Quando parliamo del rapporto tra cibo e salute tendiamo a pensare alla dieta più adatta, alle materie prime più salubri, alle ricette non appesantite da troppi grassi e zuccheri, al giusto rapporto tra proteine, carboidrati e altri nutrienti. L’enorme numero di batteri microscopici che popolano il nostro intestino non è esattamente la prima cosa che ci viene in mente. Eppure il microbiota intestinale è la cartina tornasole della nostra salute.
Per esplorare il legame tra cibo e salute in maniera più completa possibile, Slow Food ha pubblicato un documento di posizione intitolato Il nostro cibo è la nostra salute. Solo con la biodiversità si nutre il pianeta. E al suo interno, una parte importante è dedicata proprio agli oltre mille miliardi di batteri, virus, funghi e protozoi, con il peso totale di circa un chilogrammo e mezzo che, comunicando tra loro, agiscono come se fossero un unico organismo ormai considerato dagli scienziati quasi un secondo cervello, per la complessità e l’importanza nell’interazione con il resto del nostro organismo.
Perché, e in che modo, il microbiota è importante?
Il microbiota intestinale costituisce un ecosistema e contiene un numero di geni almeno 100 volte più grande del genoma umano. Eventuali alterazioni del suo equilibrio possono dare luogo a disturbi gastrointestinali di vario genere, ma anche a patologie come l’obesità, la sindrome metabolica, l’arteriosclerosi e altre malattie cardiovascolari, neurologiche e psichiatriche.
Il ricercatore Eran Segal del Weizmann Institute of Science in Israele, insieme a un team di colleghi, nel febbraio del 2018 ha pubblicato sulla rivista scientifica Nature un articolo intitolato «Environment dominates over host genetics in shaping human gut microbiota». La ricerca evidenzia come i fattori che determinano il microbiota intestinale non siano soltanto di natura genetica, ma anche non genetica, legati ad esempio alla dieta e allo stile di vita.
La comunità microbica intestinale infatti è altamente dinamica e i microrganismi possono essere assorbiti dal cibo, dall’acqua e dall’ambiente circostante. Se salute del microbiota e salute dell’uomo sono legate, è allora importante capire in che modo far star bene il microbiota stesso.
Un elemento fondamentale da tenere in considerazione è il suolo.
È nel suolo, infatti, che trova origine (diretta e indiretta) tutto ciò che è alimentazione. Blum, Zechmeister-Boltenstern e Keiblinger dell’Institute of Soil Research della University of Natural Resources and Life Sciences di Vienna, nel 2019, hanno pubblicato uno studio dedicato proprio a questo rapporto, scrivendo che “l’uso crescente di prodotti agrochimici, la scarsa biodiversità vegetale e le pratiche di gestione del suolo hanno un effetto negativo sulla biodiversità degli epifiti e degli endofiti (cioè dei microrganismi, ndr) delle colture”. Questi sviluppi, proseguono gli autori, “coincidono con un aumento delle malattie legate allo stile di vita e al microbioma* intestinale umano”.
Pensiamo all’agricoltura: nel suolo non crescono soltanto le colture commestibili, ma vivono miliardi di insetti, funghi, batteri, lieviti e altri microrganismi utili, indispensabili a rendere fertile e produttivo il terreno e – come abbiamo visto – in grado di avere effetti positivi sul microbiota. Una biodiversità invisibile che viene distrutta, cancellata, dall’uso di pesticidi ed erbicidi come il glifosato (a questo link un approfondimento su quello più diffuso al mondo e sui suoi effetti, oltre che la video intervista alla dottoressa Fiorella Belpoggi, direttrice scientifica dell’Istituto Ramazzini di Bologna).
L’allevamento funziona allo stesso modo. Gli animali al pascolo possono nutrirsi di erba e vegetazione che cresce spontaneamente, ricca di biodiversità. Una dieta benefica per l’animale e, di conseguenza, anche per chi si nutre del suo latte e della sua carne. Niente di tutto questo avviene con gli animali in stalla, come accade negli allevamenti industriali: addio ai benefici portati dal contatto con la terra.
Il contatto con il suolo
Suolo e microbiota non sono legati soltanto dal cibo che, in quello stesso substrato, origina. Basta il contatto per favorire l’esposizione a microrganismi intestinali benefici. Nel corso dell’ultimo secolo, la drammatica crescita dell’urbanizzazione ha indotto una significativa riduzione della biodiversità naturale dell’ambiente nelle città, riducendo perciò anche l’esposizione ai microbi ambientali. Secondo un gruppo di ricercatori finlandesi, “il ridotto contatto delle persone con le caratteristiche ambientali naturali e la biodiversità può influire negativamente sul microbiota umano e sulla sua capacità immunomodulatoria”. Le conseguenze? Allergie, ad esempio, ma non solo: anche disturbi gastrointestinali di vario genere, patologie come l’obesità, la sindrome metabolica, l’arteriosclerosi e altre malattie non trasmissibili come segnalato in un altro studio messo a punto da ricercatori dell’Università di Friburgo.
Anche il modo in cui gli alimenti vengono processati può influire sulla salute del microbiota: i cibi industriali confezionati, ad alto tenore calorico, ricchi di zuccheri, grassi e sale – che sono sempre più diffusi nelle diete dei paesi occidentali – hanno l’effetto di alterare il microbiota intestinale a causa dei trattamenti ai quali le materie prime vengono sottoposte prima e dopo la raccolta, come dimostrato nello studio intitolato Influence of diet on the gut microbiome and implications for human health pubblicato ad aprile 2017 sul Journal of Translational Medicine.
L’importanza di adottare un approccio “One Health”
Torniamo un momento allo studio di Blum, Zechmeister-Boltenstern e Keiblinger: gli autori scrivono che “può essere utile adottare una prospettiva diversa e considerare il microbioma intestinale umano e quello del suolo come “superorganismi” che, a stretto contatto, si riforniscono reciprocamente di inoculanti, geni e molecole di sostegno alla crescita”. Suolo, animali e microbiota, pianeta, ambiente naturale e uomo: non si può (né conviene) ragionare per compartimenti stagni. La salute è una, collegata a tutto e per tutti. È il cosiddetto approccio “One Health”, che riconosce l’esistenza di un nesso indissolubile tra la salute degli esseri umani, degli animali, delle forme di vita vegetali e dell’ambiente: i problemi che affliggono ciascuna delle categorie del vivente vanno affrontati nel quadro di un approccio integrato.
Difendere la biodiversità alimentare significa contrastare lo strapotere dell’industria chimica, dell’agricoltura intensiva, dell’allevamento industriale, della pesca indiscriminata. Ma promuovere la produzione di un cibo buono, pulito e giusto ha effetti anche in altri ambiti: sulla salute dell’ambiente, sulla sicurezza degli ecosistemi, sulla sopravvivenza economica dei produttori di piccola scala, sulla salvaguardia delle tradizioni e della cultura locali. E naturalmente, anche e soprattutto sulla salute dell’uomo.
Marco Gritti
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fonte: Slow Food, Maerco Gritti, 18.07.2022