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Mar 07 2022

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COSÍ IL PESCE DI ALLEVAMENTO SUPERERÀ IL PESCATO. CRESCE LA SOSTENIBILITÀ CERTIFICATA

Secondo la Fao la domanda mondiale di pesce è in aumento del 20% annuo e l’acquacoltura in Italia copre già quasi metà del settore ittico in termini di quantità. Intanto si diffondono i «bollini» green

Le imprese italiane attive nell’acquacoltura sono oltre 1.700 e allevano soprattutto trote, orate

Il 2022 è l’anno mondiale della pesca artigianale e dell’acquacoltura: lo ha deciso la Fao, che ha così voluto puntare l’attenzione sul ruolo sempre più determinante della piccola pesca e dell’allevamento in un settore in grande espansione, soprattutto a livello di consumi. L’Organizzazione delle Nazioni Unite ha stimato che, da qui al 2030, la domanda di prodotti ittici aumenterà di almeno 40 milioni di tonnellate ogni anno. E la previsione è prudente, perché considera che i consumi pro capite restino invariati, mentre in realtà sono in crescita da anni: oggi siamo a 20,5 kg annui pro capite contro i 9 kg del 1961.

Sarà, dunque, impossibile soddisfare questa richiesta basandosi solo sul pesce di cattura, visto che già oggi la pesca ha raggiunto un’intensità difficilmente sostenibile e che i cambiamenti climatici e l’inquinamento stanno aggravando i problemi dell’ecosistema marino. Se vogliamo continuare a gustare orate e gamberi, cozze e salmoni dovremo comprare quelli allevati, che, entro il 2030, supereranno quelli pescati: se oggi sono il 46% dei 178 milioni di tonnellate di pesce disponibili in un anno, si prevede che nell’arco di meno di un decennio arriveranno oltre la soglia del 60 per cento.

Come cambia il settore ittico in Italia

Basta remore, quindi, è il messaggio della Fao: l’acquacoltura, soprattutto se condotta in modo sostenibile, è fondamentale per il futuro del pianeta perché rappresenta una soluzione per salvare il depauperamento dei mari e per abbattere le emissioni nocive dei pescherecci. E su questo fronte l’Italia parte bene: secondo un report Ue, nei cinque anni precedenti alla pandemia la crescita di produzione dell’acquacoltura è stata del 4% e ci ha portato al quarto posto per produzione in Europa (mentre nella pesca siamo al decimo) con 154mila tonnellate annue, per un valore superiore a 453 milioni di euro. Il pescato invece ammontava a circa 174mila tonnellate, per un valore di 887 milioni. Ma dal 2010 al 2019 questo è ̀diminuito, secondo Alleanza delle cooperative, del 15,7 per cento. Le oltre 1.700 imprese italiane allevano ben 25 specie (soprattutto trote, orate, cozze e spigole) e sono un punto di riferimento internazionale per vongole veraci e storione. «Il nostro è un settore importante, fatto per l’80% da piccole o micro imprese, spesso a conduzione familiare, che sostengono l’economia di zone altrimenti abbandonate (come le lagune e le aree umide) e contribuiscono alla salvaguardia di specie che sarebbero a rischio di estinzione, come lo storione, diventato un gioiello dell’export alimentare italiano», spiega Andrea Fabris, direttore dell’Associazione piscicoltori italiani.

Le richieste degli operatori

Nonostante i numeri, però, ancora tre quarti dei prodotti ittici consumati in Italia arrivano dall’estero: c’è, quindi, un ampio spazio di mercato da conquistare per il made in Italy. Ma serve uno sforzo di sistema. «Abbiamo bisogno che venga costituito uno sportello unico per l’acquacoltura, visto che al momento quest’attività ricade sia nell’ambito della pesca che dell’agricoltura – aggiunge Fabris – e che vengano semplificati gli adempimenti burocratici, con meno autorizzazioni, regole armonizzate tra le regioni e tempi più brevi, visto che oggi per ottenere una licenza servono 30-36 mesi». E poi serve individuare le aree vocate dove installare nuovi impianti, che abbiano caratteristiche coerenti con gli orientamenti strategici per un’acquacoltura sostenibile indicati dalla Ue nel piano 2021-2030.

