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Mag 06 2022

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NON È POSTO PER ASTEMI: ITALIA, PAESE DI SANTI, VIGNETI E AGRITURISMI

Il turismo enogastronomico post pandemia? Resiliente, attraente e sempre più votato al biologico. L’ultimo rapporto sul settore fotografa un’Italia provata dal lookdown ma ricettiva e vitale, con il comparto vitivinicolo a trainare la ripresa

La crescita del biologico, il vino come elemento capace di attrarre turisti e viaggiatori, la riscoperta dei cibi local, le potenzialità dei birrifici, i patrimoni Unesco e la capacità del settore ristorazione di rispondere alla crisi inventando format innovativi. È quanto emerge dall’ultimo Rapporto sul turismo enogastronomico che fotografa lo stato dell’arte dopo due anni di pandemia. Edito dall’Associazione Italiana Turismo Enogastronomico, il Rapporto ha il supporto di UniCredit, Promoturismo S.R.L., Valdichiana Living e Visit Emilia Romagna, e il patrocinio di Fondazione Qualivita, Ismea – Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare e del Touring Club Italiano, oltre alla collaborazione di The Data Appeal Company, TheFork Italia e Tripadvisor.

«Quest’anno abbiamo voluto focalizzare l’attenzione sull’offerta eno-gastro-turistica del nostro Paese – spiega Roberta Garibaldi, autrice dello studio e presidente onorario dell’associazione Italiana Turismo Enogastronomico – restituendo una fotografia aggiornata delle singole componenti sia livello europeo – con un confronto con i nostri principali competitor – che a livello regionale». Lo studio individua dieci principali trend.

  1. Local è il nuovo global

L’Italia conferma la sua leadership in Europa per prodotti certificati, ben 814 quelli censiti a novembre 2021 (315 agroalimentari e 526 vinicoli), con tre nuovi prodotti IG nel 2021. Questo patrimonio esercita una forte capacità attrattiva sul turista enogastronomico e le aziende pongono sempre più l’attenzione sull’importanza dell’offerta locale, consapevoli che la valorizzazione di materie prime locali di qualità e produzioni di origine rappresentano una formula per arrivare al successo. L’Emilia-Romagna è il territorio con il maggior numero di prodotti agroalimentari certificati – 47 tra DOP, IGP e STG – seguita dalla Sicilia e dal Veneto (a pari merito con 39). Il Piemonte è in cima alla classifica nazionale per numero di vini IG (59), davanti alla Toscana (con 58) e al Veneto (53).

  1. La crescita del biologico

In Italia è aumentata costantemente la superficie destinata all’agricoltura biologica, con un tasso di crescita complessivo del +109% nel periodo 2010-19 per la vite e del +95% nel 2010-18 per l’olivo. L’orientamento al biologico e, più in generale, alla sostenibilità ambientale, sociale ed economica dimostrata dalle aziende del settore, rappresenta un valore aggiunto in ottica turistica, anche grazie a viaggiatori sempre più sensibili verso questi temi. Il biologico si ritaglia il 4% della spesa agroalimentare, pari a circa 3,3 miliardi di euro (dati primo semestre del 2020). L’acquisto di prodotti biologici rimane consistente anche nella Grande Distribuzione, segnando tassi di crescita superiori a quelli degli altri prodotti nonostante il lockdown primaverile.

  1. Il vino è catalizzatore di presenze

Il comparto vitivinicolo ha superato la prova della pandemia. Nel 2021, le proposte a tema enogastronomico più vendute nelle regioni italiane (in primis Toscana e Piemonte) avevano come tema vino: il 6% delle prenotazioni effettuate sul portale Tripadvisor con destinazione Italia ha riguardato degustazioni e tour in cantina. Delle 81.741 imprese agricole censite a dicembre 2021 la maggior parte si concentra Veneto, Sicilia e Puglia – chei accolgono rispettivamente il 16,4%, il 15,9% e il 13,5% del totale nazionale. Delle 51.857 aziende agricole attive nella produzione di olio, oltre la metà è in Puglia (16.385, ossia il 31,5% del totale nazionale), Calabria (9.465, pari al 18,3%) e Toscana (5.913, pari all’11,4%); la regione pugliese vanta, inoltre, il maggior numero di frantoi (819, pari al 18% del totale nazionale). Il settore del vino ha mostrato una certa resilienza all’emergenza pandemica. La chiusura temporanea dei canali dell’Ho.re.Ca non ha ridotto la produzione complessiva – che, invece, è aumentata del 3,2% sul 2019 – ma ha inciso negativamente sul fatturato complessivo, passato da 13,4 a 11,5 milioni di euro (-3,6%) (Ismea, 2021a). La vendita online e l’home delivery hanno certamente contribuito a ridurre queste perdite, stimolando, inoltre, il settore a una maggiore digitalizzazione.

  1. I birrifici diventano destinazioni turistiche

Il 2020 era stato l’anno nero per i birrifici artigianali italiani, con la perdita nei 12 mesi di 85 unità produttive (discesa da 841 a 756 tra micro-birrifici e brew pub), causata principalmente dal blocco dell’HoReca. E se nel 2021, in particolare nel primo semestre, è continuata la migrazione dei consumi dal fuori casa al contesto domestico, la crisi ha stimolato una riflessione sul possibile connubio tra turismo e birra, già sperimentato con successo in nazioni quali Germania, Belgio e Stati Uniti: si tratta di un binomio con grandi potenzialità.

