prima parte: La Dieta Mediterranea e la Piramide Alimentare
Il termine dieta dal greco Diaita (= vita, modo di vivere), viene spesso associato ad un regime alimentare ipocalorico, transitorio, adottato al fine di perdere peso. In realtà dobbiamo accomunare il suo significato ad un regime alimentare da condurre per tutta la vita. Per questo deve essere compatibile con la qualità della vita (mangiare è un piacere e un modello che limiti eccessivamente questo aspetto non ha senso). Deve evitare di peggiorare la nostra salute (chi mangia male, vivrà peggio, ma chi spera di diventare un superuomo controllando la propria alimentazione semplicemente si illude). Ogni giorno veniamo bombardati da messaggi sull’alimentazione e sulla salute e siamo soggetti ad una serie apparentemente infinita di timori riguardo allo stile di vita e alla dieta. Per questo abbiamo pensato dividere questo argomento in tre parti:
1- La dieta mediterranea e la piramide alimentare
2- L’epidemia delle diete alla moda
3- L’Attività Fisica e la Piramide dell’Attività Fisica e Motoria
LA DIETA MEDITERRANEA (ref.1)
Per mantenere un peso corporeo idoneo, senza sviluppare malnutrizione, si devono evitare i cibi eccessivamente raffinati e processati, ricchi di calorie vuote. Dobbiamo nutrirci, invece, di un giusto ed equilibrato mix di alimenti che ci forniscano tutte le proteine, gli acidi grassi, le vitamine, i sali minerali, gli oligoelementi e i fitocomposti necessari. E’ quindi arrivato il momento di addentrarci nell’esame della dieta mediterranea.
Dieta mediterranea è il termine generico attribuito ai modelli dietetici adottati dai popoli delle regioni affacciate sul mar Mediterraneo. Storicamente, gran parte (ma non la totalità) dei ventidue Paesi bagnati dal Mediterraneo condividono tradizioni alimentari legate a grande abbondanza e diversità di verdure, cereali integrali per niente o poco raffinati, legumi, noci, semi e frutta.
Verdure, cereali integrali e legumi in abbondanza, olio extravergine di oliva, vino rosso.
Diversamente da quanto avveniva nel Nord America e nel Nord Europa, carne, pesce, latte, formaggio e uova qui erano considerati, almeno in passato, cibi di lusso. Nell’Italia meridionale degli anni Cinquanta del secolo scorso per esempio la carne consumata era pochissima, di solito una volta ogni una o due settimane. Lo zucchero e le patate a pasta bianca erano ben poco utilizzati e non si usava il latte se non per “macchiare” il caffè o per darlo ai bambini. Pasta e pane preparati in casa con farine di cereali integrali, conditi con una grande varietà di legumi e verdure costituivano la base dell’alimentazione. Invece del burro, della panna e del lardo tipici delle regioni del Nord, il re della tavola – la principale fonte di grassi – era il succo dei frutti di una pianta molto longeva che ama il sole, cioè l’olio extravergine di oliva. L’impiego di frutta e di porzioni piuttosto contenute di formaggio locale era abituale e ai pasti si accompagnava una moderata assunzione di vino rosso. Tutto questo faceva parte di un mondo che tuttavia in gran parte non esiste più. A partire dagli anni Cinquanta, la composizione della dieta mediterranea è cambiata drasticamente. Oggi in nazioni come l’Italia, la Grecia e la Spagna si mangiano alimenti che hanno poco o nulla a che vedere con quelle consuetudini tradizionali. Come dobbiamo considerare questa evoluzione? All’inizio delle nostre riflessioni ricordavamo che la “scoperta” della dieta mediterranea si deve al fisiologo statunitense Ancel Keys. Nel 1975 pubblicò assieme alla moglie Margaret il volume Eat well and stay well, the Mediterranean way, che Slow Food ha stampato nel 2017 con il titolo La dieta mediterranea. Come mangiare bene e stare bene. Era il risultato delle sue ricerche sul campo, condotte in Italia e in Grecia. Mostrava come il consumo di certi alimenti avesse caratterizzato positivamente il regime alimentare dei Paesi mediterranei. E come ciò avesse causato un’incidenza di malattie cardiovascolari parecchio più bassa rispetto ad aree in cui prevaleva un’alimentazione diversa, con l’eccezione del Giappone e di Okinawa (per approfondimenti ref 2). Oggi dobbiamo interrogarci su quanto ci fosse (e ci sia) di scientifico nell’esaltazione di quel regime alimentare da parte della scienza medica, e non soltanto della gastronomia. Qualcuno infatti fa rientrare la nozione stessa di dieta mediterranea tra le “utopie nutritive” o forse le “nostalgie”. Sostengono che il suo peso nell’alimentazione occidentale sia stato più simbolico che reale, e che negli anni recenti ha obbedito soprattutto alla diffusa aspirazione verso un “ritorno” ad alimenti genuini, tradizionali.
