«

»

Mar 04 2022

Print this Articolo

GIORNATA MONDIALE DELL’OBESITÀ, COSA SERVE PER ARGINARE L’EPIDEMIA

Una rete di centri specializzati carente e non distribuita in modo omogeneo sul territorio rende difficile prendersi cura di chi soffre di questa malattia, che causa 340mila morti ogni anno in Europa. La lettera aperta delle associazioni alle istituzioni per chiedere priorità agli investimenti

La Giornata Mondiale dell’Obesità, promossa dalla World Obesity Federation il 4 marzo, lancia anche quest’anno un messaggio molto chiaro: “Everybody Needs To Act”: è arrivato il momento che ciascuno agisca. Un invito a passare dalla consapevolezza ai fatti per prevenire ed affrontare una malattia che causa 340mila morti ogni anno in Europa, è associata allo sviluppo di altre malattie croniche non trasmissibili ed è un fattore predittivo per lo sviluppo di complicanze, anche fatali, da Covid19.

L’obesità in Europa e in Italia

I casi sono in crescita, anche in seguito alla pandemia che ha peggiorato le nostre abitudini. Con conseguenze anche sulla spesa sanitaria. In Europa il 53 per cento della popolazione è affetta da sovrappeso o obesità. I costi diretti, sociali, economici e clinici si stimano in circa 70 miliardi di euro.

Un problema in aumento soprattutto nei bambini, per le conseguenze derivate dal confinamento imposto dall’emergenza sanitaria. Secondo un recente studio pubblicato su Jama, nell’ultimo anno, soprattutto nei bimbi tra i 5 e gli 11 anni, c’è stato un aumento medio del peso da 3 fino a 5 chili. Un quadro del tutto simile per i bambini e gli adolescenti italiani, che già prima della pandemia registravano tassi di sovrappeso pari al 20.4% e di obesità pari al 9.4%.

Ma cosa non funziona esattamente? Perchè non si riesce ad arginare questa epidemia?

La carenza dei centri specializzati in Italia

Per capirlo siamo partiti da un centro di eccellenza accreditato per la diagnosi e cura dell’obesità, il C.I.B.O. del policlinico Federico II del capoluogo campano. Regione che presenta la più elevata prevalenza tra gli adulti (nel 2020 pari al 55% , con un aumento stimato di circa il 10% in più in un solo anno).

Le richieste sono tantissime: nei nostri tre ambulatori possiamo accogliere al massimo 30 persone a settimana. Con maggiori spazi e personale potremmo arrivare a 150. Le liste di attesa sono di sei, otto mesi. Si tratta di pazienti tra l’altro che durante il Covid sono stati abbandonati. Ed erano quelli che si ammalavano più gravemente“, dice Annamaria Colao, responsabile del centro e professore al dipartimento di endocrinologia e oncologia molecolare e clinica dell’Università Federico II. “Non si può tenere un malato in una situazione di fallimento costante: alcuni miei pazienti sono a dieta da quando hanno 10 anni e a 30 sono sfiniti“, aggiunge.

Un punto di fragilità è la carenza di centri per l’obesità: non ne esiste un numero sufficiente per supportare efficacemente chi ha bisogno di un percorso terapeutico. Serve, si legge sulla rivista Obesity monitor, una rete che coinvolga il medico di medicina generale, il pediatra fino a centri specializzati in grado di trattare i casi più gravi. Un’organizzazione efficace dovrebbe prevedere diversi livelli di assistenza: medici di medicina generale e pediatri possono indirizzare i pazienti complessi a uno spoke, vale dire ambulatorio accreditato, a collocazione ospedaliera o territoriale. Gli spoke mettono a punto percorsi di diagnosi e cura di bassa-media complessità e stabiliscono percorsi terapeutici semplici. In caso di obesità a complessità più elevata vengono coinvolti dagli hub, strutture ospedaliere che prevedono anche la chirurgia bariatrica. Ma, si legge sulla rivista, “la distribuzione dei centri specializzati sul territorio nazionale è carente e disomogenea“.

I centri per la cura dell’obesità accreditati Sio (Società Italiana dell’Obesità) e  EASO (European Association for the Study of Obesity) sono in tutto 36. Non coprono tutte le regioni. Quelli con caratteristiche più orientate alla medicina che alla chirurgia mancano in Valle d’Aosta, Friuli, Liguria, Marche, Umbria, Abruzzo, Molise e Basilicata. I centri a vocazione chirur­gica non sono presenti in Piemonte, Marche, Molise, Calabria.

