«

»

Giu 07 2022

Print this Articolo

CONTAMINAZIONI: FUSION ALLA MILANESE

Se gli autoctoni del capoluogo meneghino sono ormai in via di estinzione, irrimediabilmente ibridati in quel melting pot interregionale e internazionale che da quasi un secolo è la Lombardia, le tradizioni culinarie più tipiche non sono cadute nel dimenticatoio

Hosomaki al ragu di luganega, courtesy ristorante Kaiseki

Non esistono più i milanesi Doc? (quasi) vero. Non esiste più la cucina milanese? Assolutamente falso! Se gli autoctoni del capoluogo meneghino sono ormai in via di estinzione, irrimediabilmente ibridati in quel melting pot interregionale e internazionale che da quasi un secolo è la Lombardia, le tradizioni culinarie di questa metropoli non sono cadute nel dimenticatoio. Anzi! Cercando (e gustando) con un po’ di attenzione ci si può accorgere che la cultura gastronomica milanese è ovunque, semplicemente cambiata, trasformata, rivisitata nella forma, nel formato e nel format.

Uno, nessuno, centomila

Ancora sopravvivono mosche bianche che offrono in versione ortodossa le irrinunciabili ricette tipiche, retrò nell’aspetto e nel gusto (oltre che nell’apporto calorico), ma capaci di far rivivere la ricchezza di una dieta povera ormai anacronistica nelle cucine domestiche. Si trovano così grandi classici come la Cassœula (che ha persino una sua confraternita con sede alla Premiata Trattoria Arlati), la Büsèca (busecca o “trippa alla milanese”), l’uregia d’elefant, più tutta la selezione immancabile di risotti e ravioli, salumi e formaggi lombardi, pesci di lago, pane giallo e polenta di mais. Ma soprattutto si moltiplicano le fortunate chimere che alleggeriscono, rimpiccioliscono, destrutturano, ricompongono, invasettano i piatti affidabili della tradizione, permettendosi di tanto in tanto di distrarsi dal rigorismo local per guardare oltre confine e lasciare entrare in cucina qualche refolo esotico capace di apportare un tocco innovativo al canone culinario per incuriosire i neo gourmet di tutte le età con abbinamenti insoliti.

In punta di forchetta… o di coltello?

Uno degli aspetti caratterizzanti (e vincenti) della ristorazione meneghina 2.0 (e sequel) è stato sicuramente il nuovo modo di intendere il pasto: si mangia in piedi, per strada, all’aperto ma non per pigra adesione allo stereotipo che vuole il milanese sempre di fretta e incapace di godersi il proprio tempo. Tutt’altro: almeno dall’Expo in poi, l’idea è stata  proprio quella di vivere maggiormente la città trasformando anche la semplice pausa pranzo o l’aperitivo in un momento in cui sentirsi un tutt’uno con essa e con i suoi luoghi più caratteristici e a misura d’uomo (piazze, cortili, vie pedonali, ville storiche, persino musei), che non hanno bisogno di etichettarsi come ristoranti, osterie, chioschi o bistrot.

E allora perché non cedere alla voglia di costoletta di vitello (rigorosamente con l’osso e fritta nel burro), direttamente al banco del salumiere? La migliore della città è quella di Macelleria Equina Pellegrini che la propone al forno, non per utopismo light ma per mantenerla succulenta nonostante lo spessore maggiore del taglio.

“Schiscetta”, un cliché divenuto tendenza

Simbolo del lavoro e dell’impegno individuale per la ricostruzione postbellica, il tipico “pasto in fabbrica” vive oggi una nuova fortuna, non solo specchiandosi nella più attuale e dinamica pratica del delivery, ma anche trovando spazio nei menù più ricercati. Un esempio è quello di Ratanà, che lo propone in versione contemporanea come “business lunch” alternativo alla carta: un piatto unico che varia ogni giorno, ma viene sempre accompagnato da un calice di vino, acqua e caffè a prezzo fisso. Un’impronta di memoria, legata al territorio e rivisitata in chiave moderna, attraverso preparazioni semplificate nel numero di ingredienti, nell’esecuzione e nel contesto di fruizione.