Se il Mediterraneo diventa cardiopatico
Ma le evidenze scientifiche raccontano un’altra storia. Non c’è dubbio che oggi, col cambiare delle consuetudini alimentari, l’incidenza delle cardiopatie coronariche, che era molto bassa nei Paesi mediterranei, si sia accentuata in modo sostanziale. Probabilmente anche altre componenti dello stile di vita, per esempio l’aumento nettissimo della sedentarietà, l’eccessivo apporto calorico, lo stress psicologico e l’inquinamento, potrebbero avere contribuito a una maggiore incidenza di queste e altre malattie croniche in tutte le regioni dell’area.
D’altra parte i dati che raccogliamo da una combinazione di osservazioni epidemiologiche, di studi animali e molecolari, di prove cliniche su esseri umani, ci dicono che la dieta costituisce un fattore chiave nella prevenzione delle malattie cardiovascolari, dell’obesità, del diabete di tipo 2 e di alcuni tra i più comuni tipi di cancro. E che proprio gli effetti del modello alimentare adottato nell’area mediterranea, cosi come era praticato fino agli anni Cinquanta, apportano straordinari benefici in termini di adattamento metabolico e molecolare. Mi sembra importante scendere in qualche dettaglio scientifico, ricostruendo per sommi capi la storia delle ricerche cliniche indirizzate a confermare i vantaggi della dieta mediterranea e ad approfondirne le cause.
Gli studi epidemiologici
Diversi studi epidemiologici condotti sulla popolazione hanno mostrato da tempo che aderire alla dieta mediterranea può avere effetti protettivi contro le malattie cardiovascolari, l’ictus, l’obesità, il diabete, l’ipertensione, alcuni tipi di cancro, le malattie allergiche e, più di recente, il morbo di Alzheimer e quello di Parkinson. In un’ampia ricerca del 2003, che ha coinvolto 22043 uomini e donne, è stato rilevato che una maggiore aderenza a una dieta mediterranea si associa con una significativa riduzione della mortalità cardiaca e per cancro. In uno studio successivo, eseguito su un campione di 2339 uomini e donne europei di età compresa tra i 70 e i 90 anni, l’adozione di tale dieta è stata correlata ad un tasso più ridotto del 23% di tutte le cause di mortalità. In queste indagini epidemiologiche la fruizione della dieta mediterranea e stata calcolata sulla base di un punteggio di aderenza dietetica che integrava
- l’assunzione relativamente elevata di cereali integrali, legumi, verdura, frutta fresca, noci, pesce, acidi grassi monoinsaturi,
- con quella relativamente bassa di carne, compresi il pollame e i prodotti lattiero-caseari e un consumo moderato di alcol.
Meno infarti del miocardio
E’ bene tenere a mente che gli studi epidemiologici sono di natura osservazionale, piuttosto che sperimentale, e che le associazioni rilevate non implicano necessariamente un rapporto causa-effetto. Facciamo un esempio per chiarire meglio questo punto. Uno studio ha dimostrato che nel corso degli ultimi decenni l’incidenza di cancro alla mammella nelle donne giapponesi è salita linearmente in parallelo con l’aumento dell’altezza media (dovuto al maggior consumo di calorie e proteine durante lo sviluppo puberale). Ma se avessimo utilizzato come parametro l’aumento dell’acquisto di lavatrici nello stesso periodo in Giappone avremmo trovato una correlazione simile. Significa che acquistare o utilizzare una lavatrice fa salire rischio di tumore al seno? Ovviamente no, ma l’incremento delle lavatrici è un indice di benessere economico, tanto quanto la disponibilità in eccesso di cibo in genere, ma soprattutto di quello di origine animale.
