A tracciare un bilancio è il Wwf che ripercorre eventi e dati del 2020
Gli eventi legati al cambiamento climatico, il commercio di animali selvatici collegato con le malattie zoonotiche, deforestazione o incendi, specie verso l’estinzione. A tracciare un bilancio ambientale del 2020 è il Wwf che ripercorre eventi e dati dell’anno che sta per chiudersi, caratterizzato dall’emergenza sanitaria legata al Covid-19 e anche dai suoi impatti sull’ambiente.
Incendi: i koala nella morsa dei mega-fires australiani. Il 2020 si apre con immagini che hanno fatto il giro del mondo, quelle dei koala e dei canguri nella morsa degli incendi che hanno devastato l’Australia. Mentre il primo mese del 2020 viene dichiarato il più caldo mai registrato in 141 anni, l’Australia infatti brucia. Il fronte dei roghi, la portata delle fiamme e la superficie interessata, hanno raggiunto dimensioni da record assoluto: si parla di ‘mega-fires’, incendi con un’estensione superiore ai 40.000 ettari e fiamme incontenibili, associati a condizioni insolitamente calde e secche, conseguenza diretta del cambiamento climatico, che ha innalzato di oltre 1°C la temperatura media della superficie del pianeta. Per quanto la vegetazione di molti ecosistemi forestali abbia la capacità di riprendersi e rigenerarsi dopo gli incendi, l’intensità e la frequenza di questi eventi rischiano di determinare la definitiva scomparsa di molti habitat forestali e delle specie che ospitano. Le fiamme in Australia hanno distrutto più di 19 milioni di ettari, cancellato numerose vite umane e – secondo le stime del Wwf – ucciso più di 3 miliardi di animali.
Marzo 2020: è pandemia. Boomerang della distruzione degli ecosistemi? L’11 marzo l’Oms dichiara ufficialmente l’infezione da nuovo coronavirus Sars-CoV-2 ‘pandemia’. Sulla base di recenti ricerche scientifiche pubblicate in tutto il mondo, il Wwf denuncia come le sempre più frequenti malattie emergenti trasmesse dagli animali all’uomo (tra cui il Covid-19) siano la conseguenza della distruzione degli ecosistemi e della gestione insostenibile della fauna selvatica. Malattie come Sars, Mers, Ebola, Zika, Febbre aviaria, per il Wwf non sono catastrofi casuali ma la conseguenza del nostro impatto sugli ecosistemi naturali. Secondo l’Ipbes (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services) sono 1,7 milioni i virus “non scoperti” nei mammiferi e negli uccelli, 827.000 dei quali potrebbero infettare l’uomo, mentre il costo economico dell’attuale pandemia è 100 volte quello stimato per prevenirla, proteggendo la natura.
Effetto lockdown: cervi in città, delfini nei porti. Durante i lunghi lockdown della primavera del 2020, i cittadini di tutto il mondo assistono stupiti al ritorno della natura in città. Con le attività praticamente bloccate, crollano i livelli di inquinamento atmosferico, scompare il traffico, diminuiscono rumore e presenza umana, e le specie selvatiche conquistano nuovi habitat, compresi quelli urbani. I cittadini hanno potuto così assistere alla presenza di cervi, lupi e altre specie selvatiche fin dentro i centri urbani. Nelle acque di Venezia tornano cavallucci marini, smerghi e altri uccelli acquatici. I parchi urbani diventano territori di caccia per le volpi e pascoli per le lepri. Nei porti tornano i delfini. Le fontane dei centri storici attirano anatre selvatiche.
In Antartico la prima ‘heat wave’, in Siberia caldo record. Il 2020 è stato un anno ‘bollente’ per il continente antartico. Le temperature record dell’estate antartica sono la conseguenza della prima heat wave (ondata di calore), mai registrata prima in questo continente. In meno di nove giorni le temperature, che hanno portato alcune zone del luogo più freddo del pianeta a +18,3°C, hanno determinato una drammatica fusione dei ghiacci, con picchi di perdita del 20%. La situazione non è migliore dall’altra parte del pianeta. A giugno 2020, in Siberia, nel circolo polare artico, si registra un nuovo caldo record con temperature che arrivano a 38,5 °C. L’ondata di calore ha provocato nuovi incendi e la fusione del permafrost. La scomparsa del permafrost rischia, secondo gli scienziati, di aumentare esponenzialmente la quantità di gas serra immessi in atmosfera.
