Secondo la startup veronese Ono il romantico storytelling dell’Italia agricola non basta più. I contadini devono diventare imprenditori di sé stessi e investire in tecniche di coltivazione sostenibili
Siamo cresciuti con l’idea romantica del contadino che, con le scarpe sporche di terra, percorre il suo appezzamento di terra, guardandolo con occhi sognanti. Albe e tramonti magici che assistono alla crescita di pomodori caldi di sole e verdure fragranti. Secondo Ono Exponential Farming, start up veronese che coniuga matematica e agricoltura, in futuro il contadino sarà qualcuno che non avrà più bisogno di zappare la terra o indossare scarpe che si sporcano. Sarà più abituato a indossare giacca e cravatta, avrà una laurea in marketing e non in agronomia, perché non dovrà più preoccuparsi di conoscere le tecniche agricole, ma dovrà essere capace di leggere bene il mercato. Insomma, sarà un agropreneur.
Dopo aver chiuso un primo round di investimento di oltre 2 milioni di euro, è nata anche una partnership tra Alma, la Scuola Internazionale di Cucina, e Ono. L’obiettivo è quello di arricchire la didattica della Scuola con un bagaglio di nuove conoscenze tecnologiche, mostrando come in futuro i prodotti coltivati all’interno dell’ecosistema modulare e automatizzato sviluppato da Ono potrebbero essere impiegati nelle attività della scuola, in un’ottica di sostenibilità ambientale, efficientamento delle risorse e continua ricerca delle migliori materie prime.
Identikit dell’agropreneur
Come spiega Giuseppe Pasciuti, marketing manager di Ono, la loro azienda punta a dialogare con gli agricoltori del futuro, quelli che lui chiama agropreneur. Si tratta di agricoltori convertiti dalla sostenibilità, che affiancano competenze tecniche a quelle manageriali. «Come startup, ci poniamo in qualità di abilitatori di processi di imprenditorialità, non sempre legata alla capacità di saper produrre». Dopo aver assistito a un trentennio di delocalizzazione di processi produttivi, Ono ha scelto di partire dalla dicotomia che il settore agroalimentare si trova a vivere. Da una parte c’è chi lavora la terra, dall’altra chi genera valore legato ai prodotti. Ma i cambiamenti climatici e le condizioni naturali contemporanee lasciano intuire che non tutti possono produrre risultati certi ovunque. «Bisogna trovare modalità alternative. Oggi la missione è far capire che la tecnologia può essere un facilitatore della produzione».
Del resto, l’agricoltura è un insieme di tecnicalità: si usano strumenti e metodi per generare un risultato. Ono ha creato un impianto produttivo, che è la convergenza di tutte le tecniche di agricoltura oggi esistenti. Le coltivazioni sono realizzate indoor, seguendo i crismi del vertical farming. «Il concept Ono è un grande cubo in cui succedono delle cose: funziona come un grande magazzino che muove merci al suo interno. Solo che la merce movimentata è cibo». La serra a più livelli evita l’erosione del suolo. Un seme diventa germoglio e poi pianta, dotata di caratteristiche uniche, con profilo nutrizionale e gustativo importante, che garantiscono l’appetibilità del prodotto anche per l’industria farmceutica e nutraceutica. I vassoi si spostano per nutrire le piante. Vengono fornite le sostanze nutrienti naturali affinché ci sia uno sviluppo ottimale, senza chimica di sintesi, dato che ci troviamo in un ambiente dotato delle migliori condizioni ambientali per la crescita. «Tutto ciò è possibile grazie alla sinergia tra conoscenza agricola, acqua ed energia». L’impianto lavora da solo, gestito da intelligenza artificiale, che di fatto va a sostituire la figura dell’agronomo e rende possibile l’utilizzo dell’impianto anche da parte di persone che non hanno competenze agronomiche o biotech.
Il salto di specie
Per passare dall’essere un agricoltore al diventare un agropreneur occorre un salto di specie. Bisogna pensarsi non più come produttori di basilico, ma come creatori e fornitori della materia prima necessaria per creare del pesto. In questo modo, operando in un’ottica di business intelligence, si è in grado di operare in maniera costruttiva, ponendosi come supplier del miglior prodotto che il mercato richiede. L’investimento si sposta dal terreno e strumenti alle indagini di mercato. La formazione che si rende necessaria per operare come un agropreneur deve completarsi con nozioni di marketing.
«Siamo sempre stati bravissimi a raccontare la nostra agricoltura: trasformare un business in una storia romantica da raccontare è uno degli asset di questo paese. Ma fuori dall’Italia, dove le condizioni climatiche non sono favorevoli o dove non ci sono le competenze, quello storytelling non è spendibile». Di fatto, non bisogna dimenticare che l’agricoltura richiede un dispendio idrico altissimo e, laddove vengono usati concimi chimici, contribuisce all’inquinamento di falde acquifere e terreni. La voglia di raccontare l’aspetto romantico dell’agricoltura rischia di farci perdere di vita un fatto importante: di acqua sana ce n’è sempre meno.
Il Cubo Ono utilizza solo il 3% della terra necessaria alle colture tradizionali e utilizza energia pulita, proveniente anche da fonti rinnovabili. Inoltre, i cubi sono cumulabili. Ogni modulo richiede 25 metri quadrati di suolo, spalmati su un’altezza che va da 4 a 16 metri. Ad esempio, dedicando 4 torri da 12 metri alla produzione di lattuga, ne possiamo ottenere 180 tonnellate. Oggi è possibile coltivare basilico, lattuga, rucola, microgreens (piantine micronutrienti) e piante officinali. La coltivazione più ambiziosa? «Abbiamo iniziato a coltivare una pianta per l’estrazione del colore indaco naturale».
Vivere del proprio lavoro con l’agricoltura sta diventando sempre più difficile. La redditività è al centro di tutto il settore agroalimentare e i suoi sviluppi. Ono si rivolge alle imprese agricole suggerendo di non pensare tanto al lato romantico della terra, quanto ai criteri che ogni impresa deve sempre tenere a mente: investimenti e ricadute. Un impianto come quello progettato da Ono non sarà bello come un campo aperto ma può diventare modulo confinante delle aziende di trasformazione agroalimentare, andando a completare la supply chain di queste realtà, trasformando radicalmente i contadini in imprenditori. Anzi, finalmente, in agropreneur. Fonte: Linkiesta, Gastronomika, Stefania Leo, 15.04.2022