Il primo studio clinico randomizzato a dimostrare sperimentalmente l’effetto protettivo di una dieta in stile mediterraneo nei confronti di importanti eventi cardiovascolari (vale a dire il tasso di recidiva coronarica dopo un primo infarto del miocardio) e stato il Lyon Diet Heart Study, pubblicato nel 1999 sulla prestigiosa rivista Circulation. A 605 uomini e donne, che avevano avuto in precedenza un infarto miocardico, furono assegnate in modo casuale la “American Heart Association step-one diet” (dieta abitualmente consigliata ai cardiopatici) e una dieta simile a quella mediterranea. Ai pazienti a cui era stato assegnato il regime dietetico di stile mediterraneo fu detto di consumare più cereali, ortaggi, frutta, pesce, e meno carne, sostituita con il pollame. II burro e la panna furono rimpiazzati da margarina ricca di acido α-linolenico. Dopo una verifica svolta al ventisettesimo mese, lo studio fu interrotto in anticipo perché i soggetti che avevano seguito tale modello mostravano una riduzione significativa (del 70%) di morte per tutte le cause cardiache. In particolare, si osservò una diminuzione del 73% della mortalità per malattia coronarica e un’analoga attenuazione delle complicanze cardiache non fatali. Gli effetti positivi di questa dieta ricca di acido α-linoleico sono stati mantenuti fino al quarantaseiesimo mese, confermando la precedente analisi intermedia di un sorprendente esito protettivo contro il ricorrere della malattia cardiaca.
Arteriopatie ma anche cancro al seno e artrite
Hanno seguito quel primo e provocativo studio sperimentale molti altri. Per fare due esempi, quello di Singh e colleghi (2002) e il PREDIMED (2013), in cui i pazienti ad alto rischio d’ infarto randomizzati a una dieta di stile mediterraneo hanno mostrato una riduzione tra il 30 e il 50% degli eventi cardiaci e dei corrispondenti fattori di rischio. L’équipe di ricercatori spagnoli ha allargato l’indagine riscontrando significativi cali dell’incidenza del diabete di tipo 2, delle arteriopatie periferiche, della fibrillazione atriale, del cancro al seno nei soggetti sottoposti alla dieta mediterranea. Altri studi hanno rilevato alcuni effetti positivi sul trattamento dell’obesità, della sindrome metabolica e dell’artrite.
Non è noto quale sia l’esatto meccanismo mediante il quale una dieta mediterranea eserciti i suoi effetti benefici riducendo il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari, alcuni tipi di cancro e altre patologie metaboliche connesse. E’ stato ipotizzato che intervengano molti fattori interconnessi e sovrapposti. I cinque meccanismi più importanti che potrebbero spiegare, almeno in parte, gli effetti benefici di questo regime alimentare sulla salute e longevità si pensa siano i seguenti:
- l’effetto di riduzione del colesterolo plasmatico;
- la protezione contro lo stress ossidativo, l’infiammazione e l’aggregazione piastrinica;
- la modificazione di ormoni e fattori di crescita coinvolti nella patogenesi del cancro;
- l’inibizione di alcune vie di segnale cellulare pro-invecchiamento tramite specifica restrizione di alcuni amminoacidi;
- la produzione di metaboliti salutari da parte del microbiota intestinale.
Di fatto ci sono studi scientifici sperimentali che dimostrano come gli individui sottoposti a tale dieta tradizionale presentino indicatori significativamente migliori in ciascuno di questi punti.
La vita migliora e si allunga
I risultati sperimentali suggeriscono che la dieta mediterranea tradizionale svolga contemporaneamente due funzioni importanti. Da un lato migliora e allunga la vita, dandoci il corretto apporto di tutti i nutrienti essenziali. Dall’altro impone una restrizione calorica moderata, eliminando o riducendo il consumo di alcuni cibi o nutrienti che, se assunti in quantità eccessive metterebbero a rischio la salute. Sia la quantità che la qualità di ciò che mangiamo sono essenziali per promuovere la nostra salute metabolica e molecolare.
