L’attivista Michael Shellenberger, sostenitore di un ambientalismo positivo, umanistico e razionale, spiega nel suo nuovo libro perché il basso consumo energetico e il biologico non sono la soluzione migliore, ma addirittura peggiore per l’intera biosfera
Sono un attivista per l’ambiente da trent’anni e da venti mi occupo di studiare e scrivere su questi temi, tra cui il cambiamento climatico. Me ne occupo perché tengo particolarmente alla mia causa, che non è solo proteggere l’ambiente, ma anche puntare all’obiettivo del benessere globale per tutti. Tengo molto anche a che i fatti riportati e i dati scientifici siano corretti. Ritengo che gli scienziati, i giornalisti e gli attivisti siano tenuti a descrivere i problemi ambientali in modo onesto e accurato, anche se, così facendo, temono di poter ridimensionare il clamore di una notizia o la sua rilevanza presso l’opinione pubblica. Buona parte di ciò che viene raccontato alla gente sull’ambiente, e sul clima, non è corretto, mentre abbiamo un disperato bisogno di sapere come stanno davvero le cose.
Ho deciso di scrivere questo libro perché mi sono stancato di esagerazioni, allarmismi ed estremismi, che sono nemici di un ambientalismo positivo, umanistico e razionale. Ogni singolo fatto, affermazione e ragionamento in questo libro è basato sulle migliori ricerche scientifiche disponibili al momento, ricavato, per esempio, dai documenti del prestigioso Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (ipcc), dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (fao) e di altre istituzioni scientifiche. Il mio obiettivo è difendere la scienza ufficiale dal negazionismo, che sia di destra o di sinistra. In queste pagine cerco di spiegare come e perché tante persone sono arrivate a considerare certi problemi ambientali apocalittici, quando in realtà sono seri ma gestibili, e per quali ragioni proprio chi è più tragico riguardo ai problemi ambientali tende a rifiutare le soluzioni migliori e più ovvie per affrontarli.
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Nei primi mesi del 2020 gli scienziati hanno confutato l’idea che l’aumento dei livelli di diossido di carbonio nell’oceano rendesse i pesci che abitano la barriera corallina indifferenti al pericolo dei predatori. Già tre anni prima, i sette scienziati autori dello studio pubblicato su «Nature» avevano sollevato dubbi riguardo all’allarme lanciato da una biologa marina su «Science» nel 2016. Dopo un’attenta indagine, l’università australiana James Cook ha scoperto che la biologa aveva inventato i dati36. Passando poi alla produzione alimentare, la Food and Agriculture Organization delle Nazioni Unite (fao) afferma che la resa agricola aumenterà in modo significativo anche con un’ampia gamma di scenari relativi al cambiamento climatico37. Attualmente si producono derrate sufficienti per dieci miliardi di persone, con un’eccedenza del 25 per cento, e gli esperti ritengono che la produzione aumenterà ancora, nonostante il cambiamento climatico38. Secondo la fao, la produzione alimentare dipenderà più dall’accesso a macchine agricole, irrigazione e fertilizzanti che dal cambiamento climatico, esattamente com’è accaduto nel secolo scorso. In base alle stime della fao anche gli agricoltori delle regioni attualmente più povere, come l’Africa subsahariana, possono avere un aumento dei raccolti del 40 per cento con le sole migliorie tecnologiche39. L’ipcc ipotizza che entro il 2100 l’economia globale sarà cresciuta da tre a sei volte rispetto a quella attuale, mentre secondo l’economista William Nordhaus, premio Nobel nel 2018, i costi per adattarsi a un forte aumento di temperatura (4 °C) ridurrebbero il prodotto interno lordo solo del 2,9 per cento40. C’è qualcosa tra i dati riportati che vi faccia pensare alla fine del mondo?
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Nei mesi di novembre e dicembre 2019 ho pubblicato due articoli in cui criticavo l’allarmismo climatico e riportavo dati e materiali simili a quelli che ho citato qui. L’ho fatto in parte perché desideravo dare a scienziati e attivisti, compresi coloro che criticavo, la possibilità di rispondere o correggere eventuali errori che avrei potuto inserire nei miei scritti prima di dare alle stampe questo libro. I due articoli hanno avuto un’ampia diffusione e mi sono assicurato che gli esperti e gli attivisti che avevo menzionato li avessero visti. Nessuno mi ha segnalato correzioni. Ho ricevuto invece diverse email da parte sia di scienziati sia di attivisti in cui mi ringraziavano per aver spiegato i fondamenti scientifici di ciò che sostengo.
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L’umanesimo ambientale alla fine avrà la meglio sull’ambientalismo apocalittico, credo, perché la stragrande maggioranza della popolazione mondiale tiene sia alla prosperità economica sia alla natura, perché vuole la natura insieme alla prosperità. Tuttavia non ha ancora le idee chiare su come ottenere entrambe le cose. Infatti, mentre alcuni ambientalisti affermano di lavorare per una prosperità più «verde», i dati provano che un mondo dove prevale il biologico, il basso consumo energetico e l’uso delle energie rinnovabili non sarebbe migliore, ma addirittura peggiore per molti individui e per l’ambiente. L’allarmismo ambientale può benissimo fare parte della vita pubblica, ma non deve per forza avere l’invadenza attuale. Il sistema globale è in via di trasformazione. Ciò comporta nuovi rischi, ma anche nuove opportunità. Le sfide che ci attendono non richiedono il panico. Con attenzione, tenacia e, oserei dire, amore, credo che potremo attenuare gli estremismi e approfondire la comprensione e il rispetto reciproci. Nel corso di questi tentativi, credo che ci avvicineremo all’obiettivo morale trascendente condiviso dalla maggioranza, e forse anche da alcuni ambientalisti che oggi sono su posizioni radicali: natura e prosperità per tutti.
Michael Shellenberger, L’apocalisse può attendere. Errori e falsi allarmi dell’ecologismo radicale, Marsilio Nodi, 2021, pagine 464, euro 20 fonte: Linkiesta, Michael Shellenberger, foto Pixabay, 7.04.2021