I disastri del 2020: sversamenti a Mauritius e in Siberia. Due tragici incidenti con un impatto ambientale devastante segnano il mese di luglio 2020. Il 25 luglio si è verificata una grave fuoriuscita di combustibili fossili al largo della costa dell’isola Mauritius che ha provocato drammatici impatti sul delicatissimo ecosistema costiero e sulle comunità che dipendono da queste risorse per la loro economia. Il carburante sversato ha contaminato le aree costiere delle Isole Aigrettes nella baia di Mahebourg (Riserva Naturale) e il Parco Marino Blue Bay, un importante sito Ramsar (Convenzione sulle zone umide di importanza internazionale), designato nel 2008 e noto per la sua eccezionale diversità corallina. Poche settimane prima un altro disastro ecologico ha messo a rischio habitat ed ecosistemi incontaminati nella siberia russa. Sopra il Circolo Polare Artico, il 29 maggio, oltre 20.000 tonnellate di carburante diesel si sono sversati da un serbatoio di stoccaggio crollato. Il combustibile si è riversato nel fiume Ambarnaya, creando un disastro ecologico negli ecosistemi raggiunti dalle acque. A provocare l’incidente sembra essere stato il crollo del serbatoio dovuto alla fusione del permafrost su cui poggiavano i pilastri della struttura.
Brucia la California, e il fumo arriva in Europa. Il mese di agosto 2020 è segnato dalla stagione degli incendi che si abbatte sulla California distruggendo una superficie di foreste e di vegetazione due volte superiore a quella totalizzata durante i peggiori incendi dello stato americano: 9.639 incendi coprono una superficie di 17.000 kmq e uccidono 33 persone. Il fumo degli incendi californiani è talmente intenso da raggiungere il Nord d’Europa. Ma la California non ha a che fare solo con gli incendi: secondo recenti studi, in tutto il territorio, la frequenza dei fenomeni climatici estremi è più che raddoppiata solo negli ultimi quattro decenni.
Sos biodiversità: in 50 anni persi quasi 7 vertebrati su 10. E’ nel mese di settembre 2020 che arriva un nuovo allarmante dato: in 50 anni, il Pianeta ha perso quasi 7 vertebrati su 10. A diffonderlo è il Wwf, pubblicando i risultati del “Living Planet Report” realizzato in collaborazione la Zoological Society of London e con centinaia di scienziati e strutture di ricerca nel mondo. In meno di 50 anni abbiamo assistito ad un declino del 68% delle popolazioni selvatiche degli animali a noi più familiari, mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci. Una crisi riconosciuta anche dalle principali istituzioni, tra cui il World Economic Forum, come uno dei principali rischi che l’umanità si trovi oggi ad affrontare.
Il primo summit Onu sulla biodiversità. Il 30 settembre 2020, i capi di Stato e di governo di più di 70 Paesi, che coprono i cinque continenti, e il presidente della Commissione Europea per l’Ue partecipano al primo summit dedicato alla biodiversità nell’ambito dell’assemblea annuale dell’Onu, impegnandosi a invertire la perdita di natura entro la fine del decennio. I Paesi che hanno sottoscritto l’impegno rappresentano più di 1,3 miliardi di persone e più di un quarto del Pil mondiale. Il Summit Onu ha riconosciuto la valenza catastrofica della perdita globale di biodiversità, che mette a rischio la salute umana e i nostri mezzi di sussistenza e sottolinea con molta enfasi i collegamenti tra le pandemie globali e la distruzione e il degrado della natura.
Il Parlamento europeo sceglie il clima. Il 2020 è stato segnato da importante decisioni, a livello europeo, a favore dell’ambiente e contro la crisi climatica. A ottobre 2020 la maggioranza sceglie il clima: il Parlamento europeo vota in plenaria per una riduzione del 60% delle emissioni di gas serra entro il 2030, prendendo una posizione molto più avanzata rispetto al taglio del 55% delle emissioni proposto dalla Commissione.
Amazzonia, deforestazione record, mai così da 12 anni. Anche nel 2020, in Amazzonia le foreste tropicali continuano a scomparire. La deforestazione raggiunge livelli mai registrati negli ultimi 12 anni. La scomparsa di questo straordinario bioma – avverte la scienza – che accoglie il 10% della biodiversità del pianeta e svolge una lunga serie di servizi essenziali per la sopravvivenza sul Pianeta, aumenterà drammaticamente la nostra vulnerabilità ai cambiamenti climatici e renderà le nostre vite e la nostra salute ancora più a rischio.