Tale dieta, diversamente da quella tipica del Nord Europa e del Nord America, incorpora una vasta gamma di alimenti vegetali poco raffinati e ricchi di fibre, di vitamine, di minerali e di preziosi fitocomposti. Molti di questi sono relativamente poveri di calorie, vengono assorbiti più lentamente e tendono a indurre sazietà più velocemente rispetto a quelli delle diete dei Paesi nordeuropei e americani. D’altro canto, il consumo basso ma regolare di pesce, uova, formaggio e carni fornisce altri nutrienti essenziali, come la vitamina B12, carenti nelle diete basate esclusivamente sui vegetali. Dobbiamo fare attenzione, perché alcuni cibi tipici della dieta mediterranea sono ricchi di lipidi e quindi ipercalorici. In passato, l’alto consumo di grassi sotto forma di frutta secca e olio extravergine di oliva (ricordiamo che un cucchiaio di olio contiene circa 120 Kcalorie e che quindi 10 ammontano alla bellezza di 1200) era giustificato dall’elevato dispendio energetico. Ancel Keys nei suoi lavori scientifici riportava che i nostri nonni, che vivevano nel Sud Italia e a Creta negli anni Cinquanta, lavoravano nei campi mediamente 70-80 ore alla settimana. Simile discorso vale per il vino, un cibo ad alto contenuto energetico. Un bicchiere di vino rosso di medie dimensioni (180 ml) contiene circa 144 Kcalorie. In media una persona sedentaria di normale corporatura deve correre per 13 minuti a una velocita di 9,6 chilometri all’ora per bruciare 150 Kcalorie. La notizia veramente interessante è che i risultati recenti conseguiti tramite ricerche traslazionali su animali e uomini stanno cominciando a fare luce sui meccanismi biologici che abbiamo elencato, responsabili dei sorprendenti vantaggi della dieta mediterranea tradizionale e di altri sani regimi alimentari, per esempio la dieta di Okinawa. La moderata restrizione calorica indotta dall’elevato consumo di alimenti di origine vegetale ricchi di fibre e poveri di calorie vuote, la restrizione di specifici amminoacidi che contengono zolfo, di quelli ramificati e degli acidi grassi saturi sembrano rivestire un ruolo importante nell’indurre alcuni dei benefici di queste diete tradizionali per la salute e la longevità. Probabilmente, la sostituzione dei cibi raffinati e processati e della carne con pesce e cibi vegetali minimamente trasformati induce modificazioni metaboliche che promuovono sazietà precoce e un aumentato dispendio energetico con meccanismi non ancora del tutto chiariti. La produzione di alcuni metaboliti derivanti dalla digestione di alimenti vegetali di fibre e fitocomposti da parte del microbiota intestinale potrebbe coadiuvare la perdita di peso e migliorare la salute metabolica. Tuttavia, saranno necessari ulteriori studi meccanicistici per capire più in profondità le interazioni tra assunzione di calorie, modificazioni di singoli nutrienti, del microbiota e dell’esercizio fisico nel modulare i processi molecolari che promuovono la salute delle cellule, dei tessuti e degli organi durante l’invecchiamento. Solo così potremo prescrivere percorsi nutrizionali mirati e personalizzati in base alle caratteristiche genetiche e cliniche del singolo paziente.
Cambiare abitudini
Fin qui la scienza. Sotto il profilo della nostra vita quotidiana, si direbbe che l’adozione di un simile stile alimentare sia un vero e proprio toccasana. E bello che sia la natura a suggerirci questa strada, attraverso un raffinato equilibrio di nutrienti che non ci impediscono di godere di ciò che è appetitoso ma allo stesso tempo salutare. Certo, dobbiamo cambiare alcune abitudini. La lista dei cibi sani e, soprattutto, la quantità, la frequenza con cui li consumiamo e la loro proporzione nella nostra alimentazione quotidiana probabilmente devono essere modificate. Sulla scorta delle variazioni degli stili di vita imposti dagli avanzamenti tecnologici e delle nuove scoperte scientifiche, dobbiamo anche apportare qualche ritocco alla cosiddetta piramide alimentare. Per finire, dobbiamo ricordare che una sana alimentazione deve essere sempre associata a una gamma di esercizi fisici, cognitivi e meditativi, che promuova non solo la salute fisica ma anche quella emozionale e spirituale, la creatività, la realizzazione personale e, in ultima analisi, la felicità interiore..
