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Nov 27 2021

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TAVOLA CALDA: LA BATTAGLIA CONTRO IL NURI-SCORE UNISCE I PARTITI ITALIANI AL PARLAMENTO EUROPEO

Gli eurodeputati del nostro Paese sono tutti concordi nel criticare l’etichetta alimentare introdotta in Francia perché penalizza i prodotti Made in Italy. Propongono una alternativa che metta nella confezione una batteria. La Commissione Ue dovrà decidere entro la fine del 2022

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Sono spesso divisi, ma in questo caso marciano compatti: i partiti italiani in Europa non vogliono il Nutri-Score, il «semaforo alimentare» che potrebbe diventare obbligatorio nell’Unione europea, classificando in maniera negativa molte eccellenze gastronomiche del nostro Paese. Così come accaduto nell’approvazione della Politica agricola comunitaria, gli eurodeputati di schieramenti politici opposti si ritrovano dalla stessa parte del fronte.

Entro la fine del 2022, la Commissione presenterà una proposta legislativa volta a introdurre un’etichetta informativa per i prodotti alimentari, che sia obbligatoria e uniforme su tutto il territorio dell’Ue. L’etichettatura front-of-pack è necessaria secondo Bruxelles per dare al consumatore un’informazione più sintetica di quella fornita dalla lista degli ingredienti e dai valori nutrizionali, già obbligatori per i cibi confezionati secondo il Regolamento 1169 del 2011

Prima della proposta, sarà pubblicato uno studio d’impatto, seguito probabilmente da una consultazione pubblica: al momento i funzionari della Commissione stanno vagliando diverse tipologie di «etichetta semplificata», tra cui quelle attualmente utilizzate in alcuni Stati dell’Ue, per il momento in maniera facoltativa. Il modello più diffuso si chiama Nutri-Score e compare sugli scaffali dei negozi in Francia, Belgio, Germania e Lussemburgo, mentre i Paesi Bassi lo introdurranno a breve. 

In questa etichetta, nata nel 2017, una scala di cinque colori indica la qualità nutrizionale complessiva di un determinato alimento. Con la lettera A, in verde scuro, sono contrassegnati i prodotti alimentari con il miglior equilibrio nutritivo, che peggiora scendendo la graduatoria: B (verde chiaro), C (giallo), D (arancione) E (rosso). A calcolare l’apporto ottimale delle sostanze nutrienti è un algoritmo che considera in maniera negativa alcuni elementi (calorie, zuccheri, grassi saturi, sale) e in maniera positiva altri (proteine, fibre, quantità di frutta e verdure).

Una valutazione spesso fuorviante, secondo Paolo Di Stefano, rappresentante delle relazioni internazionali della Coldiretti. La confederazione degli agricoltori in Italia sta conducendo una campagna contro il Nutri-Score, perché questo sistema penalizzerebbe ingiustamente la filiera italiana.

«Tutte le nostre eccellenze sarebbero etichettate dalla D in giù. Formaggi e prosciutti, ad esempio, contengono elevate quantità di grasso e sale, ma sono alimenti di per sé sani: dipende sempre dalla quantità che se ne mangia». In effetti, cibi genuini ma molto grassi come il Prosciutto crudo di Parma o il Parmigiano Reggiano rientrano nelle fasce basse del «semaforo alimentare», mentre prodotti molto lavorati o con lunghe liste di ingredienti ottengono una classificazione migliore grazie al «bilanciamento» dei nutrienti. 

Secondo Di Stefano i criteri di questa etichettatura sono particolarmente limitati, visto che non includono le proprietà degli alimenti: «l’olio d’oliva finirebbe nella stessa fascia di quello di colza, quando invece è notoriamente molto più salutare». Il Nutri-Score, inoltre, considera nella sua valutazione sempre la quantità di 100 grammi o millilitri di prodotto, a prescindere dal fatto che molti alimenti (come, appunto, l’olio) vengono di solito impiegati in dosi molto inferiori. Il ragionamento vale anche al contrario: «Nei supermercati belgi ci sono piatti pronti marchiati con la B, ma la monoporzione è di molto superiore ai 100 grammi. Quindi chi li consuma assume quantità di nutrienti diverse da quelle conteggiate nell’etichetta».

