Trovato glifosato anche nei parchi naturali da uno studio tedesco
I presupposti sui quali, finora, l’Unione Europea ha deciso di autorizzare l’uso del glifosato sono sbagliate, almeno per quanto riguarda la capacità di diffondersi per via aerea della sostanza, già definita probabilmente cancerogena dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) dell’Oms. Il glifosato, infatti, viaggia nell’aria attaccandosi alle particelle di polvere e ai pollini, e arriva anche molto lontano dal luogo in cui è stato sparso al suolo.
A questa conclusione è giunto uno studio commissionato dell’Alleanza per un’agricoltura a misura di nipoti, associazione di produttori biologici, e dell’Istituto Ambientale di Monaco, un’organizzazione specializzata nelle indagini ambientali, pubblicato sulla rivista del gruppo Nature Environmental Sciences Europe che potrebbe avere importanti ripercussioni. Entro pochi mesi l’Europa dovrà infatti decidere se continuare o meno a permettere l’impiego del diserbante anche dopo il 2022 e, al momento, le valutazioni sono in pieno svolgimento.
Uno studio tedesco ha analizzato la diffusione dei pesticidi per via aerea
Nell’indagine i ricercatori hanno selezionato 69 punti sparsi in tutta la Germania, alcuni dei quali in parchi nazionali e zone protette a vario titolo, altri in aree destinate alla coltivazione biologica o non coltivate, e durante il 2019 hanno campionato l’aria in due modi, analizzando i filtri dei sistemi di ventilazione domestica e mediante dispositivi che catturano l’aria, verificando la presenza di oltre 500 sostanze tra composti principali e loro metaboliti.
Il risultato è stato al tempo stesso illuminante e sconvolgente: nell’aria sono state rilevate ben 109 sostanze diverse, 28 delle quali non utilizzate in Germania perché vietate, e talvolta in luoghi insospettabili quali le montagne del parco Harz (13 sostanze) o il Parco Nazionale della foresta bavarese (sei). Il glifosato era presente in ogni singolo campione analizzato e questo è considerato particolarmente preoccupante, così come il numero di rilevazioni del pendimetalin e del prosulfocarb. Nella maggior parte dei campioni sono stati rinvenuti vari cocktail di pesticidi, in un caso addirittura 36 diverse sostanze tossiche. Anche se le zone più intensamente coltivate sono state, ovviamente, quelle dove sono stati trovati più pesticidi, il tipo di destinazione del terreno non sembra avere una grande importanza, perché la diffusione è ubiquitaria, a riprova della dispersione per via aerea.
In tutti i campioni di aria prelevati in Germania è presente almeno una sostanza, il glifosato, e spesso sono stati trovati cocktail di pesticidi diversi
L’iniziativa dei cittadini europei Salviamo le api e gli agricoltori – cui aderiscono i committenti dello studio – chiede all’Europa di rinunciare al 100% dei pesticidi entro il 2035. La stessa Unione Europea, nell’ambito della strategia Farm to Fork, indica l’obiettivo della riduzione del 50% entro il 2030. Partire da una conoscenza approfondita delle caratteristiche dei pesticidi che si disperdono nell’atmosfera, e prendere decisioni in base a informazioni corrette, hanno commentato gli autori, sarebbe di certo un buon modo per dimostrare se e quanto tale volontà sia reale. E nel frattempo – hanno aggiunto – dire no al rinnovo del glifosato è doveroso.
Notizie altrettanto preoccupanti sono poi arrivate, negli stessi giorni, anche su un altro insetticida molto utilizzato, il malatione, oggetto di uno studio condotto dai ricercatori dell’Università del Queensland pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health. In questo caso gli autori hanno utilizzato i dati relativi alla salute di quasi 42 mila americani che hanno preso parte allo studio di popolazione NHANES, per il periodo compreso tra il 2001 e il 2010. I ricercatori hanno così visto che chi aveva i livelli più elevati di malatione nell’organismo era anche chi aveva maggiori probabilità di avere una malattia renale: il rischio, nelle fasce più elevate, era superiore del 25% rispetto a quello di chi ne aveva meno. La stessa associazione non è stata dimostrata per il 2,4 D, altra sostanza sotto accusa per vari effetti negativi sulla salute ma, evidentemente, non così dannosa sui reni.
Non è dimostrata l’esistenza di un nesso causale tra i due fenomeni, ma potrebbe esserlo tra qualche mese, perché lo studio è entrato in una nuova fase: i ricercatori stanno infatti controllando lo stato di salute di un gruppo di agricoltori dello Sri Lanka che utilizzano regolarmente il malathion, per verificare eventuali conseguenze in modo diretto.
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