Sarà presentato ufficialmente il 24 settembre a Terra Madre-Salone del Gusto, di scena a Torino da oggi al 26 settembre
Il tralcio della vite che viene piegato e interrato (Ph. Tommaso Martini)
Un antico vitigno, l’enantio a piede franco, è il nuovo Presidio Slow Food: la particolarità di questa rara varietà di vite, originaria della Vallagarina, tra le province di Trento e Verona, è che nasce per propaggine (a piede franco, appunto) senza essere innestata. Niente barbatelle, insomma: queste piante corrono sul terreno e, con la sapiente mano dei viticoltori, si riproducono. Sarà presentato il 24 settembre, a Torino, a Terra Madre Salone del Gusto.
Lorenzo Bongiovanni, referente dei tre produttori che aderiscono al Presidio – l’azienda Roeno della famiglia Fugatti di Brentino Belluno (Verona), l’azienda Vallarom di Barbara Mottini e Filippo Scienza di Avio (Trento) e l’azienda Lorenzo Bongiovanni di Sabbionara (Trento) – spiega: “si prende un tralcio (cioè un ramo giovane) della pianta, lo si ripiega verso il terreno, lo si interra in una buca per 30 centimetri e poi lo si fa riemergere dal suolo per una spanna. Si riempie la buca e si aspetta che il tralcio “spinga” verso l’altro, cioè cresca, mentre dalle gemme sotto terra le radici si propagano”. Poi, è solo questione di tempo: “Nel giro di due o tre anni, il tralcio sarà grande e forte, così si procederà a separarlo dalla pianta madre”.
A proposito di pianta madre, anch’essa è autoctona al 100%: “È da più di quarant’anni che non ne faccio, perché non abbiamo più fatto nascere nuovi vigneti ma soltanto propagato quelli esistenti, ma il meccanismo prevede di prendere un tralcio da un’altra pianta di enantio, farla radicare in acqua e poi piantarla. In altre parole, niente portainnesti esterni, nessun materiale vivaistico, ma soltanto il patrimonio genetico della stessa pianta”.
La propagazione resiste ancora oggi soltanto in pochissime parti d’Italia, aree dove la composizione del suolo, oppure l’altitudine, hanno impedito alla fillossera di proliferare. La Vallagarina, lungo l’asse del fiume Adige tra le province di Trento e di Verona, è uno di questi ambienti: grazie alla struttura sabbiosa-silicea del terreno, l’afide non è riuscito ad attaccare l’apparato radicale di queste vigne e ancora oggi viene quindi coltivato l’enantio.
“La superficie coltivata a enantio, negli ultimi trent’anni, si è però ridotta moltissimo” spiega Tommaso Martini, referente Slow Food del Presidio. La superficie totale, oggi, è tra i 35 e i 40 ettari, calcolando anche i vigneti appartenenti ad aziende che non aderiscono al Presidio Slow Food. “A valorizzare questo vitigno, a imbottigliare l’enantio proveniente da vigneti a piede franco commercializzandolo con un’etichetta ad hoc – gli fa eco Bongiovanni – siamo rimasti in tre. Gran parte della produzione, invece, viene utilizzata come uva da taglio per altri vini rossi del territorio”.
Oltre alla particolarità dovuta al sistema della propaggine, l’enantio vanta anche una storia lunghissima. Già nel primo secolo Plinio Il Vecchio lo citava in uno dei volumi della sua “Naturalis Historia”, scrivendo che “la brusca hoc est vite silvestris, quod vocatur oenanthium”, cioè che “uva lambrusca è la vite selvatica chiamata enantio”.
“Fino alla metà degli anni Ottanta, la varietà era molto diffusa e in questa zona tra il basso Trentino e l’alto Veronese siamo cresciuti a lambrusca” scherza Bongiovanni. Il nome non induca però in confusione: nulla a che vedere con il lambrusco emiliano: l’enantio è a foglia frastagliata e quel termine richiama la natura selvatica e robusta della pianta. Caratteristiche che si ritrovano anche nel vino, dal color rosso rubino intenso, un sapore secco, acidità ben presente e patrimonio tannico ben equilibrato, che lo rendono adatto agli abbinamenti con i piatti rustici della cucina trentina, ma anche con salumi e formaggi stagionati.
La vendemmia è tardiva, nella seconda metà di ottobre, e la resa bassa. In cantina, poi, i vignaioli possono sbizzarrirsi: “Il riconoscimento dell’enantio a piede franco come Presidio Slow Food è un passo importante anche in questo senso – conclude Martini – perché, al di là della comune origine e fatto salvo il disciplinare che va nella direzione di un vino quanto più possibile naturale, ogni produttore mette in commercio un vino diversissimo dall’uno dall’altro. Tanto per fare un esempio, c’è chi lo commercializza l’anno successivo alla vendemmia e chi aspetta tre o quattro anni. Su una base comune, insomma, nasce un progetto che lascia esprimere le identità delle aziende coinvolte: un valore aggiunto”. Fonte: WineNews, 22.09.2022