Non tutti i risotti escono con l’(osso)buco

Risotto giallo, gremolada e un taglio particolare di carne di vitello… E se entrassero in un burger? Possibile da theLab Milano, un laboratorio di innovazione culinaria che si prefigge di coniugare gusto e creatività, tradizione e modernità in una Unconventional Burger Experience, basata su una selezione di hamburger gourmet che omaggia il territorio e al tempo stesso restituisce dignità e qualità ad un prodotto internazionale ormai inflazionato, attraverso un’attenta ricerca di prodotti di altissima qualità (dal risotto allo zafferano all’uovo in cereghino, dal Bitto lombardo alla carne di prima scelta) mixati in modo non convenzionale, innovativo, sperimentale. L’esempio classico è Mi, che omaggia Milano e uno dei suoi piatti simbolo racchiudendo in un morbido bun 170 grammi di vitello piemontese, risotto agli stimmi di zafferano al salto, taleggio DOP e maionese al lime. Gli ingredienti tipici di uno dei piatti-simbolo del capoluogo lombardo ci sono tutti, e per gustareselo al meglio c’è un’unica regola “sedersi e prendersi il proprio tempo”.

Vanità introspettiva… nei menù che hanno coraggio

Per ospitare il “quinto quarto” in menù ci vuole fegato… ma anche animelle (laccett), rognone, cervella, rigaglie di pollo, trippa e tutti gli altri protagonisti del classico “fritto misto alla milanese”. Soprattutto se si opta per scelte irriverenti e provocatorie che possono far storcere il naso ai puristi o mandare in visibilio i neofiti della tradizione “povera”. È il caso delle interiora 2.0 del menù di Manna, che provoca il palato con abbinamenti azzardati in cui le interiora incontrano i molluschi e i sapori nordici come rafano, panna di aringa, aneto e uova di pesce, il leche de tigre, il gin, le spezie orientali, i frutti esotici e persino il cioccolato.

La rivincita degli “intramontabili”

“Antipasti” e “Dolci” sono le zone franche del menu in cui la milanesità può esprimersi in maniera più accattivante e meno impegnativa. Qui trovano posto, per esempio, i classici mondeghili, polpette nate come piatto di recupero nella tradizione contadina con lo scopo di riutilizzare gli avanzi di carne già cotta, ma anche la Barbajada, una bevanda dolce e spumosa a base di cioccolata, latte, caffè e zucchero, servita calda o fredda dalla prima metà dell’Ottocento fino agli anni Trenta, per poi cadere in disuso. Oggi invece sono molti i locali a riproporla, in versione pura o rivisitata, come accompagnamento al gelato o scomposta e in diverse consistenze.

Non può mancare il panettone, dolce milanese per eccellenza, tradizionalmente associato alle festività natalizie, ma in realtà disponibile tutto l’anno. Oggi, alla Pasticceria Caravaggio si può trovare anche in vasocottura, un formato più piccolo (300 g) disponibile in due versioni (quella classica con uvetta e canditi e quella più godereccia al cioccolato), che messe “sotto vetro” mantengono tutte le caratteristiche organolettiche del dolce appena sfornato.

“Orientarsi” in città

Per gli amanti delle contaminazioni fusion oggi c’è anche Kaiseki, un nuovo sushi restaurant che, in onore della sua recente apertura milanese, ha deciso di omaggiare la città inserendo nel menù tipicamente nipponico una selezione di 7 piatti intitolata “Gran Milan”, proponendo in versione “da bacchetta” le icone della gastronomia locale. Così il riso allo zafferano e la cassœula si fondono in una crocchetta fritta accompagnata da mostarda, l’anguilla flambata e avvolta in foglia di barbabietola diventa un chirashi con lenticchie, la cotoletta di vitello diviene il ripieno di un involtino primavera e l’ossobuco si trasforma in un uramaki in foglia di cavolo cinese, accompagnato (ovviamente) da gremolada e quartirolo sbriciolato e caramellato.

Unagi in carpione giapponese, courtesy ristorante Kaiseki

Insomma, ce n’è per tutti i gusti. E anche per chi non può fare affidamento sul repertorio culinario di un esercito di nonne o prozie indigene e affezionate perpetuatrici delle tradizioni gastronomiche meneghine può comunque divertirsi, sperimentando una cucina milanese diversa, fedele a se stessa ma in continuo movimento, proprio come la metropoli che la circonda. Una costante fusione di tradizioni, etnie, stili di vita, provocazioni e convivenze. Tutto con l’obiettivo di stimolare il palato, il cervello, la convivialità e l’amore per le cose belle (e buone).  Fonte: Linkiesta, Gastronomika, Chiara Di Paola, 07.06.2022

Permanent link to this article: https://www.slowfoodvalliorobiche.it/contaminazioni-fusion-alla-milanese/