  1. Aprire le strade a bici e escursionisti

Un elemento importante dell’offerta italiana è costituito dalle Strade del vino e dei sapori presenti sul territorio nazionale. Nate come elemento di richiamo “a quattro ruote”, questi percorsi hanno enormi potenzialità di crescita con la nuova mobilità sostenibile, realizzabile attraverso investimenti pubblici per la creazione di piste ciclabili e sentieri che portano il turista enogastro a scoprire, camminando o pedalando, gli angoli e le realtà più affascinanti del territorio, utilizzando mappe digitali con relativi punti di interesse, tra cui cantine, malghe, fattorie e luoghi di ristoro e pernottamento.

  1. I musei del gusto si scoprono digital

Sono 129 i musei del gusto in Italia, che in quest’ambito è leader in Europa davanti a Spagna (107) e Francia (88), ma soffre al tempo stesso per l’assenza di un museo di rilevanza nazionale, in grado di diventare elemento di richiamo per l’incoming estero. I recenti annunci di musei nazionali del gusto potranno colmare questo gap. I poli museali legati ai prodotti tipici, se riconfigurati come spazi poli-funzionali che possono favorire la scoperta del territorio, diventano punti di interesse e strumento di informazione per il visitatore, sempre più orientato verso un’offerta che metta in rete le “ricchezze” di un territorio. Esistono, tuttavia, diversi limiti alla fruizione e alla valorizzazione di questi asset. Il Rapporto evidenzia un forte gap digitale: solo 36 musei su 129 hanno un proprio sito web e la visita virtuale – strumento efficace per attrarre la successiva visita “in presenza” – è quasi sempre assente o inefficace.

  1. Corsa al patrimonio Unesco

Alla fine del 2021, la “cerca e cavatura del tartufo in Italia” è entrata a far parte del patrimonio Unesco. Dal riconoscimento della Dieta Mediterranea nel 2013, l’elenco è andato ampliandosi e consta oggi di due beni materiali e quattro immateriali legati all’enogastronomia, oltre che tre città creative. Si tratta di un primato recente e favorito dagli sforzi profusi a livello nazionale e regionale nel sostenere le candidature, che nel frattempo si sono moltiplicate (Cucina italiana e Caffè espresso sono due tra le più autorevoli, la seconda purtroppo rimandata). Ottenere il riconoscimento Unesco, per un territorio, comporta riconoscibilità e un forte richiamo turistico, ma anche la consapevolezza della tutela di quello che, a tutti gli effetti, si presenta come un patrimonio di interesse sociale.

  1. Ristorazione in difficoltà ma eclettica e vivace

Il biennio 2020-2021 è stato estremamente negativo per il settore. La chiusura forzata durante i lockdown, le successive riaperture a capienza ridotta e il crollo dei consumi alimentari fuori casa hanno generato importanti perdite economiche. Il fatturato ha toccato i minimi storici nel periodo aprile/giugno 2020 e tra gennaio e marzo 2021, anche se la situazione sembra in miglioramento. Il numero di nuove imprese è stato decisamente inferiore alle cessazioni, con un saldo negativo che ha toccato – 13.060 e -13.952 esercizi nel biennio 2020/21. Il saldo negativo tra nuove imprese e cessazioni e il calo del fatturato indica che la crisi non è ancora passata, ma la crescita del numero di aziende (+1%) e la creazione di format innovativi e ibridi – con home delivery, degustazioni digitali e video-ricette con gli chef, temporary restaurant negli alberghi, ghost kitchen, “Food as a Service” (modello che unisce i servizi di ristorazione con i supermercati) e cene in presenza – indica il dinamismo di un settore alla ricerca di una più variegata dimensione. L’eccellenza gastronomica italiana ha mantenuto la propria vivacità ed inventiva. Il numero di ristoranti menzionati nelle principali guide del settore è andato aumentando negli anni; erano 731 nel 2018, 875 nel 2019, 976 nel 2020 e nel 1.062 nel biennio 2021-22. Cosa ci aspetta in futuro? Aumenterà l’attenzione verso l’etica e la sostenibilità. Da un lato, creando un rapporto più stretto con l’intera filiera – ad esempio menzionando i produttori nei menù o nei canali di comunicazione; dall’altro, prestando una maggiore attenzione al riutilizzo degli scarti alimentari e al benessere dei propri dipendenti.

  1. Agriturismo, il luogo del benessere

La capacità di unire il benessere psico-fisico al gusto e il fascino dei luoghi rurali, ha dato impulso al comparto agrituristico. È cresciuto il numero di aziende (+2% nel biennio 2019-20), in particolare quelle che offrono proposte di degustazione (+8%) e di altre attività, soprattutto all’aria aperta (+10%). La Toscana è la regione ad avere la maggiore concentrazione di aziende agrituristiche: sono 5.406 al 2020, pari al 22% del totale nazionale; segue il Trentino-Alto Adige, mentre la Campania ha registrato un exploit di aperture, cresciute del 13,2% tra il 2019 e il 2020.

  1. Il Centro-Sud diventa competitivo

Le “mappe di competitività” elaborate nel Rapporto fanno emergere un’Italia a differenti velocità. Puglia, Campania e Sicilia sanno valorizzare le risorse enogastronomiche del territorio a fronte di un ambiente socioeconomico tendenzialmente meno favorevole rispetto alle grandi regioni produttive dell’Italia centro-settentrionale (Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana e Lazio). Qui le performance sono positive, ma in linea con le attese. Situazione differente nelle altre regioni, che hanno basso numero di aziende nei settori considerati, necessitando a seconda dei contesti di “stimoli” settoriali e/o di più ampio respiro.  Foto: Linkiesta. Gastronimica, 06.05.2002

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