In uno scenario dove il costo della vita è in continuo aumento ma gli stipendi no, sempre più consumatori sono costretti a fare scelte non salutari o non etiche. C’è un’altra strada possibile?
Questa settimana la riflessione sul cibo parte da una diretta a cui abbiamo partecipato, durante la quale abbiamo parlato del caro prezzi nel settore alimentare. Bollette con costi alle stelle, materie prime sempre più costose, problemi logistici e di viaggio, e non ultima la pandemia, hanno costretto ristoratori e gestori di punti vendita ad aumentare i prezzi. A questo si contrappone il vizio mai troppo stigmatizzato della GdO di proporre prodotti civetta con prezzi completamente fuori scala, che servono solo a far scegliere un supermercato al posto di un altro ma fanno un pessimo servizio a chi produce e a chi compra. Se come consumatori il vantaggio di pagare meno è seducente, non possiamo fingere di non sapere che il costo che non paghiamo noi lo sta pagando qualcun altro, di solito le realtà più a valle della filiera, agricoltori e braccianti. Avere il sottocosto, inoltre, svaluta completamente il prodotto: perdiamo di vista il suo valore autentico, e lo pensiamo sempre di più come poco significativo. Per poi lamentarci quando vedremo dei servizi al tg che ci racconteranno di quanto sono sfruttati i lavoratori nei campi. Ma comprare prodotti scadenti solo per il prezzo ha un altro costo sociale invisibile: nutrendoci male avremo problemi di salute, che si ripercuoteranno sulle ospedalizzazioni dando vita a importanti costi sanitari che saremo costretti a pagare con le imposte.
Ma se i prezzi aumentano e gli stipendi no, come possiamo far fronte al nostro bisogno quotidiano? Una scelta etica e cosciente del cibo non dovrebbe passare dal portafoglio, ma che così non sia in un’economia capitalistica è un’idea utopica. Quindi? Quindi la scelta che dobbiamo fare non è cedere alla via più facile, ma provare ad andare al di là del prezzo. Comprare materie prime non lavorate, per esempio, è una delle possibili soluzioni per pagare il prezzo giusto e non il prezzo aumentato dalla lavorazione dell’industria. Scegliere solo attraverso il prezzo al chilo, e non semplicemente guardando i cartellini dei singoli prodotti è un’altra buona idea. E poi ci sono i GAS, i gruppi di acquisto solidale, per dividere coi vicini grandi quantità a prezzi piccoli. E le tante attività domestiche che possono portarci a consumare tutto ciò che compriamo, ricordando che nei paesi industrializzati quasi un terzo del cibo viene gettato. Queste attenzioni risolvono la questione? Purtroppo no, ma aiutano a riscoprire un’attività – fare la spesa – che dovremmo smettere di fare di corsa, come fosse un peso ma come fosse una nuova scoperta.
Ci sono altri trucchi? Uno, facile, sembra che migliori sensibilmente la nostra capacità di nutrirci meno e meglio. Psicologi e nutrizionisti sono ampiamente d’accordo sul fatto che sedersi a mangiare con gli altri faccia bene al benessere fisico ed emotivo di tutti, soprattutto bambini e adolescenti: «Quello che sappiamo – dice Linda Blair, psicologa clinica ed esperta di genitorialità a BBC – è che quando non presti attenzione all’atto del mangiare, mangi troppo e mangi tutto ciò che hai di fronte invece di pensarci. Stare con altre persone focalizza la tua attenzione sul fatto che stai mangiando, e poiché sappiamo che non è bene mangiare senza prestare attenzione, la cura migliore è mangiare insieme». Inoltre, l’esposizione di un bambino al cibo permette ai piccoli di riconoscere cibi diversi e notare che aspetto hanno e che odore hanno, aiutando i bambini ad imparare ad apprezzare tutto il cibo. Senza colpevolizzarsi troppo se questa cosa non siamo proprio in grado di gestirla: il dottor Max Davie, del Royal College of Pediatrics and Child Health, afferma che sebbene ci siano prove che mangiare insieme abbia benefici, per molte famiglie non è possibile. «È davvero importante non presentare un ideale irraggiungibile. L’idea della famiglia felice attorno al tavolo della cucina che mangia cibi sani cucinati in casa, presentati come un ideale, è inutile e controproducente se le persone non possono farlo». Ma avere un ideale a cui tendere è comunque uno stimolo potente per cambiare, anche in maniera minima, le proprie abitudini alimentari. Pensando che se spendiamo per l’olio motore da mettere nella nostra auto più di quanto spendiamo per l’olio che usiamo per condire la nostra insalata il problema non sono i prezzi: siamo noi. Fonte: Linkiesta, Gastronomika, Anna Prandoni, 18.02.2022