Una miglior tenuta e la riduzione dei costi si aggiungono al recupero delle plastrche, ma mancano dati storici sulla resistenza
Cosa hanno in comune una strada nel Nord di Londra, una piazza di Bangalore e una via di Vercelli? Sono tutte e tre pavimentate con asfalti speciali che contengono plastica di scarto, impossibile da riciclare altrimenti.
L’idea di integrare nelle pavimentazioni stradali una parte dell’enorme massa di plastica che buttiamo via si sta diffondendo nel mondo, man mano che il problema dell’inquinamento da plastica diventa più acuto.
L’India la pratica già da un ventennio e ha pavimentato oltre 100mila chilometri di strade con asfalti di questo tipo, partendo proprio dalla città di Bangalore, pioniera di questa tecnologia elaborata in cooperazione fra la municipalizzata e l’università locale. Bangalore ha pavimentato così 3.000 chilometri di strade, utilizzando 15.000 tonnellate di rifiuti di plastica, in una proporzione dell’8% del bitume.
Da queste prime prove sono emersi tutti i vantaggi del mix di bitume e plastica, tra cui una migliore tenuta nel tempo e una riduzione dei costi di manutenzione. La tecnologia si sta diffondendo in diversi Paesi – tra cui Sud Africa, Australia, Vietnam, Messico, Filippine e Stati Uniti – e guadagna terreno anche in Europa.
Da Bangalore a Venezia
In Italia, Mapei ha già usato polimeri termoplastici nella pavimentazione di diversi aeroporti, fra cui il Marco Polo di Venezia, e ha appena siglato un accordo con Iren per allargarne l’utilizzo. I test congiunti, realizzati anche con il supporto del Laboratorio Stradale del Politecnico di Milano proprio a partire da Vercelli, hanno consentito di individuare le formulazioni che, grazie all’utilizzo di questi additivi, portano alla realizzazione di asfalti più sostenibili e duraturi, adatti a strade, autostrade, aree industriali e commerciali.
«I conglomerati bituminosi additivati con questi tecnopolimeri conferiscono alle pavimentazioni, a parità di spessore, un aumento significativo della vita utile, con conseguente riduzione dei costi di manutenzione e una resistenza alla deformazione permanente dovuta al carico d’esercizio», spiega Mapei.
Dai test emerge anche un aumento della resistenza alle escursioni termiche e ai raggi ultravioletti, che riduce l’apertura di buche nelle strade e di coneguenza i rischi, in particolare per moto e bici.
Il riciclo della plastica
Un numero crescente di studi ha dimostrato che le strade realizzate con questo tipo di asfalti hanno il potenziale per funzionare meglio delle strade tradizionali e anche per recuperare una quantità considerevole di plastica, evitandone la dispersione sul territorio. In particolare nei Paesi in via di sviluppo, dove la raccolta differenziata è ancora una chimera e la plastica finisce in gran parte nei fiumi e in mare, utilizzarla per asfaltare le strade potrebbe fare molto.
«Dobbiamo essere realistici nel modo in cui cerchiamo di porre rimedio al vasto problema dell’inquinamento da plastica», ha dichiarato Doug Woodring, il fondatore di Ocean Recovery Alliance, una Ong che combatte l’inquinamento da plastica degli oceani.
«Riciclare la plastica è costoso e complicato. Se si potesse darle un valore trasformandola in reti da pesca, in carburante o in materiale per le pavimentazioni e per le costruzioni non verrebbe dispersa sul terrivorio, non verrabbe bruciata e non finirebbe nell’oceano», ritiene Woodring.
Rischio di microplastica?
Michael Burrow, un ingegnere dell’Università di Birmingham autore di uno studio globale su questa tecnologia, sostiene che «l’uso di plastica di scarto nella costruzione di strade aiuta a migliorare sostanzialmente la stabilità, la resistenza, la durata e altre proprietà utili delle miscele bituminose, portando a una migliore longevità e migliori prestazioni della pavimentazione».
Sulla stessa linea sono molti suoi colleghi. «Il bello delle strade è che ce ne sono tantissime», sostiene Greg White, autore di una recente ricerca sul tema del dipartimento d’Ingegneria stradale dell’università australiana della Sunshine Coast. Finora quattro società hanno costruito centinaia di chilometri di strade che contengono plastica in Australia.
Quello che manca, avverte White insieme ai suoi colleghi, sono i dati dell’invecchiamento e della resistenza su tempi lunghi, perché nella maggior parte dei Paesi la tecnologia è in uso da meno di dieci anni.
Il modello generale delle diverse aziende attive nel settore è aggiungere i polimeri di scarto al bitume. Normalmente, l’asfalto è composto al 90-95 per cento da aggregati – ghiaia, sabbia o calcare – e al 5-10 per cento da bitume, una miscela derivata dalla raffinazione del greggio che lega insieme gli aggregati. I rifiuti di plastica possono fungere da legante ancora più forte del bitume, ma spesso sostituiscono solo il 5-10% del bitume, anche se alcuni metodi ne utilizzano di più.
Le strade, quindi, contengono molta meno plastica di quanto si creda.
Le prospettive, però, sono incoraggianti. Toby McCartney, cofondatore e ad di MacRebur, sostiene che l’utilizzo di plastica di scarto nella pavimentazione stradale potrebbe assorbire un volume significativo dei rifiuti di plastica. Ogni tonnellata di miscela MacRebur, secondo il sito dell’azienda, contiene l’equivalente di 80.000 bottiglie di plastica. “Se tutte le strade contenessero plastica, potremmo usare circa il 40 per cento dei rifiuti di plastica prodotti dalle città”, precisa McCartney.
Resta da chiedersi: non ci sono controindicazioni ambientali a imbottire le strade di plastica? Una preoccupazione è che il riscaldamento della plastica per la produzione dell’asfalto possa generare emissioni di CO2 o inquinanti, annullando così i vantaggi derivanti dal taglio dei consumi di bitume.
La lavorazione dell’asfalto a base di petrolio è responsabile di considerevoli emissioni di gas serra ogni anno. McCartney sostiene, però, che per ogni tonnellata di bitume risparmiato si taglia una tonnellata di emissioni di CO2 e che il riscaldamento della plastica è ben all’interno dei limiti di sicurezza per le emissioni.
Un’altra preoccupazione è che le strade costruite con componenti di plastica producano microplastiche.
In generale, i fautori di questa tecnologia non lo considerano un pericolo, perché il materiale stradale è relativamente inerte. La principale origine delle microplastiche nel mondo, invece, è l’abrasione degli pneumatici sul manto stradale.Il vantaggio di riutilizzare un derivato dal petrolio come la plastica al posto di produrne uno nuovo, come il bitume, è comunque evidente: si tratta di un’applicazione da manuale delle regole di base dell’economia circolare.
E considerando che da qui al 2050 si va verso una produzione triplicata di plastica nel mondo, con le conseguenti montagne di rifiuti non biodegradabili che ci sommergeranno, annegarli nelle strade sembra un modo ragionevole di riutilizzarli. Fonte: LifeGate, Elena Comelli, 30.04.2021