I rincari e la crisi fanno tremare le cantine, ma gli aumenti di listino non riescono a coprire gli incrementi dei costi: quali strategie possono aiutare il settore?
Il vecchio adagio dice che non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Allo stesso modo è impossibile avere un comparto vitivinicolo in salute, se i prezzi del vino alla vendita diminuiscono e i costi di produzione aumentano. Secondo i dati Istat sui prezzi al consumo a gennaio 2022 ripresi da Coldiretti, le bottiglie in vendita hanno riportato una diminuzione dei prezzi dell’1,2%. Ma i costi di produzione a carico delle cantine sono tutt’altro che scesi. A causa dei rincari di vetro, carta, sughero, legno e trasporti, oltre al caro energia, siamo su aumenti del 12%. Le politiche di sottocosto e promozioni volute dalla Gdo si riversano sulle spalle dei produttori, già provati dalla crisi e dagli aumenti generali. Tutto ciò a valle di un anno disastroso, che ha visto il crollo delle vendite nel canale Horeca, con vino e cibi invenduti per un valore stimato in quasi 5 miliardi nel 2021 e un trend in ulteriore peggioramento con i locali deserti a causa della ripresa dei contagi nel 2022. Superata la minaccia del Cancer Plan europeo, la situazione sembra tutt’altro che rosea.
Vino al vino, potere al potere
Secondo il Rapporto annuale dell’Organizzazione internazionale della vigna e del vino (Oiv), la produzione del vino nel 2021 è stata inferiore del 4% rispetto al 2020 a causa delle condizioni meteo sfavorevoli che hanno colpito i principali paesi produttori soprattutto in Europa. Il nostro Paese resta primo produttore al mondo con 44,5 milioni di ettolitri, seguito dalla Spagna. Al vino italiano lavorano circa 1,3 milioni di persone, con un patrimonio enologico che vale 18 miliardi di euro e rappresenta un elemento di traino per l’intero sistema agroalimentare nazionale.
L’Italia del vino è fatta di grandi aziende ma, riproducendo l’immagine del tessuto economico italiano, anche di tante piccole medie imprese. Se i big player hanno un potere contrattuale che gli ha permesso di scavallare il blocco Horeca e di prendere ossigeno dagli scaffali della Gdo, non si può dire lo stesso di piccole cantine che, tutt’al più, hanno avuto la forza di metter su un e-commerce. Secondo Paolo Castelletti, Segretario Generale Unione Italiana Vini, l’impatto delle vendite di vino online dopo due anni di pandemia hanno un impatto che si attesta al 4%: cifre ancora poco significative, anche se le proiezioni parlano già di un raddoppio. Mentre le grandi aziende sono strutturate anche per dominare il tema della logistica, le piccole e medie imprese stentano su questo fronte e si rivolgono a piattaforme multireferenza, perdendo così potenziali margini. «L’online va tenuto sotto osservazione, ci si deve investire, ma non potrà capovolgere o ridurre l’impatto di Horeca e Gdo», sottolinea Castelletti. Del resto, come spiega Lorenzo Cesconi, vicepresidente di FIVI, associazione di categoria che rappresenta 1400 aziende italiane «la pandemia ha contribuito a rafforzare il rapporto tra produttori e settore Horeca: solo lì i vini di piccole e grandi cantine vengono valorizzati e presentati in maniera ottimale».
Criticità in produzione
Dopo la riapertura e la ripresa di ristoranti e alberghi, i produttori sembravano aver tirato un sospiro di sollievo. Ma i rincari di energia e materie prime secche, per di più di difficile reperibilità, ha reso instabile e imprecisa ogni prospettiva. C’è chi ha già cercato riparo nelle energie rinnovabili, cercando di orientarsi su fotovoltaico e produzioni più sostenibili. Ma le complessità del tempo presente, i rincari e i venti di guerra dall’est stanno condizionando anche gli investimenti sul fronte della trasformazione ecologica e di una maggiore autonomia energetica delle cantine. In più, le cantine devono affrontare il problema della reperibilità di vetro, cartoni, tappi, capsule, etichette e altre materie necessarie al lavoro di cantina. Prima si potevano ottenere in tempi brevi. Ora si parla di consegne stimate in mesi, tanto più che i grandi produttori sono corsi ai ripari, accaparrandosi tutto il possibile.
L’evoluzione dei listini
Ritoccare i listini di vendita per il 2022 non è una scelta, ma un’esigenza. Dovranno prenderne atto sia la Gdo che l’intero comparto Horeca. Come spiega Paolo Castelletti, Segretario Generale Unione Italiana Vini «nel 2021 la Gdo ha aumentato i propri prezzi del 7,1%. L’intenzione dei produttori è di arrivare ad un aumento complessivo del 10%, comunque insufficiente a coprire i rincari per energia e materie secche. La cifra che la Gdo accetterà si attesterà intorno a quella percentuale, da ribaltare sul consumatore». Oggi la domanda tra gli scaffali si è spostata da bag in box e Tetrapack alle bottiglie di vetro, scelta che giustificherebbe gli aumenti assorbiti nell’anno scorso. Ma come spiega Francesco Mazzone, enologo e co-fondatore dell’Azienda Agricola Mazzone di Ruvo di Puglia (Ba), gli aumenti di listino attualmente in atto non sono legati al momento. Si tratta di cifre ferme da anni, che non riusciranno a coprire i rincari attuali. «In più, il prezzo del vino all’ingrosso è sceso perché il mercato è fermo: i ristoratori non riescono a fare previsioni certe sull’andamento dei prossimi mesi».
Strategie di contenimento
Al contrario di ciò che abbiamo visto negli allevamenti, sul vino si fa poco fronte comune. Molti grandi brand si muovono per conto loro, direttamente o indirettamente, intercettando i gangli istituzionali più sensibili alle situazioni. Attualmente non ci sono tavoli aperti con le istituzioni, anche se UIV attende un incontro con il ministro Patuanelli per comprendere se i fondi del PNRR potranno essere impiegati per fare investimenti nelle aziende volti alla conquista di un’autonomia energetica. «Intanto, le aziende devono prevedere e mettere in campo grossi investimenti per avere macchine più efficienti in vigna o in cantina e per introdurre l’uso di materiali più sostenibili».
A contrastare gli effetti dei rincari c’è il decreto Sostegni Ter, che mira a mitigare gli aumenti delle bollette energetiche. Ma il vero problema è che gli imprenditori agricoli non hanno beneficiato adeguatamente dei sostegni precedenti, tarati sul reddito e non sul reale volume d’affari dell’azienda. In più, i produttori attendono il ritorno dei turisti in Italia, per poter avere una visione di più ampio respiro, con ordini più strutturati da ristoratori più fiduciosi. Fonte: Linkiesta, Gastronomika, Setefania Leo, 01.03.2022