Il tempo in cui bastava cucinare bene per avere successo con un ristorante è ormai lontano. Spesso la comunicazione conta quanto e più delle ricette e c’è chi pensa che determini il fatturato finale di un locale. È davvero così?
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«Uno chef che resta nella sua cucina e che non è instagrammabile, non è nulla, non è più in gara. Il ristorante non può vivere senza comunicazione. Siamo talmente in tanti…», riassume Christian Le Squer, chef del Cinq al George V di Parigi, in un’intervista ad AFP. Quanto la comunicazione è indispensabile per un professionista della ristorazione è evidente, anche se forse Le Squer esagera. Ma di sicuro il tempo in cui bastava cucinare bene e farsi consigliare dai clienti abituali per raggiungerne altri, con quel grande strumento di comunicazione che era il passaparola, è finito. Oggi per fare questo lavoro occorre anche una competenza importante e strategica, e una capacità di stare al passo coi nuovi strumenti di cui in tanti – forse – farebbero a meno. Ma andiamo con ordine, e partiamo dal sito. Se la maggior parte delle ricerche avviene online, un ristorante senza sito non è più immaginabile.
O sì? Perché ormai in molti hanno deciso di non avere il sito ma optano solo per una presenza sui social network, lasciando a Mark e ai suoi algoritmi le chiavi della loro identità digitale. Del resto, ormai è lì che di va a cercare il locale dove passare la serata: tra le stories di Instagram e le pieghe di facebook. E spesso – soprattutto per i più giovani – la seduzione e la scelta passano dal wall di un ristorante piuttosto che da una stella Michelin. Per Philippe Moreau Chevrolet, amministratore delegato di MCBG Conseil che affianca i migliori chef nella loro strategia di comunicazione, per esempio, anche i grandissimi devono stare al passo, e se non lo fanno rischiano di essere dimenticati. Ducasse è “l’uomo dei grandi concetti” ma “gli mancava una storia. I clienti vanno ancora in un grande ristorante per le 3 stelle e per il menu e i piatti o perché Bella Hadid si fa i selfie in cucina?”, si chiede. “Prima sceglievamo uno chef attraverso i suoi riconoscimenti: se eri Meilleur Ouvrier de France, avevi un futuro assicurato. Adesso lo scegliamo attraverso la TV”, sottolinea ancora lo chef Christian Le Squer.
Succede così anche in Italia? Considerando la lista d’attesa per avere un tavolo da Bottura, forse sì. Ma dialogare con i propri follower e essere in grado di entrare in empatia non è così facile, e spesso gli chef nostrani si affidano ad agenzie che rischiano di uniformare la narrazione, dando spazio in maniera assolutamente identica alla stessa narrazione di territorio, sostenibilità, squadra e eccellenza. Appiattendo così le identità e rischiando di non arrivare a nessun obiettivo soddisfacente. Di sicuro, per tenere testa a questa nuova necessità, la professionalità di uno chef – da sola – non basta più. Entrano in campo i fotografi, che devono essere in grado di trasmettere il gusto e l’appetibilità attraverso i loro scatti, ma anche i social media manager, che devono saperne di orari di pubblicazione, di strategia digitale, di copy azzeccati e di adesione a campagne e hashtag. Da qui a diventare influencer è un passo, spesso molto pericoloso se non gestito con competenza. Ma se pensate che la comunicazione di un locale si fermi alla pagina social, non avete mai letto Tripadvisor. È lì che spesso si piangono lacrime amare per recensioni insulse e critiche di leoni da tastiera, ed è lì che si gioca la credibilità e si gettano al vento le energie residue dopo i servizi. Moderare le risposte, per moltissimi professionisti della ristorazione, è una questione di principio e anche un’ottima opportunità di marketing. Si risponde al mondo intero mentre si dice a Camillina63 che il saluto non cordiale che ha ravvisato durante la sua ultima visita era dovuto al suo malumore nell’accogliere il conto. Farlo con abilità, sagacia e ironia è determinante, ma non facile se nel frattempo si sta facendo la spesa alla Metro, si sta gestendo un lavapiatti che non si vuole vaccinare o si cerca di far quadrare i conti di un sabato con troppe prenotazioni e non abbastanza tavoli.
E vogliamo forse dimenticare il delivery? La manna dal cielo che ha salvato dalla chiusura una serie infinita di locali è – nel periodo di normale apertura – una grana da gestire. Perché non si può scontentare il cliente che ci ha protetti dalla rovina, e che vuole ancora la costoletta alla milanese da mangiare sul divano di casa, ma allo stesso tempo non si ha più tutta quell’energia e quel tempo che si avevano durante i mesi più duri del lockdown. Serve attenzione anche qui, servono le foto accattivanti, serve una gestione oculata delle risorse, per non trovarsi in overbooking di ordini d’asporto e di clienti in sala. Serve un dialogo costante con le tante piattaforme, ciascuna da gestire con un device, dei criteri e delle logiche differenti, ma tutte ugualmente desiderose di risorse, contenuti, immagini e parole. Aprire il capitolo stampa rivela una nuova necessità: serve qualcuno in grado di dialogare con i giornalisti, qualcuno che sia in grado di promuovere il nostro locale e che faccia diventare lo chef una celebrità anche sui giornali, on o off line che siano. Serve una cartella stampa, servono immagini accattivanti. Che poi tutto questo si traduca in clienti paganti e ristoranti coi conti in ordine, è tutto un altro film. Fonte: Linkiesta, Gastronomika, Anna Prandoni, 05.11.2021