutto vantaggio della cucina

Foto Girish Dalvi – Unsplash

Da invasore a prelibatezza. Il granchio blu è specie oceanica, aliena ai nostri mari, arrivato nel Mare Nostrum si presume tra 15 e 20 anni fa nelle acque di zavorra delle navi e ora in grado di colonizzarlo, con un notevole impatto sull’ecosistema. Agisce infatti indisturbato, non avendo alcun predatore, ed è in grado di avere effetti dannosi sulla pesca e sulla risorse marine autoctone della costa italiana adriatica.

E se in Grecia e in Albania il problema è ancor più serio, sulle coste italiche il granchio blu è presenza nota in Adriatico e Ionio, ma nell’ultimo lustro è stato avvistato anche nel Tirreno, tra Lazio, Liguria e Sardegna. Si sta espandendo a macchia d’olio questa “invasive alien specie” che rischia di diventare una piaga moderna ma che potrebbe essere fermata. Come? Grazie alla sua carne succulenta, un ingrediente che già diversi chef hanno iniziato a impiegare nella nostra cucina.

In Tunisia, dove l’infestazione era divenuta seria con un po’ di anticipo rispetto alle nostre coste, ci stanno già provando da almeno una manciata di anni, anche con l’appoggio della Fao. In alcuni punti del litorale della nazione nordafricana, il Callinectes sapidus ha superato anche il 50 per cento del pescato. «Una volta insediatesi, le specie non autoctone possono rimpiazzare le specie endemiche e alterarne gli ecosistemi, con potenziali ripercussioni economiche per la pesca e il turismo, o addirittura per la salute umana», spiega l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, proseguendo «In Tunisia, due specie non autoctone di granchio blu, che stavano mettendo in pericolo la pesca tradizionale, sono diventate un business redditizio, quando Fao e governo tunisino hanno avviato un programma di aiuti per consentire ai pescatori di accedere a nuovi mercati. Lo stesso accade in Spagna e in altre aree del Mediterraneo».

Fondamentale, quindi, innescare processi virtuosi che facciano crescere la richiesta di granchio blu per farlo diventare un prodotto appetibile e appetito.

Un altro progetto interessante è “Best tag”, creato tra la città tunisina di Gabes e Taranto, pronte a lavorare a braccetto per la promozione della cozza nera e, ovviamente, del granchio blu, anche attraverso una serie di cooking show che hanno visto impegnati Agostino Bartoli, chef del Gatto Rosso, e il cuoco di Tunisi Mounir Arem. Ma non solo: Stefano Barbato, chef particolarmente noto per il suo canale YouTube, ne ha parlato nel corso di una sua videoricetta.

A Venezia, invece, c’è Chiara Pavan, chef insieme allo stellato Francesco Brutto al Venissa, che propone un raviolo di pelle di latte di soia, granchio blu, tuorlo, origano e maggiorana. La sua propensione per le specie aliene della laguna l’ha portata a collaborare con le Mariscadoras, cinque ragazze riminesi che hanno fondato una società e lanciato il progetto Blueat proprio per spingere il granchio blu verso le tavole di tutti gli italiani.

La startup (creata da Carlotta Santolini, Ilaria Cappuccini, Giulia Ricci, Alice Pari e Matilda Banchetti) ha compiuto da poco un anno ma sogna in grande. La pescheria sostenibile proposta dalla società romagnola parte dal presupposto che il granchio blu dev’essere visto prima di tutto come una risorsa per chi solca le acque mediterranee, soprattutto quelle di Adriatico e Ionio, a caccia di pesce: Mariscadoras conferma la disponibilità ad acquistare tutta la quantità di granchio blu pescato a un prezzo convenzionato, andando a prelevarlo ai punti di sbarco del pescatore o all’interno dei mercati della cooperativa che raccoglie il pescato dei propri soci.

«La loro proliferazione – spiegano le startupper – sta mettendo in pericolo la sopravvivenza delle risorse autoctone e, di conseguenza, il lavoro di migliaia di famiglie che vivono grazie alla piccola pesca costiera artigianale e al turismo balneare. Costruire nuovi scenari per gestire le specie aliene significa quindi tutelare l’ambiente e generare un impatto economico positivo».

Blueat, che sta raggiungendo i banchi di alcuni supermercati italiani con due sughi pronti (uno “bianco” l’altro con il pomodoro) punta anche a uscire dal mercato nostrano, strizzando l’occhio agli Stati Uniti (dove sarà in primavera, a Boston e Chicago, per presentare il proprio progetto e i propri prodotti), mercato ghiotto di granchio blu. Ma vuole farlo con “sani principi”, compresi quelli della parità di genere (promuovendo l’occupazione femminile nell’ambito della pesca) e dell’economia circolare, azzerando lo scarto del prodotto durante la lavorazione.   Fonte: Linkiesta, Gastronomika, Giovanni Ferrario, 19.12.2022

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