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Nov 03 2021

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QUELLO CHE PROVANO GLI ALBERI: GLI ANELLI ANNUALI COME SENTINELLE DEI CAMBIAMENTI AMBIENTALI

Diversi studi dimostrano come gli anelli annuali degli alberi rivelino informazioni preziose riguardo alla storia degli eventi inquinanti di un luogo.

Gli anelli degli alberi rivelano molto sulla storia dell’ambiente © Unsplash

Tutti abbiamo provato a misurare l’età di un albero contando gli anelli annuali visibili sulla superficie del suo ceppo. È uno dei pochi segreti della foresta che conosciamo fin da bambini. Eppure, centinaia di scienziati in tutto il mondo si occupando ancora oggi degli anelli di accrescimento degli alberi: uno straordinario “archivio biologico” che ci può raccontare il passato, il presente e il futuro della foresta, in modi che la scienza sta rivelando sempre più complessi e accurati.

Durante la stagione di crescita (nei nostri climi, in primavera e in estate), ogni albero forma uno strato di legno distinto da quello dell’anno precedente. Il colore scuro che “chiude” ogni anello corrisponde alla fine del periodo vegetativo, quando le cellule di legno prodotte dalla pianta hanno pareti spesse e indurite. Ad ogni anno, quindi, corrisponde un anello di accrescimento: una corrispondenza che è alla base della dendrocronologia, una scienza che si occupa specificamente di studiare gli anelli di accrescimento annuali e le loro proprietà.

La dendrocronologia studia gli anelli di accrescimento annuali e le loro proprietà © Ingimage

Le caratteristiche di ciascun anello di accrescimento, come l’ampiezza e la composizione chimica, contengono infatti informazioni sulla relazione tra l’albero e l’ambiente in cui è cresciuto: una storia che può essere ricostruita con estrema accuratezza, perché riferibile con precisione all’anno in cui ogni anello si è formato. La crescita degli alberi infatti è influenzata da numerosi fattori ambientali, come le piogge, le siccità e le temperature. Se la pianta attraversa un anno “difficile” la fotosintesi si svolgerà con fatica, e si formerà un anello molto sottile. Al contrario, condizioni favorevoli (come temperature miti e piogge abbondanti), determineranno anelli molto ampi.

Accade così che alberi appartenenti alla stessa specie, cresciuti nello stesso ambiente e nello stesso periodo di tempo, abbiano serie di anelli annuali del tutto simili tra loro, sovrapponibili come codici a barre appartenenti alla stessa scatola di biscotti.

Gli anelli danno informazioni sulla relazione tra l’albero e l’ambiente circostante © Giorgio Vacchiano

Il primo a intuire l’esistenza di un rapporto tra lo spessore degli anelli e l’ambiente di crescita degli alberi che li formano fu Leonardo da Vinci: nel suo Trattato della pittura scriveva che “Li circuli delli rami degli alberi segati mostrano il numero delli suoi anni, e quali furono più umidi o più secchi la maggiore o minore loro grossezza”. Tuttavia, la dendrocronologia come scienza nacque all’inizio del ventesimo grazie al lavoro dell’astronomo Andrew E. Douglass, che verificò questa relazione in modo scientificamente rigoroso. In seguito, la relazione tra clima e ampiezza anulare è stata utilizzata dagli scienziati di tutto il mondo per ricostruire la temperatura e le piogge del passato, spingendosi indietro nel tempo di diversi secoli o millenni. Queste serie di dati annuali si sono rivelate fondamentali nel portare alla luce l’intensità dei cambiamenti climatici che il nostro Pianeta sta attraversando.

Ma la dendrocronologia ha recentemente trovato molte altre applicazioni, grazie a nuove tecnologie che ci aiutano a rispondere a domande di grande interesse sia a scala locale sia a scala globale.

Dendrocronologia e genetica: le sentinelle del deperimento delle foreste

I cambiamenti climatici a cui stiamo assistendo hanno profondi impatti sulla struttura e sulla funzione delle foreste, e rischiano di compromettere i benefici che queste offrono alla società. Aumentano gli episodi di deperimento delle foreste, soprattutto quelle più soggette a catastrofi naturali o alla pressione dell’uomo, come osservato di recente nelle aree di pianura fortemente antropizzate. Per conservare al meglio le foreste diventa dunque cruciale monitorare i fenomeni di deperimento e comprenderne le cause scatenanti e meccanismi coinvolti. Anche in questo caso lo studio degli anelli di accrescimento annuali può essere d’aiuto. Spesso, ben prima che siano visibili altri segnali eloquenti come lo scolorimento, il seccume o la caduta delle foglie, lo stress fisiologico patito da un albero si traduce in una riduzione della quantità di legno prodotto annualmente, quindi in anelli di accrescimento via via sempre più piccoli. Di conseguenza, prelevando un campione degli anelli di accrescimento di una pianta e analizzando e la loro ampiezza è possibile individuare precocemente alberi in fase di deperimento.