Un altro aspetto discutibile è il fatto che il Nutri-Score non tenga conto di eventuali additivi chimici, coloranti o conservanti nei cibi: ciò che non è considerato nutriente non influisce nella classificazione, nemmeno in negativo. «Il paradosso è che i nostri salumi naturali vanno in rosso o arancione, mentre il prosciutto cotto sgrassato con l’utilizzo di chissà quali sostanze rientra nella categoria A o B», spiega Di Stefano. «Non viene preso in considerazione il grado di trasformazione del cibo, che è un aspetto fondamentale per giudicarne l’impatto sulla salute». 

L’introduzione di un sistema simile porterebbe inevitabilmente parte dei consumatori a prediligere acquisti di tipo A e B, tendenza rafforzata dal fatto che i supermercati, nei Paesi dove il Nutri-Score è già attivo, propongono in alcuni casi sconti e promozioni per queste categorie. «L’utilizzo del colore rosso è di per sé allarmante: non si tratta più di un’etichetta informativa, ma di uno strumento in grado di condizionare la scelta», afferma il rappresentante di Coldiretti.

Una valida alternativa, dal suo punto di vista, è il Nutrinform Battery, lo schema di etichettatura frontale adottato in Italia. In questo caso non ci sono colori, ma gli elementi nutrizionali presenti nell’alimento «riempiono» la batteria rispettiva, in base alla percentuale della dose giornaliera raccomandata che rappresentano. 

Per Di Stefano, solo così si «traduce davvero la dichiarazione nutrizionale» di ogni prodotto. Per leggere il Nutrinform, ammette, serve comunque qualche secondo in più rispetto alla reazione immediata generata dal Nutri-Score, ma l’informazione apportata è sicuramente più corretta. 

Una campagna trasversale

«Il Nutri-Score penalizzerebbe cibi sani e naturali, che da secoli sono sulle tavole degli italiani, a favore di prodotti artificiali», dice a Linkiesta Silvia Sardone, eurodeputata della Lega e coordinatrice del partito nella commissione parlamentare per l’Ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare. «Alimenti pessimi hanno una classificazione migliore rispetto a prodotti di qualità: non ha senso assegnare un bollino così».

Sardone vede il «semaforo alimentare» come un tassello di una più ampia strategia comunitaria, emersa anche dal programma Farm to Fork della Commissione, tesa a contrastare il consumo di carne animale e, più in generale, a «danneggiare il Made in Italy».

Secondo la deputata, a spingere per la classificazione a colori sono «chiari interessi economici di multinazionali»: i grandi gruppi dell’agroalimentare, soprattutto francesi, accoglierebbero con favore un Nutri-Score europeo, perché generalmente favorevole ai loro alimenti trasformati e ben accetto alla grande distribuzione transalpina. Una visione piuttosto condivisa da parte dei colleghi italiani di altri schieramenti politici: Alessandra Moretti del Partito democratico parla ad esempio di «pressione delle lobby mondiali dell’industria dei prodotti alimentari confezionati», in relazione a questa etichetta. 

«Con il Nutriscore si rischia una inutile crisi geopolitica interna all’Unione europea che risponde a dinamiche commerciali e non salutari, come si vuole far credere», spiega Pietro Paganini, presidente del think tank Competere.Eu, tra i pochi in Europa a promuovere un dibattito scientifico sulla nutrizione sostenibille: «Sfruttando una simbologia semplice, il Nutriscore impone ai consumatori una dieta decontestualizzata dalle caratteristiche individuali di ciascuno. Scientificamente è un sistema debole che non risolve i problemi legati alla salute o all’eccessivo consumo di determinati nutrienti. Meglio il Nutrinform o sistema a batteria proposto dall’Italia, che invece fornisce informazioni reali al consumatore aiutandolo a ragionare su ciò che ingerisce».