LA (nuova) PIRAMIDE ALIMENTARE (ref.1)
In base alle conoscenze acquisite sinora, qual è, dunque, l’alimentazione ottimale? E come si riconosce in pratica una dieta equilibrata? Mangiare bene per rimanere sani significa innanzitutto diversificare. E una legge naturale. Sappiamo, per esempio, che le monocolture causano malattie, perché si sviluppano erbe infestanti e parassiti che richiedono poi trattamenti con pesticidi, erbicidi e via dicendo. La natura persegue la salute nella massima biodiversità (pensiamo alla composizione di un bosco), quindi anche l’alimentazione dell’uomo dovrebbe essere quanto più possibile eterogenea. Questo non significa “mangiare un po’ di tutto” (compresa magari qualche schifezza), ma piuttosto seguire i dettami della scienza e di alcune osservazioni fatte in popolazioni ricche di uomini e donne sani e longevi. Come abbiamo visto, buona parte della capacità protettiva della dieta mediterranea e di quella dell’isola dei centenari di Okinawa sta nell’ampia varietà di alimenti minimamente processati, prevalentemente ma non esclusivamente di origine vegetale, dagli abitanti di questi meravigliosi angoli di paradiso terrestre.
Quale cibo? Il meglio del meglio
E’ il momento di un’altra precisazione. Cosi come prima dicevo che mangiare sano non significa imporsi cibo sgradevole o di gusto inferiore, adesso aggiungo un altro elemento fondamentale: bisogna mangiare di meno ma alimenti di maggiore pregio. Ingurgitare quantità elevate di pietanze fa male, perchè si ingrassa a causa dell’eccesso calorico. Quindi occorre nutrirsi di meno ma meglio. La mia filosofia è in pieno accordo con quella di Slow Food: è necessario cercare sempre di selezionare cibi di altissima qualità. Costano di più, certamente, ma non possiamo pretendere di comprare una eccellenza e pagarla poco. Non ha senso spendere molti soldi in beni inutili, magari costosi e di marca, per poi pensare di risparmiare sugli alimenti, magari acquistandoli in un discount. La qualità e genuinità del cibo che consumiamo deve essere una delle nostre priorità. Questa filosofia non solo protegge la salute dell’uomo ma anche quella dell’ambiente in cui viviamo. Per esempio, lo sfruttamento di miliardi di ettari coltivati in monocultura grazie all’utilizzo massiccio di fertilizzanti chimici, erbicidi e pesticidi per generare soia e granturco. Mangimi con cui alimentare miliardi di animali allevati in batteria in disumane strutture intensive, per uova, latte e carne da macello a basso costa. Pratiche che stanno progressivamente impoverendo e inquinando i terreni, l’aria e le falde acquifere, i laghi e i maxi.
Dobbiamo tornare a rivalutare con attenzione il ruolo che il cibo esercita sulla salute nostra e del pianeta, sull’economia e la giustizia sociale. Quando ingeriamo del cibo dovremmo imparare a riflettere e a porci alcune semplici domande. Non solo quali siano le sue proprietà nutritive ma anche, per esempio, da dove viene, chi lo ha prodotto, come lo ha prodotto, come è stato trasformato e conservato. Dovremmo anche chiederci qual è il suo impatto ambientale in termini di inquinamento, consumo di energia e sostenibilità ambientale. Esistono diverse tecniche meditative, una è quella di riflettere sulla qualità degli alimenti che portiamo ogni giorno sulla nostra tavola, su come li prepariamo e li abbiniamo per produrre una serie di pietanze che esaltino sia il gusto sia la salute. Impariamo a meditare sul fatto the i cibi di qualità possiedono una profondità di gusto e prerogative nutrizionali uniche rispetto a quelli industriali a basso costo.
Questo concetto vale anche, per esempio, per la qualità dei prodotti di origine animale. Non tutti sono uguali, e questo vale in particolare per alimenti come carne, latte e uova. Il latte o il formaggio di una mucca che pascola in alta montagna, passeggiando serenamente al sole e mangiando fiori di campo, ha un diverso contenuto di fitocomposti e vitamina D. La qualità e il valore nutrizionale di uova prodotte da galline ruspanti, che razzolano all’aria aperta e si cibano di erba, vermetti e semi, non potranno mai essere gli stessi che possono fornire le galline di allevamenti intensivi. Animali stressati, vissuti in minuscole gabbie, senza mai vedere la luce del sole, ammassati con migliaia di altri polli, nutriti con mangimi industriali e magari imbottiti di antibiotici e ansiolitici.
