Una ricerca olandese della Radboud University avanza seri dubbi sugli attuali metodi di cattura del carbonio
Man mano che la crisi climatica incalza, in ogni angolo del globo si corre alla ricerca delle soluzioni per contrastarla. Una doveva essere la tecnologia di cattura e utilizzo del carbonio (Ccu, Carbon Capture and Utilization), un processo che ricicla l’anidride carbonica originata dalle emissioni o già presente nell’atmosfera. Tuttavia, un articolo pubblicato dal ricercatore olandese Kiane De Kleijne sulla rivista One Earth, mette in discussione la validità di questo metodo rispetto al taglio delle emissioni previsto dagli accordi di Parigi del 2015.
Secondo De Kleijne, che lavora alla Radboud University di Nimega, il metodo Ccu non riduce le emissioni in modo costante. Dunque, i risultati di questa tecnica sono insufficienti. Si tratta, in sostanza, di intercettare la CO2 liberata dalle industrie per poi convertirla in carburante (come il metanolo) tramite elettricità, calore o catalizzatori. Insomma, riciclarla. “Suona proprio bene, vero?” ironizza De Kleijne. “Si prendono rifiuti per trasformarli in un prodotto di valore. Ma l’analisi di alcuni studi precedenti ci avverte che il metodo Ccu è ben lontano dal taglio delle emissioni”. Come ripetiamo da anni, per rispettare i valori di Parigi è indispensabile dimezzare le emissioni di CO2 entro il 2030 e azzerarle da qui al 2050. Stando agli studi del team guidato da Kleijne, su 74 processi di Ccu esaminati solo otto raggiungono l’obiettivo del 2030 e solo quattro puntano allo zero per il 2050. Nel metodo considerato, i componenti di cattura e conversione sono ad alta intensità energetica, e anche il prodotto finale del riciclo, una volta adibito all’uso, emette a sua volta. “In molti casi i Ccu non riducono realmente le emissioni rispetto al prodotto convenzionale, quindi diventa un problema serio”. Il cane si morde la coda. Un’altra obiezione di De Kleijne è che la tecnologia del metodo Ccu non può essere ancora commercializzata su larga scala.
Pertanto, sarebbe meglio dirottare i finanziamenti verso la ricerca di metodi più rapidi ed efficaci. Per esempio, la cattura semplice del carbonio e il suo stoccaggio permanente, oltre alla riduzione dei consumi. Tutto ciò nonostante alcuni sistemi Ccu, che immagazzinano carbonio a lungo termine producendo una quantità di emissioni finali ragionevolmente trascurabile, appaiano promettenti. Tra questi, la carbonizzazione delle scorie di acciaio per creare materiali da costruzione può incidere positivamente, e in misura notevole, sui valori imposti da Parigi. Anche la sottrazione del carbonio prodotto dalla fotosintesi nell’atmosfera può abbassarne la concentrazione, ed è su quest’ultimo aspetto che De Kleijne e il suo team vorrebbero ora spostare il loro interesse. “Ci piacerebbe poter estendere ulteriormente la nostra analisi, dal momento che la valutazione del metodo Ccu non ci ha soddisfatti” afferma. “Sarebbe un’ottima cosa pure poterlo confrontare con altre alternative alla sostituzione di prodotti o servizi basati sui combustibili fossili”. Fonte: la Repubblica, Vincenzo Foti, 21.02.2022