Esemplifica concretamente il detto “chi troppo vuole, nulla stringe” e ci dà il senso del limite. Ogni ortaggio ha la sua stagione indicata per la semina e per il raccolto, va considerato lo spazio vitale necessario a ogni pianta e bisogna valutare l’energia che abbiamo per curarlo
Che sia in campagna o in un contesto urbano, che sia sul tetto di un edificio o nel giardino condominiale, che sia didattico oppure comunitario, ogni anno al principio della primavera l’orto torna a vestirsi di un’ampia gamma di frutti e colori. E chiunque abbia mai avuto il privilegio di coltivare e curare degli ortaggi conosce quanto anche solo un piccolo appezzamento di terreno possa nutrire una conoscenza fondata sul ritmo naturale dei cicli di vita.
Nel 2004, anno propizio per l’associazione che presiedo, oltre all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e a Terra Madre, Slow Food diede vita al progetto degli Orti in Condotta. Un’iniziativa che oggi conta oltre 500 orti scolastici realizzati in tutta Italia e riguarda attività di formazione ed educazione rivolte a insegnanti di ogni livello scolastico. Il fine ultimo è quello che le conoscenze promulgate vengano trasmesse agli studenti, rendendo l’orto un luogo di apprendimento sotto il punto di vista nutrizionale, ecologico e di consumo alimentare consapevole e informato. Ma anche uno spazio in cui possano riunirsi giovani e adulti – una comunità intergenerazionale dell’apprendimento – per riavvicinarsi a una dimensione naturale che tanto manca nel percorso educativo odierno.
Se ci fermiamo a osservare attentamente cosa effettivamente rappresenta la coltivazione del terreno nella sua dimensione più domestica scopriamo infatti alcuni insegnamenti per nulla scontati. Per prima cosa, attraverso la gestione dell’orto è possibile toccare con mano il ciclo delle stagioni. Un tempo che scorre a un ritmo molto più slow delle nostre vite, in cui anche il riposo (del terreno in questo caso) gioca un ruolo determinante ai fini di una produzione di qualità.
Ed è proprio il tempo naturale che può avvicinarci a un sano e sempre più fondamentale senso del limite. Ogni ortaggio ha la sua stagione indicata per la semina e per il raccolto. Inoltre, va sempre considerato lo spazio vitale che ogni pianta deve avere al fine di crescere e sviluppare i suoi frutti. La stessa dimensione dell’orto deve essere commisurata alle energie e alla cura che siamo in grado di destinare alla coltivazione; perché l’orto esemplifica concretamente il detto “chi troppo vuole, nulla stringe”.
Altro insegnamento che può trarre chi si dedica alla coltura domestica è che la salute di ogni singolo ortaggio è connessa alla salute e alla composizione del terreno in cui è stata seminata, alla fertilità del suolo ma anche alle forme di vita da cui è circondato. Una conoscenza fondamentale che infatti viene a crearsi dall’esperienza empirica di ogni coltivatore è relativa alle consociazioni. In altre parole, risulta necessario sapere e riconoscere il fatto che vi siano ortaggi che si aiutano vicendevolmente nella crescita attraverso un interscambio di sostanze nutritive o che si proteggono attraverso l’erogazione di sostanze nocive per i rispettivi parassiti. Viceversa è bene anche sapere che avvicinare determinate piante potrebbe voler dire ottenere scarsi risultati (il cetriolo ad esempio trae vantaggio dalla vicinanza di fagioli, cavoli e piselli, mentre non ama stare vicino al pomodoro; anche il finocchio non trova giovamento dalla vicinanza del pomodoro e nemmeno dei fagioli, ma favorisce l’attigua coltivazione di cicoria, lattuga e insalata in genere).
Un’ultima lezione che oggi risulta di estrema urgenza: una corretta gestione degli sprechi o un regolare riutilizzo degli stessi. Tutto quello che la natura ci offre va considerato come una risorsa preziosissima. E sviluppando una corretta conoscenza è possibile comprendere che anche gli ultimi degli scarti, i gambi o le foglie che di solito non consideriamo (consiglio a riguardo la lettura di Il mio orto zero waste), possono avere un loro utilizzo. D’altronde lo stesso ciclo di vita dell’orto ci insegna che il letame è il cibo della terra.
Dunque, ci apprestiamo a godere della stagione in cui la natura si risveglia e a cogliere una ricca biodiversità negli orti. Ma un orto ci può donare ben più di un semplice nutrimento. Soprattutto se si tratta di un orto – buono pulito e giusto – che produce in maniera rispettosa verso l’ambiente circostante. E che indipendentemente dalla sua collocazione è in grado di dialogare costantemente con la natura e con le comunità che lo circondano. Il mio suggerimento è dunque quello di immergersi direttamente e in prima persona in quella scuola di vita che si cela dietro la coltivazione dei nostri amati ortaggi; è indubbio che quando giovani e meno giovani mettono piede in un orto, ne escano molto più saggi. Fonte: la Repubblica, IL GUSTO, Carlo Petrini, 10.04.2022