Le verdure e i cereali: la base della piramide
Lo stile di vita negli ultimi decenni per la maggior parte di noi è cambiato drasticamente. Passiamo molte ore seduti su una sedia e al volante di un autoveicolo.
La piramide alimentare, cosi come è stata pensata dai membri delle varie società nutrizionali, non ha più senso e dovrebbe essere modificata. Alla sua base non dovrebbero più esserci i cereali integrali, bensì le verdure. Una grande varietà di vegetali di diversi colori e sfumature: verde, arancione, giallo, rosso, viola, blu e bianco. Essi, con l’eccezione delle patate bianche, sono ricchi di acqua, poveri di calorie, e possiedono una miriade di diversi fitocomposti, oligoelementi e vitamine.
Di nuovo, la diversificazione è la prima regola! Soprattutto in Italia c’è soltanto l’imbarazzo della scelta. Abbiamo una tale varietà di vegetali, dotati di una moltitudine di sapori e profumi, che possono essere trasformati, come vedremo, in un’infinita serie di sfiziose e gustose ricette! Non dimentichiamo le piante selvatiche, che sono ancora più ricche di aromi unici, grazie all’alto contenuto di fitocomposti e nutrienti.
Al secondo livello della piramide dovrebbero esserci i legumi e i cereali integrali, che andrebbero processati il meno possibile, perché i carboidrati raffinati possiedono un elevato indice glicemico, fattore di promozione del rischio cardiovascolare e neoplastico. Esso misura il potenziale dei carboidrati presenti in differenti cibi di alzare la glicemia. In generale, assumere alimenti con un elevato indice glicemico causa un rapido incremento dei livelli plasmatici di glucosio, con una maggiore secrezione di insulina da parte delle cellule f3 del pancreas. Cronici livelli elevati di glucosio e insulina sono fattori eziopatogenetici per lo sviluppo del diabete di tipo 2 e di alcune forme di cancro. In un recente studio prospettico si è visto che a ogni aumento del 10% del consumo di cibi ultraprocessati nella dieta giornaliera corrisponde un incremento di più del 10% del rischio di cancro totale e della mammella. In questo studio, la lista dei cibi ultraprocessati era la seguente:
- pane, focacce, pane da hamburger confezionati e prodotti industrialmente
- snack dolci e salati confezionati
- dolci e snack industriali
- bibite e bevande zuccherate
- polpettine, bocconcini di polio e pesce fritti, altri prodotti della carne ricostituita e trasformata con aggiunta di conservanti diversi dal sale (per esempio nitriti)
- spaghetti e zuppe pronte istantanee
- piatti pronti congelati o precotti
- altri prodotti alimentari realizzati in gran parte o interamente a partire da zucchero, oli, grassi e altre sostanze non comunemente utilizzate in preparazioni culinarie, quali oli idrogenati, amidi e proteine isolate.
I cereali integrali invece contengono nutrienti preziosi sia nel germe, la parte riproduttiva del seme che germina per crescere in una nuova pianta, sia nella crusca, che lo copre e protegge. La tiamina, per esempio, una vitamina idrosolubile essenziale per il funzionamento di alcuni enzimi coinvolti nel metabolismo del glucosio e degli amminoacidi, è totalmente assente nei grani e nelle farine raffinate. La deficienza di tiamina causa malattie gravissime come ii beriberi, l’encefolopatia di Wernicke e altre patologie neurodegenerative. La scoperta dell’importanza della tiamina risale alle fine del 1800 quando Eijkman, un medico militare, scoprì che gli uccelli nutriti con il riso raffinato sviluppavano una forma di paralisi. Ma solo nel 1911, Funk isolò dalla crusca la tiamina, una vitamina essenziale per il funzionamento delle cellule del sistema nervoso.
