La battaglia per la difesa del suolo riguarda tutti. È tempo di far dialogare la scienza con i saperi tradizionali. Di far parlare la sfera produttiva con quella dei cittadini consumatori
Il 5 dicembre è la giornata mondiale del suolo. Istituita ufficialmente dalla Fao nel 2014, questa celebrazione è legata all’urgente necessità di sensibilizzare il grande pubblico (e non solo) alla cruciale tematica della salvaguardia del suolo, bene comune non tutelato e sempre più depredato dall’azione dell’uomo.
Nel 1943, in uno dei suoi racconti più celebri, Antoine de Saint-Exupéry ci ha insegnato che “l’essenziale è invisibile agli occhi”. Ebbene, si dà il caso che quando si parla di suolo sia proprio così. L’infinita biodiversità che vive nel terreno, di cui l’uomo conosce solo l’1% e che è humus indispensabile per il funzionamento corretto del nostro ecosistema, non è visibile dall’occhio umano. Un occhio già di per sé miope, che non è più capace di osservare con attenzione nemmeno ciò che è evidente, figuriamoci di capire l’importanza di quello che è impercettibile! Nel momento storico che stiamo vivendo, però, è doveroso fare uno sforzo e liberarci dalla cecità che ci sta, nemmeno tanto lentamente, portando verso il baratro. È fondamentale e indispensabile, per l’esistenza della nostra stessa specie, rendere visibile l’invisibile e tornare a ciò che è essenziale: a capire che non c’è futuro senza un suolo vivo, e non c’è vita sulla (e nella) Terra senza biodiversità.
C’è da dire però, che dopo anni in cui ripetutamente, a mo’ di mantra, mi sono trovato a denunciare il crimine irreversibile del consumo di suolo, qualcosa finalmente si sta muovendo. Almeno a livello europeo, l’attenzione su questi temi è in crescita e sono contento di vedere che la stessa Fao ha quest’anno dedicato più giornate alla riflessione su questo argomento, presentando tra le altre cose il primissimo rapporto sulla biodiversità del suolo. Piccoli passi, ma importanti per il raggiungimento di quella “sostenibilità” a cui tutti aneliamo e di cui molti si riempiono la bocca.
L’uso invasivo del termine “sostenibile” è difatti una delle questioni da scardinare per rendere la transizione ecologica davvero possibile. Intendiamoci, non vi è dubbio che la sostenibilità sia un valore in assoluto. Ma, in questo momento storico, mi sembra più opportuno parlare di “rigenerazione”, soprattutto per il suolo. Rigenerare, infatti, significa cambiare paradigma: passare da una logica estrattiva – in agricoltura ma in generale nel sistema produttivo – ad una partecipativa. È arrivato il momento di partecipare, di essere corresponsabili del benessere di ciò che ci circonda; anche e soprattutto di quello della Terra.
Questa battaglia infatti non riguarda solo i contadini, né solo i politici, né tantomeno solo gli scienziati che hanno a cuore la difesa del suolo. È una battaglia che riguarda tutti! Nessuno si deve, né si può tirare indietro. Per questo, il lavoro che bisognerà fare in questi anni sarà quello di creare alleanze: una questione che non è solo di metodo, ma di sostanza. È tempo di far dialogare la scienza, alleata indispensabile in questo cammino, con i saperi tradizionali, spesso custoditi da produttori di piccola e media entità. Di far parlare la sfera produttiva con quella dei cittadini consumatori. Cosicché anche questi ultimi possano supportare, con i loro acquisti, processi virtuosi a livello agricolo. Se non sfruttiamo questa straordinaria occasione e non creiamo un legame tra scienza, piccola produzione e cittadini, la battaglia del suolo è già largamente persa.
Se è vero, infatti, che la Terra è nostra madre, noi tutti di conseguenza abbiamo un compito di fratellanza universale che non può non tenere conto dello stretto legame che c’è tra gli uni e gli altri. Per troppo tempo abbiamo lasciato la salute del suolo nelle mani di logiche speculative, di puro ed esclusivo business.
È arrivato il tempo di pensare al suolo come una risorsa vitale e non infinita, in cui tutti noi ci identifichiamo. Ecco allora che il termine rigenerare prende coscienza: c’è rigenerazione, infatti, solo se ci si muove tutti insieme nella stessa direzione. Fonte: La Repubblica, Carlo Petrini, 5.12.2020