Ma c’è di più: si osserva spesso che piante deperienti convivono con piante della stessa specie in buono stato di salute, a parità di condizioni ambientali. Deve quindi esistere, in alcuni alberi, una capacità innata di contrapporsi e reagire agli eventi sfavorevoli, verosimilmente legate al patrimonio genetico individuale. L’analisi congiunta di dati dendrocronologici e genetici sta generando un grande interesse nella ricerca scientifica, perché permette di associare diverse varianti dello stesso gene a differenti risposte fisiologiche agli stress ambientali (dendrofenotipi), individuando varietà di alberi in grado di adattarsi meglio di altri ai cambiamenti climatici in corso. Quando piante vicine, che condividono lo stesso micro-ambiente, mostrano comportamenti di crescita e fenomeni di deperimento molto diversi tra loro, questa differenza potrebbe essere dovuta proprio al loro patrimonio genetico. Comprendendo questi meccanismi potremo “aiutare” le piante che sanno contrastare meglio il deperimento a diffondere i loro geni in modo più rapido e capillare nella foresta in cui abitano.

Alcune piante deperienti convivono con piante della stessa specie in buono stato di salute © Paola Nola

È su questi principi che si basa il progetto ResQ, recentemente avviato dall’Università di Pavia, insieme al Cnr, all’Università della Basilicata, e ai Parchi delle Groane e della Valle del Ticino, sul deperimento della quercia nella Pianura Padana. La ricerca ha l’obiettivo di individuare le combinazioni di geni più adatte a contrastare il deperimento e a permettere una migliore conservazione dei querceti di pianura, formazioni forestali rare e fortemente vulnerabili ai cambiamenti climatici in atto. Al termine del progetto, nel 2023, si comprenderà se esistono e quali sono le basi genetiche del deperimento della quercia. Le informazioni raccolte saranno utili per capire come usare i genotipi più resistenti per “rinvigorire” le foreste più soggette a deperimento. Inoltre, sarà pubblicata sul web una banca dati di alberi geo-taggati da cui raccogliere semi resistenti alla siccità, da utilizzare in interventi di selvicoltura o riforestazione. Questo studio potrà anche fare da modello per capire come studiare la resistenza al deperimento in altre specie e contesti forestali, per fornire a chi gestisce i nostri boschi uno strumento all’avanguardia basato su genetica e dendrocronologia.

La dendrochimica: alberi e inquinamento

Gli alberi non solo solamente esposti alle piogge e alle temperature del luogo in cui vivono, ma anche all’inquinamento atmosferico. Le sostanze inquinanti possono infatti essere assorbite attraverso le radici, le foglie e le cortecce, e da qui vengono trasportate nel legno. Questo significa che analizzando la composizione chimica degli anelli di accrescimento è possibile ricostruire, attraverso la dendrochimica, la storia degli eventi inquinanti di un luogo specifico, e in particolare di aree urbane e industriali. Gli alberi infatti possono raccontare molto fedelmente la storia degli eventi inquinanti fino a una distanza di un chilometro dalle loro fonti! Di conseguenza, l’approccio di studio della dendrochimica in aree industriali, dove sono presenti molte attività, richiede la raccolta di piante di diverse specie e a diversa distanza dalle potenziali sorgenti inquinanti, così da poter discriminare l’impatto delle singole sorgenti.

La dendrochimica usa le basi conoscitive della dendrocronologia per la datazione degli anelli legnosi e le tecniche chimiche per la caratterizzazione degli elementi che li compongono. Uno studio recente guidato dall’Università di Firenze, ad esempio, ha dimostrato che alberi cresciuti vicino un cementificio contenevano in alcuni anelli annuali elementi inquinanti come il cesio, il magnesio, il manganese, lo zolfo e lo zinco. Questi elementi sono stati trovati negli anelli formati a partire dall’anno 2005, cioè da quando l’impianto industriale aveva iniziato a utilizzare combustibile ottenuto da rifiuti, una scelta particolarmente preoccupante per l’impatto inquinante che può generare.