Chi tifa per il Nutri-Score

Al «semaforo alimentare» non mancano comunque i sostenitori palesi. Sette Paesi europei si sono impegnati a creare un meccanismo di cooperazione transnazionale per facilitarne l’utilizzo: oltre a Francia, Germania, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi ci sono la Svizzera e la Spagna, dove il Nutri-Score è protagonista di un curioso confronto interno alla coalizione di governo: è promosso dal ministro dell’Alimentazione Alberto Garzón (del partito Unidas Podemos) e avversato da quello dell’Agricoltura di Luis Planas (Psoe), che lo reputa «dannoso per la dieta mediterranea». Anche l’Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro ha espresso il proprio parere favorevole sull’adozione a livello comunitario, per combattere i tumori causati dall’alimentazione.

Un altro endorsement importante arriva dall’Organizzazione dei consumatori europei (Beuc), che lo raccomanda perché «si è rivelato il sistema migliore nell’aiutare i consumatori a confrontare la qualità nutrizionale degli alimenti». L’etichetta colorata è efficace perché favorisce una scelta consapevole in un lasso molto ridotto di tempo, spiega a Linkiesta Camille Perrin, incaricata della politica alimentare nell’organizzazione. «Informazioni complicate disponibili in caratteri minuscoli sul retro di una confezione vengono trasformate in un semplice punteggio complessivo, visibile a colpo d’occhio».

Secondo la Beuc, molte delle critiche mosse al Nutri-Score sono in realtà miti da sfatare. Ad esempio, non sono le patatine fritte ad avere un A, ma le patate crude tagliate a fette e acquistate al supermercato: l’aggiunta di olio e sale e il tipo di frittura modifica poi inevitabilmente i valori nutrizionali del prodotto originario. Altri paradossi, come quello della Diet Coke più verde dell’olio d’oliva (B contro C) nascerebbero da paragoni privi di senso, perché il Nutri-Score è utilizzato dal consumatore per comparare alimenti tendenzialmente intercambiabili nella composizione di un pasto: «Preparereste un’insalata con la Coca-Cola? Probabilmente no», la risposta di Perrin. Pur ammettendo che nessuna etichetta è perfetta, ritiene che quella a semaforo sia la più auspicabile tra tutte quelle ipotizzate al momento, soprattutto se sarà soggetta a regolare revisione scientifica.

Ribaltata anche l’accusa sulla dieta mediterranea: il Nutri-Score favorirebbe quella «vera», ricca di legumi, verdura e cereali e povera di carne rossa ed elementi grassi (eccetto l’olio d’oliva). «Gli europei mangiano troppe calorie, troppi zuccheri e grassi, ma non abbastanza cereali integrali, frutta e verdura, legumi e noci: proprio gli elementi che il Nutri-Score valorizza». 

Sulla questione delle dosi da analizzare, poi, la visione dell’organizzazione è diametralmente opposta a quella di Coldiretti: è giusto tenere in considerazione una quantità standard, perché altrimenti ciò penalizzerebbe prodotti più sani, ma imballati in confezioni più grandi, rispetto a piccoli tubetti di maionese o tavolette di cioccolato. Secondo uno studio del 2018 citato dall’organizzazione, con questo sistema i cittadini sono invece indotti a consumare quantità più ridotte di quei cibi che recano l’etichetta D o E.

Su un punto, però, i rappresentanti dei consumatori europei e degli agricoltori italiani concordano: nessun sistema di etichettatura può sostituire un processo di educazione alimentare, che dovrebbe partire dalle scuole per Paolo Di Stefano e che va basato sui consigli dietetici da professionisti competenti secondo Camille Perrin. Capire cosa è meglio mangiare e in quali quantità aiuta molto nella lotta ai problemi legati al sovrappeso, che nell’Ue colpisce la metà della popolazione.  

Tutte considerazioni che la Commissione dovrà affrontare al momento di proporre un sistema di etichettatura unico per 27 Paesi con differenze alimentari anche molto significative: questa proposta passerà poi nelle mani degli Stati membri in Consiglio e dei partiti del Parlamento che, inevitabilmente, vorranno modificarla secondo i propri interessi. Intorno alla tavola delle trattative, sarà difficile mettere tutti d’accordo.  Fonte: Linkiesta, Europea, Vincenzo Genovese, 27.11.2021

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