L’importanza di un team multidisciplinare

All’interno di questi centri dovrebbe operare un team multidisciplinare con rappresentate più competenze: dietologo, endocrinologo, genetico (per pazienti pediatrici), psicologo, cardiologo e pneumologo nella stessa sede, fisiatra o medico dello sport, esperto di attività motoria preventiva adattata, chirurgo. “Oltre a personale infermieristico e amministrativo. E servono spazi adeguati, sedie, lettine, bilance adattate“, aggiunge Annamaria Colao.

Farmaci a carico dei pazienti

Non esiste un tipo solo di obesità, ma diversi fenotipi con diversi profili di rischio, che possono beneficiare di approcci terapeutici personalizzati. Dieta, attività fisica, farmaci e chirurgia hanno ruoli diversi, a seconda delle condizioni di salute e delle motivazioni.

Esistono opzioni farmacologiche; trattamenti riabilitativi metabolici integrati; interventi di chirurgia bariatrica per i casi gravi.

La chirurgia bariatrica ad oggi è l’unico trattamento rimborsato. La spesa dei farmaci è a carico dei pazienti. “Esistono tre tipi di farmaci per trattare l’obesità. La spesa può essere di 300 euro al mese. Non alla portata di tutti. Ma chi è obeso è a maggior rischio di malattie cardiovascolari e di tumori. Non può aspettare. Bisognerebbe permettere ai centri di eccellenza riconosciuti di prescrivere i farmaci ad alcune categorie di pazienti con obesità grave e comorbilità”, dice l’endocrinologa.

Gli ostacoli culturali

Le difficoltà nel prevenire e curare l’obesità derivano anche da retaggi culturali. “Si riverberano sulla qualità dell’erogazione sanitaria: persiste, soprattutto nel Sud Italia, un retaggio culturale che risale agli anni 50 per cui i chili in eccesso sono associati a una situazione di benessere economico. Dall’altra alcuni medici associano l’obesità all’incapacità del paziente di fare esercizio fisico e di mangiare in modo corretto. Come se ne avesse la colpa. Non esiste un atteggiamento di stigma così forte per altre patologie”, fa presente l’endocrinologa.

Si tratta di una malattia, ricorda l’esperta, e non di una condizione legata a cattivi stili di vita, componente che pure esiste: “Chi è in sovrappeso non è solo chi ha mangiato troppo e non ha fatto attività fisica è anche chi deve fare i conti con un metabolismo sfavorevole“, spiega Annamaria Colao.

Lettera aperta perché l’obesità sia considerata una priorità socio-sanitaria

Del tema si è discusso in un incontro in Senato organizzato con il supporto dell’Intergruppo Parlamentare Obesità & Diabete, World Obesity Federation, Società italiana dell’obesità, Italian Obesity Network, Open Italy, Obesity Policy Engagemente Network Italy. Gli organizzatori in una lettera indirizzata ai rappresentanti del governo, del ministero della Salute, del Parlamento e ai presidenti di Regione, ai sindaci e alle autorità sanitarie nazionali e locali richiamano l’esigenza di considerare l’obesità una priorità socio-sanitaria e sollecitano a un’azione sinergica e rapida, dando priorità agli investimenti per contrastarla.

L’invito è a collaborare per creare percorsi assistenziali chiari e implementare le strutture specialistiche multidisciplinari a sostegno del trattamento dell’obesità, ma anche della diagnosi e della cura delle sue complicanze per portare a un reale cambiamento. “La lettera mira a ottenere il riconoscimento governativo, clinico, sociale e sanitario dell’obesità come malattia cronica, così da inserire le prestazioni riguardanti l’obesità nei LEA, creare una rete nazionale di cura e un Piano Nazionale sull’obesità” ha spiegato Daniela Sbrollini, Presidente Intergruppo Parlamentare Obesità e Diabete.  Fonte: la Repubblica, Salute, Cinzia Lucchelli, 04.03.2022

Permanent link to this article: https://www.slowfoodvalliorobiche.it/giornata-mondiale-dellobesita-cosa-serve-per-arginare-lepidemia/