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Feb 18 2021

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IL TARTUFO BIANCO DIVENTA ANCHE FRANCESE: CON LA COLTIVAZIONE SI APRE UNA NUOVA ERA

Per la prima volta raccolti in una piantagione al di fuori dell’areale geografico naturale della specie. Un progetto nato da Inrae e Vivai Robin

La Francia apre una nuova strada nella coltivazione del tartufo bianco, il più raro e costoso, che, da oggi, non trova più soltanto la sua collocazione naturale, quasi esclusiva, nel territorio italiano, con zone di eccellenza assoluta, da Alba alle Crete Senesi, da Acqualagna nelle Marche a San Giovanni d’Asso a Montalcino, a San Miniato (Pisa), per citare le più celebri. Adesso un progetto “made in France”, che ha dato un risultato importante dopo nove anni di ricerca congiunta tra il centro di ricerca Inrae ed i Vivai Robin, ha consentito di realizzare Oltralpe le prime piantagioni per la coltivazione del tartufo bianco pregiato, utilizzando piantine preventivamente micorrizate con Tuber Magnatum. La reale persistenza in queste piantagioni è stata verificata dopo tre/otto anni dalla loro realizzazione e, in una di esse, i primi tartufi sono stati raccolti nel 2019, quattro anni e mezzo dopo la messa a dimora delle piantine micorrizate. I risultati scientifici di questo lavoro sono stati pubblicati il 16 febbraio sulla rivista Mycorrhiza. La produzione di corpi fruttiferi di Tuber magnatum in una piantagione al di fuori della sua area di distribuzione naturale, spiega una nota, e è una prima mondiale ed apre la strada allo sviluppo della coltivazione di questo tartufo in Italia, ma anche altrove nel mondo.

Il tartufo bianco pregiato italiano è una star a livello internazionale per molti ristoranti di prestigio. Il suo particolare profumo lo rendeva unico già nel Settecento, quando i principi di Savoia lo usavano nelle loro trattative diplomatiche. Il corpo fruttifero (tartufo) di Tuber magnatum è il risultato della simbiosi tra questo fungo ed alberi come querce, salici, carpini e pioppi. Questo tartufo, la cui produzione annuale è limitata ad alcune decine di tonnellate, si raccoglie naturalmente in Italia, nella penisola balcanica, più raramente in Svizzera e nel sud-est della Francia. I tentativi di coltivazione sono iniziati negli anni ’70 proprio in Italia, dove sono state vendute più di 500.000 piante. La raccolta dei primi tartufi è avvenuta 15/20 anni dopo la realizzazione delle piantagioni, ma solo in una decina di esse, tutte situate in zone nelle quali questo tartufo si trova naturalmente. Non è stato pertanto possibile discriminare tra la produzione di tartufi avvenuta in queste piantagioni in seguito alla messa a dimora delle piantine micorrizate e quella dovuta al tartufo naturalmente presente in queste zone.

Dal 2008, il vivaio Robin commercializza piante micorrizate con Tuber magnatum utilizzando il protocollo Inrae/Robin, sotto licenza e controllo dell’Inrae. In un programma di ricerca congiunto sono state studiate cinque piantagioni francesi. Il primo importante risultato ottenuto è stata la dimostrazione della persistenza nel suolo del micelio di Tuber magnatum tre ad otto anni dopo la messa a dimora delle piantine micorrizate in quattro piantagioni, situate in regioni francesi con diversa collocazione geografica e caratterizzate da climi differenti (Rhône-Alpes, Bourgogne Franche Comté e Nouvelle Aquitaine). Il risultato principale di questo lavoro è stata poi la raccolta, nella piantagione della Nouvelle-Aquitaine, di tre tartufi bianchi pregiati nel 2019 e di quattro tartufi bianchi pregiati nel 2020. Si tratta dei primi tartufi bianchi pregiati raccolti in una piantagione situata al di fuori dell’areale geografico naturale di questa specie. Negli ultimi anni la coltivazione del tartufo (principalmente il nero pregiato) ha subito un incremento notevole a livello mondiale. E si sta sviluppando anche in molte regioni d’Italia, permettendo inoltre agli agricoltori di diversificare le colture nel rispetto dell’ambiente. Si tratta infatti di una coltura agro-ecologica che non richiede l’utilizzo di prodotti chimici e che promuove la biodiversità. I risultati di questo studio francese, però, aprono la strada alla coltivazione di Tuber magnatum al di fuori della sua area di distribuzione naturale, a condizione che piante micorrizate di alta qualità vengano messe a dimora in terreni adatti e che venga applicata un’appropriata gestione della piantagione. La notizia è stata accolta con entusiasmo da Joël Giraud, segretario di Stato per gli affari rurali: “in veste di ex-deputato delle Hautes-Alpes e membro del Governo incaricato della difesa dei territori rurali, ci tenevo a complimentarmi per questa prima mondiale. È una perfetta illustrazione della capacità di innovazione delle zone rurali, che il Governo sostiene e incoraggia”.
Ma se le prospettive possono essere interessanti anche per il Belpaese c’è anche chi sollecita a ragionare in ottica futura per quanto riguarda il mercato. L’Italia ne trae vantaggio? Secondo Paolo Valdambrini, presidente dell’Associazione Tartufai Senesi e voce delle Crete Senesi, “quello che ha fatto la Francia è sicuramente di un percorso innovativo ma che ci deve portare a riflettere. I francesi riproducono il tartufo bianco italiano, in Spagna fanno la stessa cosa con il tartufo nero italiano. Il nostro Paese è invece fermo, vincolato dalla troppa burocrazia e dalle leggi. Rischiamo di mandare in malora una eccellenza dei territori. Il caso francese è importante e innovativo, parliamo ancora di pochi tartufi raccolti ma in futuro può esserci il pericolo che il mercato italiano, tutto, sia penalizzato. L’Italia si deve dare una mossa”Fonte: WineNews, 17.02.2021

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