L’ex presidente di Slow Food: «Sono amico del Papa: gli mando gli agnolotti, lui i rosari»
«Tanta gente mi diceva “Carlin non mollare, tieni duro, che senza di te la cosa non regge”. E me lo dicevano credendo di farmi un favore. Invece io non la penso così, non ci devo essere per forza affinché il progetto continui: il vero capolavoro, quando fondi qualcosa, è che vada avanti dopo di te». Per Carlo Petrini, classe 1949, questo è il day after. Il giorno dopo aver lasciato, a 33 anni dalla fondazione, la presidenza di Slow Food.
Non ha paura di pentirsene? O che il ruolo le manchi?
«Assolutamente no, avevo già lasciato la carica di presidente italiano vent’anni fa, ora lascio quella internazionale, ma resto nel consiglio come membro fondatore e soprattutto resto presidente dell’università di Pollenzo. Insomma, non mi mancherà da fare. Sono soddisfatto di quello che abbiamo creato, una rete diffusa in 160 Paesi, dai 18 che eravamo nel 1989, quando Slow Food è nata a Parigi. E sono curioso di vedere come se la caverà questo nuovo gruppo dirigente e questo presidente giovane, motivato, con una grande carica di empatia».
Come ha scelto il suo successore, l’agronomo ugandese 36enne Edward Mukiibi?
«Era vicepresidente già dal 2014, si è prodigato per diffondere in Africa il progetto degli orti, 10 mila giardini che danno da mangiare a interi villaggi in 40 Paesi. Ha dimostrato un impegno straordinario. E penso anche che sia importante dare un segnale: Slow Food non è un movimento eurocentrico. Però adesso Edward deve imparare l’italiano, gliel’ho già detto: la sede centrale di Slow Food è a Bra, non è mai successo che a Roma votassero un Papa che non sapesse il latino». Ride.
Petrini, era stanco?
«No, sto benissimo, state tutti tranquilli. Certo, l’età un po’ si fa sentire, girare l’Italia in macchina mi pesa più di qualche anno fa. Ma già da tempo gli impegni internazionali erano in mano a bravissimi collaboratori: tre anni fa in Messico ho avuto un infarto mentre mi trovavo in hotel a Oaxaca. Sentivo un dolore insistente al petto, ho chiamato la reception e pare mi abbiano preso per i capelli. Da allora sono entrato nel popolo dei cardiopatici. Però mi è andata bene, sono stati veloci e precisi, ho saputo dopo che la scuola messicana di cardiologia è prestigiosissima».
Si è spaventato? Le capita mai di pensare alla morte?
«Un po’ come a tutti invecchiando, credo. Ma è per questo che trovo molto confortante la scelta di aver passato il testimone adesso: così posso vedere che direzione prende quello che ho creato. Mi ricordo i dibattiti con Luigi Veronelli, mi prendeva in giro perché io ero comunista mentre lui era anarchico. Io gli dicevo: guarda che tutto sommato funziona avere organizzazione, dà sicurezza».
Mukiibi è sposato con due figli. Lei non ha mai avuto famiglia, come mai?
«Ho sempre vissuto con mia sorella Chiara, che c’è stata per me nei momenti difficili, quando sono mancati i nostri genitori per esempio. In passato mi sono innamorato, ma sono arrivato troppo tardi per prendere delle decisioni. Solo che oggi, a 73 anni, per ricordare le morose di quando ne avevo 25-30 devo fare uno sforzo di amarcord troppo grande! La vita di coppia non mi è mai mancata, magari un po’ di sicurezza sì, ecco… E mi dispiace, in parte, non aver avuto figli. Anche se sento di averne migliaia nel mondo: oltre cinquemila ex allievi di Pollenzo in 100 Paesi».
La soddisfazione più grande della sua presidenza?
«Pollenzo, perché siamo riusciti a creare quello che Anthelme Brillat Savarin, il padre ideologico di Slow Food, diceva già nell’Ottocento: un approccio multidisciplinare al cibo. Non solo ristorazione ma anche antropologia, agronomia, politica. Una formazione così importante al giorno d’oggi che al prossimo Terra Madre costituiremo la Società internazionale di studi gastronomici».
Tra i presidi Slow Food, le specialità che avete salvato dall’estinzione (632 in 79 Paesi), qual è quello di cui va più orgoglioso?
«Il primo: il cappone di Morozzo, nel cuneese. Negli anni Novanta ne erano rimasti 50-60 capi, venduti a un prezzo ridicolo. Io ho cominciato a proporli a destra e a manca, alla fine c’era richiesta per mille. Oggi l’economia del paese gira attorno a quell’allevamento».
Ha particolari rimpianti?
«Ho fatto qualche errore, ma da quelli si impara. Rimpianti no, alla fine io mi accontento di poco. La buona compagnia, gli amici».
Quelli illustri come il principe Carlo?
«Quelli che frequento di più: Renzo Piano, Michele Serra, Antonio Ricci. Ma la vera sorpresa della mia vita è stata diventare amico del Papa. Io gli mando tajarin e agnolotti per il compleanno. Lui un rosario. Sono già al quinto o al sesto». Fonte: Il Corriere, COOK, 18.07.2022