Il sistema di qualità del ministero

In quest’ottica ha preso il via il progetto Acquacoltura Sostenibile, che mira a rendere più competitiva la filiera attraverso il miglioramento della qualità e del valore dei prodotti e attraverso l’upgrading in termini di impatto ambientale e benessere animale. Un percorso iniziato nel 2020, quando l’acquacoltura sostenibile è stata inserita nel sistema di qualità nazionale zootecnica; un’importante lasciapassare per fornire questi prodotti alle mense di scuole e Rsa. L’ok definitivo, però, è arrivato solo a gennaio, quando è stata approvata la versione modificata del disciplinare produttivo. Finanziato dal Feamp (Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca) riguarda la filiera di 20 specie, tra pesci e molluschi, a partire dall’allevamento fino alla vendita dei prodotti, identificati da un logo ad hoc.

Le certificazioni Msc e Friend of the sea

Intanto guadagnano sempre più spazio anche in Italia le certificazioni di pesca o acquacoltura “green”, adottate da circa il 60% delle imprese di trasformazione ittica.

Come Marine Stewardship Council (Msc), il principale programma per la sostenibilità ittica a livello globale, che, a marzo 2022, prevede di superare le 50mila tonnellate di prodotti certificati venduti nel nostro Paese (contro le 43mila dell’anno finito a marzo 2021). Sono oltre 600 le referenze su cui compare il bollino blu Msc. Oltre il 70% dei volumi si deve ai surgelati, dove Msc collabora con marchi leader (come Findus e Frosta), e un altro 10% spetta alle conserve ittiche (con brand come Consorcio, Rio Mare e Rizzoli Emanuelli), per cui nell’ultimo anno si stima una crescita nell’ordine del 30-40%.

«È invece ancora tutto da costruire il mercato del fresco, che rappresenta circa il 50% dei consumi ittici italiani. Infatti non ci sono ancora pescherie certificate per la catena di custodia, che possano offrire pesce fresco sostenibile» , spiega Francesca Oppia, direttrice per l’Italia di quest’organizzazione non profit arrivata a certificare oltre 50mila prodotti in 63 Paesi. In volumi si tratta di 16 milioni di tonnellate di pescato (ossia il 12% del totale mondiale Fao), proveniente da 516 attività di pesca sia di piccole che di grandi dimensioni. La prima azienda ittica dell’area mediterranea ad aver ottenuto la certificazione di sostenibilità Msc è in Italia: è l’Op Bivalvia Veneto, un’organizzazione con un centinaio di pescatori che realizzano oltre un quarto del pescato italiano di vongole lupino. Sempre in Italia sono due le attività di pesca (per il gambero bianco in Puglia e il polpo in Sardegna) coinvolte nel progetto BluFish e che stanno lavorando su piani d’azione per il miglioramento concreto delle pratiche di pesca, secondo lo standard Msc per la pesca sostenibile.

È italiana (a dispetto del nome) anche l’altra più diffusa certificazione di sostenibilità della filiera ittica: è Friend of the sea, l’unico standard indipendente che certifica con un unico “bollino” sia i prodotti provenienti dalla pesca sia quelli da acquacoltura. A oggi certifica 3mila prodotti (tra alimentari e non food) realizzati da oltre 1.500 aziende in un’ottantina di paesi. L’Italia è predominante, con il 20% delle aziende per circa 600 prodotti in commercio, e con partner sia nel mondo della produzione (come Generale Conserve) sia nella distribuzione (come Coop Italia).

Il bollino anche nei ristoranti

«I retailer sono un volano importante, perché coinvolgono tutto il settore e perché possono motivare le aziende a farsi certificare – spiega il fondatore e direttore Paolo Bray – oppure richiedere la certificazione come pre-requisito per diventare fornitori». Da alcuni anni Friend of the sea è entrato anche al mondo della ristorazione, dove certifica la sostenibilità del pesce servito, verificandone l’impatto ambientale e l’attenzione alla responsabilità sociale. A oggi nel mondo i locali che hanno fatto questa scelta sono oltre 600 (di cui 350 in Italia, come le catene Temakinho, Pokeria e Pescaria) e sono raccolti nella app Sustainable RestaurantsFonte: Il Sole 24 Ore, Manuela Soressi, 07.03.2022

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