Gli alberi come sentinelle dei cambiamenti climatici © David Vig/Unsplash

Monitorare l’ambiente grazie agli isotopi

Gli anelli annuali non sono che uno dei molti “archivi biologici” che gli alberi ci mettono a disposizione per comprendere le dinamiche delle foreste e del loro ambiente. Un recente studio coordinato dall’Istituto svizzero per le foreste, la neve e il paesaggio ha confrontato tutti gli indicatori per comprendere la vitalità e lo stato di salute delle foreste: dalla trasparenza delle chiome, all’incremento legnoso di un singolo albero e di una foresta intera, dal tasso di mortalità annuale rilevato con inventari forestali alle tecniche di telerilevamento. Ma gli anelli contengono un altro indicatore estremamente affidabile, che ha a che fare con la struttura più intima della materia. In natura, accade che atomi di uno stesso elemento chimico differiscano leggermente tra loro per il numero di neutroni contenuti nel loro nucleo: si parla in questo caso di isotopi. Le proporzioni dei diversi isotopi carbonio, ossigeno, azoto contenute nell’atmosfera, nel suolo, nella vegetazione e nelle acque sono potenti indicatori di variazioni ambientali di origine naturale o, più spesso, antropica. L’analisi degli isotopi, in particolare di quelli stabili, è una tecnica molto diffusa in diverse discipline bio-ambientali come la geologia, l’archeologia, le attività forensi e naturalmente le scienze forestali. Infatti, misurando il rapporto tra le quantità dei diversi isotopi di uno stesso elemento presente nel legno degli alberi e posizionandoli all’esatto anno a cui si riferiscono grazie alla datazione degli anelli di accrescimento, è possibile comprendere le risposte delle piante agli stress ambientali che hanno subito nel tempo.

L’analisi simultanea di isotopi di più elementi, come gli isotopi del carbonio e dell’ossigeno, permette di misurare l’efficienza d’uso dell’acqua, cioè la quantità d’acqua consumata per assimilare una unità di carbonio atmosferico. Queste analisi forniscono un indicatore importantissimo per comprendere la vulnerabilità di un popolamento forestale alla siccità e la sua capacità di resistenza e resilienza allo stress idrico. In combinazione con la dendroanatomia, cioè l’analisi del numero e delle dimensioni delle singole cellule che compongono gli anelli legnosi, recenti studi hanno dimostrato che molte specie forestali sono in grado di aumentare la propria efficienza d’uso dell’acqua in risposta alle siccità, come strategia di sopravvivenza a medio e lungo termine.

Anelli legnosi annuali in un albero di tiglio © Wikimedia

Conclusioni

Gli alberi sono fondamentali per mitigare i cambiamenti climatici, per produrre materiale rinnovabile a basso impatto ambientale, per mantenere la biodiversità e per migliorare le condizioni ambientali delle nostre città. Ma sono anche una preziosa fonte di informazioni che permette agli scienziati di ottenere le risposte necessarie ad affrontare alcune delle sfide più urgenti della nostra società: la lotta all’inquinamento, la mitigazione dei cambiamenti climatici e la conservazione dello stato di salute delle foreste. Grazie a tecnologie di frontiera e all’integrazione con diverse discipline, la dendrocronologia dopo più di un secolo di esistenza continua ad essere uno straordinario strumento per la scienza.

Il prossimo passo sarà raccogliere nuovi risultati dai diversi ecosistemi di cui l’Italia è ricca, dalla macchia mediterranea alle aree alpine, dalle foreste vetuste ai territori antropizzati, dalle aree urbane a quelle industriali. Non meno importante sarà l’educazione e la formazione ambientale, dove la potenzialità di studiare gli anelli può essere indirizzata a raccontare il valore inestimabile degli alberi come formidabili archivi biologici. Dal punto di vista scientifico, la grande sfida è usare tutte le informazioni che gli anelli custodiscono sulla crescita annuale degli alberi per separare gli effetti che su di essa esercitano genetica, clima, eventi estremi e cambiamenti del paesaggio. Quando conosceremo e quantificheremo il contributo specifico di questi, potremo finalmente sviluppare approcci gestionali opportunamente informati per i nostri boschi, senza rischiare di affrontare le sfide più urgenti con armi spuntate.  Fonte: LifeGATE, Sisef e Giorgio Vacchiano, 02.11.2021 (con il contributo di Giovanna Battipaglia, Daniele Castagneri, Claudia Cocozza, Paola Nola, Andrea Piotti, Giorgio Vacchiano)

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