Dopo l’hamburger impossibile, al sapore di carne ma senza carne, si apre dunque l’era del latte sintetico. L’allarme dei produttori italiani: a rischio un comparto da 16 miliardi di euro
«Un vero caseificio, ma senza mucche». Così recita lo slogan di Remilk, e presto il suo motto campeggerà sul mega-stabilimento da 70mila metri quadrati in via di costruzione in Danimarca, a Kalundborg, nel neonato distretto del cibo hi-tech. Remilk è una start-up israeliana e sarà la prima a produrre su larga scala il latte sintetico: il latte, cioè, fatto senza mucche. Niente a che vedere con le bevande sostitutive del latte, come quelle alla soia o alla mandorla. Qui si tratta di latte – e yogurt, e formaggi, e gelati – al sapore di latte, indistinguibili dal latte vero.
Dopo l’hamburger impossibile, al sapore di carne ma senza carne, si apre dunque l’era del latte sintetico. Alla Remilk si utilizza il principio della fermentazione microbica, cioè si sfrutta il processo usato per produrre alimenti alcolici come la birra o lievitati come il pane. Il gene responsabile della produzione delle proteine del latte nelle mucche viene copiato, quindi viene inserito nel lievito, che dal gene impara come produrre la proteina del latte in modo altamente efficiente. Il lievito viene infine inserito nei fermentatori, dove si moltiplica rapidamente e produce proteine del latte, identiche a quelle prodotte dalle mucche. Combinati con vitamine, minerali, grassi e zuccheri non animali, questi mattoncini proteici possono diventare qualsiasi cosa, dalla panna montata ai formaggi più stagionati.
Israele frontiera agritech
Da quando è nata, nel 2019, Remilk ha già raccolto 120 milioni di dollari di capitale. Ma non è l’unica start up israeliana a lavorare sul latte di sintesi. Nello Science park di Rehovot, a una trentina di chilometri a sud di Tel Aviv, la Wilk produce latte a partire dalle cellule epiteliali mammarie, che si trovano nelle ghiandole mammarie sia dell’uomo che degli animali. Il che apre anche all’interessante frontiera del latte sintetico anche per l’infanzia. Nel campo dell’agrifoodtech, Israele è una punta d’avanguardia mondiale, che conta sull’attività di oltre 440 startup innovative. Soltanto nel 2021 il settore dell’innovazione applicata al campo alimentare ha potuto contare su un finanziamento record di 833,5 milioni di dollari, con una crescita del 150% rispetto al 2020.
Le potenzialità di mercato
Il latte sintetico è indubbiamente sostenibile. Secondo i ricercatori della Remilk, per produrre in laboratorio la stessa quantità di latte di una fattoria serve il 99% in meno di suolo occupato. Senza contare che per gli animalisti si aprirebbe l’era della fine dello sfruttamento animale. Quanto alle opportunità di mercato, al momento è ancora tutto da capire. Se però guardiamo al segmento delle bevande vegetali, secondo i dati Euromonitor il fatturato mondiale nel 2021 ha già raggiunto i 17 miliardi di dollari: certo, siamo lontani dai 650 miliardi generati dal mercato di latte di mucca, ma le percentuali di crescita registrate negli ultimi anni sono interessanti. Sono le multinazionali a crederci, soprattutto: Danone, per esempio, porta già a casa 2 miliardi di euro all’anno dai prodotti ricavati dalle piante.
L’allarme del made in Italy
Per l’Italia, più che una nuova frontiera, quella del latte sintetico però è una minaccia. Con un fatturato che supera i 16,2 miliardi di euro e un indotto che dà lavoro a oltre 100mila lavoratori, il settore della trasformazione del latte è il primo per dimensioni di tutto l’agroalimentare italiano. Le sue esportazioni rappresentano quasi il 40% della produzione casearia e hanno quasi raggiunto 3 miliardi di euro di valore. Nelle stalle italiane la produzione di latte supera i 12 milioni di tonnellate, di cui oltre il 40% destinato ai grandi formaggi Dop come il Grana Padano o il Parmigiano Reggiano. «L’annuncio dell’apertura in Danimarca di un gigantesco impianto di produzione di latte sintetico rappresenta un pericolosissimo passo in avanti da parte di chi vuole distruggere ogni legame del cibo con la produzione agricola, proponendo un unica dieta omologata e mondiale», sostiene Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia. Che punta il dito anche contro le istituzioni : «È inaccettabile l’atteggiamento di chi arriva a proporre questi prodotti di sintesi come modelli a basso impatto ambientale e finanzia con soldi pubblici start up che in realtà spesso hanno dietro sempre le solite multinazionali globali».
Secondo un sondaggio realizzato dalla Coldiretti, i consumatori starebbero tutti dalla parte degli allevatori: il 95% degli italiani non mangerebbe carne sintetica se la trovasse sugli scaffali perché il 68% non si fida delle cose non naturali e il 60% ha consistenti dubbi sul fatto che i prodotti di sintesi siano sicuri. Infine, il 42% degli intervistati la carne artificiale non potrà mai avere lo stesso sapore di quella vera. Fonte: Il Sole 24 Ore, Micaela Cappellini, 10.06.2022