I legumi, la frutta secca e fresca, i semi
Dopo le verdure e i cereali, ecco i legumi. Un cibo di antichissima tradizione, noto da millenni per la facilità della coltivazione, la resistenza ai parassiti e l’apporto alimentare. La ricchezza di fibre indigeribili ii rende da un lato molto sazianti, sono indicati per chi desideri dimagrire. Dall’altro ne fa un cibo “prebiotico”, cioè un alimento per i “probiotici”, i benefici batteri intestinali che fermentano le fibre producendo acidi grassi a catena corta. In particolare il butirrico, che protegge la mucosa intestinale dallo sviluppo del cancro e l’organismo dalle malattie allergiche e autoimmunitarie. I legumi sono, inoltre, un’ottima fonte di proteine, e quando sono assunti assieme ai cereali integrali, forniscono tutti gli amminoacidi essenziali necessari per il benessere dell’organismo.
Salendo nella piramide troviamo la frutta secca, che andrebbe consumata di più in quanto pare abbia effetti positivi per la salute. Soprattutto in merito al rischio cardiovascolare, per la ricchezza di fitosteroli, vitamine e altri fitocomposti. In Italia abbiamo a disposizione varietà di noci straordinarie, come quelle di Sorrento, che niente hanno a che vedere per gusto e proprietà con quelle che si trovano al supermercato provenienti, per esempio dalla California, probabilmente meno saporite e povere di nutrienti.
Esistono, inoltre, tantissimi tipi di semi, tipici della tradizione mediorientale, che andrebbero reintrodotti nella nostra alimentazione. Il sesamo, per esempio, un tempo era molto usato in Sicilia e in Calabria. Si pensi anche alla tahina, la crema di sesamo che si usa per preparare l’hummus di ceci, un piatto tanto gustoso quanto completo, soprattutto se accompagnato con un po’ di pane integrale, delle olive e delle verdure fresche.
Poi c’e la frutta: ne abbiamo tante varietà che, senza esagerare nelle quantità, apportano molte altre sostanze nutritive e vitamine. Può essere consumata a pezzetti al mattino assieme a un vasetto di yogurt biologico bianco. Oppure possiamo preparare un frullato con un mix di frutta di stagione, yogurt e frutta secca, a cui possiamo aggiungere, variando di giorno in giorno, una carota, un po’ di zucca, broccolo, del cioccolato amaro.
Pesce, carne, formaggio
In cima alla piramide troviamo il pesce, i molluschi, i crostacei e, infine, in piccolissime quantità (come succedeva fino a settant’anni fa nella dieta mediterranea) la carne. Tra il pesce e la carne possiamo inserire anche le uova e il formaggio. Alimenti con ottime proprietà, che non possono perrò essere consumati in grosse porzioni, come invece avviene nel nostro Paese e in molti altri.
Non ho intenzione di demonizzare i prodotti animali. Come quasi sempre in natura, è una questione di quantità e proporzioni. Ma oggi il loro consumo è sicuramente eccessivo. I motivi sono due. Innanzitutto carne, insaccati, uova e latticini sono ricchissimi di acidi grassi saturi, responsabili dell’aumento del colesterolo plasmatico, che accresce in modo lineare il rischio di infarto. Su questo non esiste alcun dubbio.
Inoltre la ricerca scientifica ha dimostrato nei modelli animali che l’eccesso proteico – in particolare gli amminoacidi a catena ramificata e quelli solforati come la metionina – accelera l’invecchiamento, aumenta il rischio di cancro, di diabete mellito e di altre patologie.
Diversi gruppi di ricerca indipendenti hanno accertato che la restrizione proteica, di metionina o triptofano rallenta i processi d’invecchiamento in diversi modelli sperimentali. Non con la stessa potenza di quella calorica, ma in modo significativo. Per esempio, se riduciamo nei topolini del 70% la metionina, un amminoacido essenziale che si trova in abbondanza nella carne, aumentiamo la durata della vita e preveniamo parecchie patologie tra cui ii cancro.
In uno studio clinico che stiamo ultimando, gli uomini randomizzati a osservare una dieta a più basso contenuto proteico (9% delle calorie, in media 64 grammi di proteine al giorno) perdono più peso (2,5 chilogrammi in solo quattro settimane) e grasso corporeo degli individui che continuano a seguire una dieta occidentale contenente in media 95 grammi di proteine, equivalenti al 17% delle calorie da proteine. Negli individui a cui abbiamo ridotto l’apporto proteico, senza modificare le calorie, abbiamo assistito inoltre a una riduzione dei livelli di colesterolo e proteina C-reattiva, un sensibile marcatore d’infiammazione sistemica.
