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Feb 22 2022

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L’INQUINAMENTO DA SOSTANZE CHIMICHE CAUSA PIÙ MORTI DEL CORONAVIRUS

Il coronavirus ha scosso e mobilitato tutto il mondo. Ma l’inquinamento da sostanze chimiche, che causa più morti, non desta lo stesso timore.

Una fabbrica di carbone in Cina © Kevin Frayer/Getty Images

L’inquinamento causato dalle sostanze chimiche fa più morti del coronavirus. Non è la prima volta che una notizia del genere fa breccia nei mezzi d’informazione. Ma ora un rapporto approfondito sul tema viene pubblicato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, puntando il dito contro l’estrazione di materie prime, produzione di sostanze chimiche e pesticidi, colpevoli, attraverso il rilascio di inquinanti nell’ambiente, di almeno nove milioni di morti premature all’anno.

Si tratta di un bilancio nettamente superiore rispetto alle morti causate direttamente dal coronavirus (5,9 milioni secondo i dati Worldometer). Eppure, se la pandemia ha smosso le attenzioni di tutti i governi, gli attuali approcci alla gestione dei rischi posti dall’inquinamento e dalle sostanze tossiche “sono un totale fallimento”, spiega David Boyd, relatore delle Nazioni Unite su diritti umani e ambiente nel rapporto intitolato The right to a clean, healthy and sustainable environment: non-toxic environment.

L’inquinamento da sostanze chimiche crea “zone di sacrificio”

La produzione di sostanze chimiche è raddoppiata tra il 2000 e il 2017 e si prevede che raddoppierà nuovamente entro il 2030 e triplicherà entro il 2050. La maggior parte di questa crescita si verificherà nei paesi in via di sviluppo, dove già ora si concentrano quelle che Boyd chiama “zone di sacrificio”, ovvero quei luoghi in cui le persone subiscono le conseguenze più devastanti per la loro salute. Il termine, originariamente utilizzato per descrivere le zone di test nucleari, è stato ampliato nel rapporto fino a includere qualsiasi sito o luogo fortemente contaminato o reso inabitabile dai cambiamenti climatici.

Quali sono le zone di sacrificio nel mondo

Il rapporto passa in rassegna diverse zone caratterizzate da ingiustizie ambientali causate dalla presenza di sostanze tossiche. Tra queste c’è Kabwe, in Zambia, dove il 95 per cento dei bambini ha livelli elevati di piombo nel sangue e dove una miniera di piombo è stata chiusa oltre vent’anni fa. Poi naturalmente c’è il delta del Niger, dove le popolazioni locali sono coinvolte in una delle più grandi crisi ambientali dovute all’estrazione di petrolio.

L’elenco prosegue e si va dalla miniera di Bayan Obo, in Mongolia, dove la Cina ha il suo più grande punto di estrazione di terre rare, all’estrazione di rame a Bor, in Serbia, dalle piogge acide che caratterizzano la città russa di Noril’sk al complesso industriale di Quintero-Puchuncaví, in Cile, dalla chemical valley in Ontario (Canada) alle raffinerie della Louisiana, negli Stati Uniti.

Uno sversamento di petrolio in mare © Chris Graythen/Getty Images

L’Italia è tra le zone più colpite dall’inquinamento

Sorpresa: tra le zone di sacrificio c’è anche una città italiana. Si tratta di Taranto, dove l’acciaieria ex-Ilva “ha messo in pericolo la salute della popolazione, violando i diritti umani e generando ingenti volumi di inquinamento atmosferico tossico”, si legge nel rapporto. Mentre la bonifica del sito è stata posticipata al 2023, la fabbrica ha continuato a lungo a funzionare generando malattie respiratorie e cardiache, cancro, condizioni neurologiche debilitanti e mortalità prematura tra gli abitanti della zona.

Le sostanze chimiche sono ovunque, anche nei neonati

Estrazione di combustibili fossili, produzione di plastiche, agricoltura industriale: a causa di queste attività, gli inquinanti tossici presenti in atmosfera sono ovunque, dalla vetta dell’Himalaya alle Fosse delle Marianne. “Gli esseri umani sono esposti a sostanze tossiche attraverso la respirazione, cibo e bevande, attraverso il contatto con la pelle e attraverso il cordone ombelicale nell’utero. Studi di biomonitoraggio rivelano la presenza nel nostro organismo di residui di pesticidi, ftalati, ritardanti di fiamma, sostanze perfluoroalchilate e polifluoroalchilate, metalli pesanti e microplastiche. Le sostanze tossiche si trovano anche nei neonati” spiega Boyd.

“L’esposizione a sostanze tossiche”, continua il rapporto, “aumenta il rischio di morte prematura, avvelenamento acuto, cancro, malattie cardiache, ictus, malattie respiratorie, effetti avversi sul sistema immunitario, endocrino e riproduttivo, difetti alla nascita e problemi dello sviluppo neurologico per tutta la vita”. Quel che fa specie è che, secondo l’autore del rapporto, un quarto del carico globale di malattie è attribuito a fattori di rischio ambientale evitabili, se solo si agisse a livello politico con strategie di prevenzione e controllo.

L’industria chimica deve essere costretta a impegnarsi molto di più

Il 10 per cento dei combustibili fossili è impiegato nell’industria chimica, la quale è responsabile del rilascio di circa 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra nell’atmosfera ogni anno. L’inquinamento e le sostanze tossiche sono diventati uno dei fattori principali del declino della biodiversità, con effetti particolarmente negativi su impollinatori, insetti, ecosistemi marini e d’acqua dolce (comprese le barriere coralline) e popolazioni di uccelli.

Frammenti di plastica sono stati trovati a ogni altitudine, dall’Himalaya fino al fondo degli oceani © Dan Kitwood/Getty Images

Certe sostanze andrebbero vietate il prima possibile. Tra queste Boyd sollecita il divieto dei perfluoroalchilici, le sostanze artificiali utilizzate nei prodotti per la casa (tra cui le pentole antiaderenti), che sono state collegate al cancro e che vengono definite “forever chemicals” a causa della loro persistenza nell’ambiente.

Ma oltre a vietare certe sostanze, spiega lo stesso Boyd all’agenzia di stampa Reuters, è necessario che le imprese operanti nelle zone di sacrificio installino apparecchiature per il controllo dell’inquinamento, si convertano a fonti di energia rinnovabile, modifichino i loro processi industriali e bonifichino i siti inquinati. Se queste misure non venissero adottate al più presto, per i cittadini che vivono nelle zone più inquinate non resta altra scelta che abbandonare le proprie caseFonte: LIFEGATE, Maurizio Bongioanni, 22.02.2022

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