Pesa più la plastica che tutti gli animali messi insieme. La massa degli oggetti di origine antropica, come palazzi, strade e macchine supera in peso la biomassa. É un altro tragico primato raggiunto dall’umanità, che consegnerà alla storia il 2020 come l’anno che ha sconvolto il pianeta. Oggi, secondo una ricerca pubblicata su Nature, la produzione ‘human made’ ha raggiunto e superato quella ‘nature made’ aprendo scenari preoccupanti. Solo in termini di plastica prodotta, secondo i ricercatori, ce ne sono 8 miliardi di tonnellate superando il peso degli animali che arriva solo a 4 miliardi di tonnellate. L’umanità, che in termini di peso rappresenta lo 0,01% degli esseri viventi, produce una quantità vertiginosa di prodotti come cemento, asfalto, macchinari, plastica, etc. Secondo i ricercatori, ogni settimana in media, generiamo l’equivalente in peso dell’intera umanità (quasi 8 miliardi di persone). Ciò avviene anche a spese del patrimonio naturale che, sulla bilancia ha un peso sempre più esiguo. In 5000 anni (dall’avvento dell’agricoltura ad oggi) il peso del patrimonio naturale del pianeta si è dimezzato, passando da 2 mila miliardi di tonnellate a poco più di una, questo soprattutto a causa della perdita delle foreste.
Wwf, Australia tra le aree peggiori al mondo per deforestazione
Dal 2004 al 2017 deforestata un’area grande quanto 6 volte la Tasmania, oltre 43 milioni di ettari. Bisogna agire subito per fermare l’estinzione di specie uniche al mondo
Nell’Australia orientale, “la percentuale di foreste trasformate in coltivazioni e pascoli è aumentata vertiginosamente dopo che sono state abolite le restrizioni nel Queensland e nel New South Wales, ponendo così l’Australia orientale nell’elenco delle aree peggiori al mondo nella distruzione delle foreste”. Lo denuncia Martin Taylor, biologo della conservazione del Wwf Australia. E nonostante il Queensland abbia poi ripristinato nel 2018 alcune restrizioni, “l’Australia orientale rimane un fronte di deforestazione e questo non cambierà finché non si interverrà per ridurre drasticamente i tassi di distruzione”, sottolinea.
Per quanto gli incendi boschivi australiani del 2019-20 non siano entrati nel computo dell’analisi sulla deforestazione globale effettuata nel periodo 2004 al 2017, è assai probabile che, rileva il Wwf nel report “Deforestation fronts: Drivers and responses in a changing world”, gli incendi boschivi aumentino a causa dei cambiamenti climatici che determinano stagioni secche sempre più lunghe ed estreme. Nei 13 anni dal 2004 al 2017, è stata deforestata un’area 6 volte la dimensione della Tasmania, oltre 43 milioni di ettari.
Wwf lancia il progetto Regenerate Australia
Il rapporto afferma che “l’allevamento di bestiame” (l’abbattimento di alberi per creare pascoli per il bestiame) è stato “di gran lunga il fattore più significativo” della perdita o del degrado delle foreste nell’Australia orientale. Un’altra importante causa è la produzione di legna che, secondo il rapporto, “è ancora oggi molto intensa in alcuni luoghi” nell’Australia orientale.
Le foreste dell’Australia orientale sono state dichiarate un hotspot globale della biodiversità, anche in virtù della presenza di specie uniche come il koala, e subiscono un’enorme pressione a causa della deforestazione per attività economiche e degli incendi. A fronte di questi numeri, il Wwf lancia il progetto Regenerate Australia per rigenerare le foreste, aiutare la fauna selvatica e per fermare la distruzione degli habitat.
Bisogna agire per fermare l’estinzione di specie uniche al mondo
“Per fermare l’estinzione di specie uniche al mondo – spiega il biologo Martin Taylor – l’Australia deve intensificare gli sforzi per proteggere gli habitat forestali critici, in particolare conservando gli ultimi rifugi non toccati dalle fiamme e sostenendo la rigenerazione di quelli distrutti dagli incendi. Il Wwf chiede che l’Australia esca definitivamente dal famigerato elenco dei fronti di deforestazione. Ciò non accadrà fino a quando le leggi e le misure di salvaguardie cancellate nell’ultimo decennio non verranno ripristinate e fino a quando la legislazione ambientale nazionale non inizierà ad essere pienamente e concretamente applicata”.
Nel suo rapporto “Pervasive Inaction”, Taylor denuncia anche l’insufficiente applicazione della legge ambientale nazionale: solo tra il 2016 e il 2018, nel Queensland, sono stati distrutti quasi 250.000 ettari di habitat di specie minacciate. Secondo Taylor le affermazioni che indicano un’espansione dell’area forestale in Australia sono fuorvianti poiché “si basano sulla classificazione della ricrescita giovane, cioè, piante alte pochi centimetri rispetto alla foresta. Si tratta di alberelli alti fino al ginocchio che non ‘bilanciano’ la distruzione in corso di foreste vecchie di decenni o secoli”, ha concluso. Fonte: adnkronos, 22.01.2021