E importante sottolineare che il suddetto 9% corrisponde al contenuto di proteine della dieta dei centenari che vivevano a Okinawa. E’ anche il livello raccomandato nei Larn (livelli di assunzione di riferimento di nutrienti ed energia per la popolazione italiana), cioè 0,8 grammi di proteine per chilogrammo di peso corporeo al giorno. Paradossalmente invece nei regimi alimentari nordeuropei e nordamericani questa quantità viene assunta per il 90% a colazione e pranzo. Anche in Italia, come in America, al giorno d’oggi si consumano troppe proteine, circa 1,3-1,5 grammi per chilogrammo di peso corporeo. Questo corrisponde a un 50% in più di quanto viene raccomandato dalle linee guida internazionali.
Grazie alla popolarità delle diete iperproteiche, in molte persone il consumo proteico può schizzare a 1,7-2 grammi di proteine per chilogrammo di peso corporeo al giorno. Attenzione, però, perché se l’eccesso di proteine non fa bene, esiste un limite fisiologico di restrizione sotto cui non è consigliabile scendere per più di un paio di giorni (0.6 grammi per chilogrammo di peso corporeo).
Peraltro, non è soltanto una questione di quantità delle proteine che assumiamo, conta anche la provenienza. I risultati di alcuni studi sui topolini, che abbiamo condotto in collaborazione con Roberto Pill dell’Indiana University e Dudley Lamming della Wisconsin University negli Usa, suggeriscono che la sostituzione delle proteine animali con quelle vegetali inibisca del 50% la crescita del tumore alla prostata e alla mammella, e che la restrizione di amminoacidi ramificati riduca il rischio di diabete mellito.
Alimentazione consapevole
Il mio punto di vista, in sostanza, è che il consumo di carne vada ridotto drasticamente, come del resto consiglia la dieta mediterranea e quella dei centenari di Okinawa.
La carne rossa si può mangiare una volta a settimana, il resto delle proteine dovrebbe essere fornito dai legumi e dai cereali integrali, dal pesce o da qualche uovo, dallo yogurt e da piccolissimi pezzi di formaggio. A mio parere, a differenza di quanto sostenuto da Campbell e da altri studiosi, non è necessario diventare tutti vegetariani, a meno che non esistano motivazioni etiche. E’ consentito un uso limitato di proteine di origine animale di buona qualità.
Si, esatto, di buona qualità, perché una corretta alimentazione deve considerare anche i risvolti ambientali del cibo che consumiamo. II cittadino che vuole nutrirsi e vivere bene deve riflettere non solo sugli effetti diretti sulla sua salute, ma anche su quelli indiretti indotti da alcuni prodotti, in termini di inquinamento sia dell’aria sia dell’acqua. In parecchi casi, purtroppo, non c’é molto che possiamo fare, almeno da soli e a breve termine, ma il cambiamento degli stili di vita potrebbe nel lungo periodo modificare la catena di produzione e commercializzazione di queste materie prime. Se non acquistiamo più, per esempio un certo tipo di cibo, la grande distribuzione smetterà di fare ordini alle industrie che lo producono, e queste saranno costrette a ridurne la produzione e a offrire alimenti che incontrino le aspettative dei potenziali acquirenti. In ogni caso è fondamentale informarsi presso fonti attendibili e serie. Qualche anno fa, in una grande university di New York, a una conferenza, il capo del dipartimento della salute ambientale mi ha confidato di non consumare banane convenzionali, ma solo biologiche. Questo perché i pesticidi proibiti in America sono venduti nei Paesi del Terzo mondo, che ne usano a tonnellate per la coltivazione, per esempio, proprio delle banane. Quindi in America tornano frutti pieni di tutte le stesse sostanze che l’America ha proibito. E’ un paradosso che dimostra come spesso la gente si chieda ancora troppo raramente da dove provengano le materie prime che mangia.
1- Tratto da libro: Luigi Fontana e Vittorio Fusari “La Felicità ha il Sapore della Salute” Slow Food Editore